CAPITOLO PRIMO:. 11 novembre 2006…..la disgrazia.
Essere un sommergibilista era stato per Wilson il raggiungere un sogno “coltivato” fin da piccolo, lui era stato uno dei rari esseri umani che era riuscito a rendere reale il più grande desiderio della sua vita……il padre, agricoltore e mandriano incallito, aveva in tutti i modi cercato di coinvolgerlo nella conduzione del suo ranch nel Montana ma non c’era stato nulla da fare…..il figlio aveva testardamente insistito a voler seguire la sua strada e……. bufali e mucche le vedeva ormai solo nei periodici giorni di licenza. Wilson aveva innata la capacità di riuscire a far funzionare qualsiasi meccanismo si trovasse per le mani, aveva preso nei tempi previsti e con il massimo dei voti, la laurea in ingegneria meccanica, cosa che aveva enormemente facilitato la sua carriera in Marina. Se c’era un punto debole del suo carattere….era quello di aver scarsa attitudine nel comando, non gradiva infatti per nulla, di essere costretto a dare ordini a qualcuno, non perché non ne fosse in grado ma, perché semplicemente il dover imporre la propria volontà su altri esseri umani non gli dava per nulla quella scarica di adrenalina che gratificava invece la maggior parte degli esseri umani. La sezione che dirigeva a bordo del suo mezzo….andava per così dire avanti da sola, tutti sapevano che lui era il capo ed il responsabile, tutti conoscevano questo lato del suo carattere e, di conseguenza, invece di approfittarsene avevano imparato quasi a prevenire i suoi comandi ed i suoi desideri per quanto riguardava i motori del battello sul quale erano imbarcati. Si trattava di una squadra che faceva veramente un cosiddetto “tutt’uno….uno con l’altro” senza alcun bisogno di evidenziare più di tanto, pur sapendolo benissimo, di chi era il comando e la piena responsabilità. Quando l’undici novembre 2006, il sommergibile era riemerso parzialmente per l’ultima volta, Wilson era stato l’unico a riuscire a balzare fuori dallo scafo che si stava irrimediabilmente allagando sempre di più: l’acqua che entrava ormai incontrollata dal portello del siluro rimasto drammaticamente aperto per un tragico errore, stava trascinando inesorabilmente il battello verso il fondo del mare……Il Capo di prima classe Wilson, responsabile dell’apparato motore del sommergibile, sostava come di consueto, nei rari momenti in cui non era di servizio, nei pressi della torretta del battello. Era affascinato, lui tecnico di elevatissime capacità, dal funzionamento dei periscopi…..ed era convinto di essere sul punto di essere riuscito a concepire un sistema molto più semplice ed economico per modificare l’apparato in questione, riuscendo a ridurne di circa la metà le dimensioni e l’ingombro. Come al solito stava effettuando alcuni calcoli e prendendo delle misure quando l’incidente si era verificato: aveva udito le urla concitate che annunciavano drammaticamente che un tubo lanciasiluri era “ aperto al mare”, aveva udito la sirena dell’allarme generale ululare per tutto il battello…..e aveva visto l’acqua verdastra e gelida che tutto travolgeva, invadere i locali con il rombo di un treno in corsa……aveva sentito il sommergibile tentare di risalire disperatamente verso la superficie per fortuna così vicina ma, si era immediatamente reso conto che la quantità di acqua che continuava ad entrare ormai in maniera incontrollata impedendo la chiusura dei portelli stagni, avrebbe tra pochissimo trascinato il mezzo su cui era imbarcato, nel profondo degli abissi. In preda al terrore Wilson si era allora arrampicato con la forza della disperazione, più rapidamente possibile, su per la “vela”, uno scalino dopo l’altro, ed aveva aperto il portello proprio mentre affiorava per un attimo per l’ultima volta alla superficie. Era riuscito a balzare fuori, a salire sul battello pneumatico autogonfiante di emergenza, ad allontanarsi dal risucchio dello scafo che affondava e a guardare con angoscia il sommergibile sprofondare per l’ultima volta nel mortale abbraccio gelato. Dieci minuti prima il “California” stava navigando normalmente a trenta metri di profondità, dalle parti della Groenlandia, in quella che sarebbe stata la sua ultima missione prima di essere posto in disarmo. A bordo del sommergibile classe 688 della prima generazione, in quella ultima settimana di missione, l’atmosfera era stata fin troppo rilassata, i normali controlli di routine venivano eseguiti, come al solito diligentemente ma, forse non con la consueta necessaria pignoleria dettata dal rigidissimo regolamento della marina….una certa aria di trascuratezza aveva un po’ pervaso tutti, la missione era stata compiuta con successo ed ora si doveva solo tornare a casa e pensare ai tre mesi di relax che attendevano tutti, dopo dei quali per loro, ci sarebbe stato ad attenderli, un nuovissimo sommergibile della classe Ohio fresco di fabbrica. Purtroppo in mare le distrazioni si pagano care…..sempre, l’oceano pretende in ogni momento la massima concentrazione da parte di chi lo percorre soprattutto sotto acqua, e non perdona mai gli errori che gli esseri umani possano commettere. Era bastata una piccola , in apparenza banale dimenticanza, un interruttore non premuto fino in fondo, un controllo fatto con superficialità …..e l’acqua gelida aveva di colpo invaso lo scafo, rendendo inutile il disperato tentativo, fatto da un terrorizzato comandante di riemergere in superficie. Solo Wilson, il più vicino per puro caso in quel momento al portello della torretta, era riuscito ad uscire dal battello nei pochi istanti che il portello era rimasto fuori dal pelo dell’acqua….erano stati attimi drammatici che, avevano permesso all’uomo, solo di poter sganciare il gommone di emergenza e di salirvici sopra…..non aveva potuto essere stato di aiuto a nessun altro…..una sola testa era apparsa per un attimo sulla sommità della torretta ma anche lei era stata risucchiata all’interno del sommergibile sospinta dalla violenza del mare che entrava a bordo ruggendo con il rumore di una cascata. Non c’era stato nemmeno il tempo ed il modo di sganciare la boa di emergenza di segnalazione che per lo meno, avrebbe potuto indicare ai soccorritori, la tomba dove giaceva per sempre il California. Adesso Wilson, era completamente solo, in una zona di mare gelato, lontanissima dalle rotte commerciali e distante alcune centinaia di miglia dalle zone abitate più vicine. Per sua fortuna Wilson si trovava almeno all’asciutto e relativamente al sicuro, almeno per un po’… il gommone di emergenza aveva una lunghezza di quattro metri, era dotato di un motore fuoribordo con una discreta riserva di benzina, era fornito inoltre di una tenda impermeabile e aveva viveri ed acqua, che essendo solo a bordo, sarebbero bastati, razionandoli accuratamente, per almeno una quindicina di giorni. Oltre a tutto, per sua ulteriore fortuna, all’orizzonte si stagliava il contorno ben definito di un’isola……. nella disgrazia per lo meno, sembrava che non avrebbe dovuto sopportare la sofferenza provata da tanti naufraghi costretti a patire in mare nella più completa solitudine, i tormenti di fame e sete e la continua esposizione alle intemperie ed ai capricci dell’oceano.
CAPITOLO SECONDO: l’isola……
Wilson, era rimasto dapprima impietrito a vedere nel vedere scomparire per sempre sommergibile e compagni, ma poi aveva dovuto farsi forza e pensare al da farsi. Aveva ovviamente deciso di dirigersi sollecitamente verso l’isola di cui poteva distinguere agevolmente la presenza, ad una distanza di una dozzina di miglia dalla sua posizione attuale. Nel giro di pochissimo tempo si era ritrovato a cercare un approdo che gli consentisse di sbarcare…… l’aspetto dell’isola non era però molto “confortante”…..le rocce alte a strapiombo nel mare non consentivano ad un primo esame, uno sbarco agevole e non permettevano al naufrago di rendersi conto di esistenza o meno di acqua dolce, vegetazione o di qualche traccia di vita. A forza di girare intorno col gommone, Wilson stava per percorrere per intero il giro di quello scoglio affiorante dai flutti, aveva calcolato approssimativamente, che il perimetro estremamente frastagliato dell’isola doveva essere di circa una ventina di chilometri ed ormai stava per arrivare fatalmente al punto da dove era partito, quando davanti al gommone si aprì all’improvviso, una sorta di caletta nascosta, alla cui estremità si troneggiava un pontiletto in legno parzialmente in rovina. Sbarcare e ormeggiare il gommone, fu date le circostanze, un gioco da ragazzi, ma a parte la presenza del pontile, nessun altro manufatto sembrava essere li presente. La vegetazione appariva quella caratteristica di quei luoghi gelati, qualche rado abete ed una serie infinita di licheni che ricoprivano ogni zona lasciata libera dalla neve. Se, ovviamente non sussisteva il pericolo di morire di sete, sorgeva invece impellente la necessità di trovare al più presto il modo di approvvigionarsi di cibo, visto l’esiguità dei viveri di emergenza a sua disposizione, ed ancora prima quella di trovare un posto dove poter dormire e riscaldarsi adeguatamente. Il fatto era che purtroppo, apparentemente, non esisteva assolutamente nulla che potesse fare al caso suo, il terreno a parte i licheni, appariva assolutamente spoglio, non esisteva modo per l’americano, di andare a pesca senza una attrezzatura adeguata, che lui non possedeva, e non c’era nulla che potesse dargli modo di costruire un riparo. L’unica provvisoria soluzione, era quella di cercare una grotta o un anfratto tra le rocce, che potesse dargli un qualche provvisorio riparo e dove si potesse almeno accendere un fuoco. Poi la cosa più logica sarebbe stata quella di cercare le tracce di chi aveva costruito quel pontile in legno……se esisteva un pontile, uno scopo ci doveva essere stato per forza, e da qualche parte sull’isola ci dovevano essere delle tracce lasciate da chi lo avevano costruito, forse un riparo, forse dei viveri, forse del combustibile o massimo della fortuna un apparato radio che potesse metterlo in contatto con qualcuno…… qualcosa insomma che potesse aiutare il naufrago a sopravvivere in attesa di qualcuno che potesse soccorrerlo. Gli venne in mente un libro che lo aveva particolarmente affascinato in un tempo ormai lontano: parlava di un naufrago che approdato come lui su un’isola completamente deserta, era riuscito con i rottami del naufragio della sua nave, a costruirsi un riparo dotato di un certo numero di comodità: una comoda branda, un focolare, una serie di attrezzi di lavoro……ma alla fine il protagonista del libro in questione, sfinito dalla mancanza di un vitto adeguato, era dovuto soccombere vinto dalla fame e dallo scorbuto.
CAPITOLO TERZO: la grotta.
La zona dove Wilson era approdato non era in realtà nemmeno molto vasta; senza essere costretto a fare dell’alpinismo, il perimetro da esplorare non era certo molto: c’era un certo numero di abeti che davano origine ad un piccolo bosco e i licheni ricoprivano quasi per intero le rocce affioranti dal terreno glabro. Per sua fortuna il naufrago si era imbattuto quasi subito, in una caverna con un ingresso molto stretto che però al suo interno si apriva in una “stanza” di un centinaio di metri quadrati di cubatura sul cui fondo era stato costruito chissà quando una specie di braciere di pietra . In alto, esisteva una “canna fumaria” naturale costituita da una fenditura che si apriva verso l’alto e che dava all’esterno. Accanto a quella sorta di caminetto era riposta una grande catasta di legna ormai bella secca e, sul fondo di quel locale, una ulteriore apertura, che si apriva sull’oceano, somigliante ad una finestra., dava la luce necessaria ad illuminare il tutto. Come “ultimo regalo”….accanto alla “finestra”, scorreva un ruscelletto di purissima e gelata acqua sorgiva. Aveva trovato, pensò Wilson una camera dotata di tutti i confort……acqua corrente, riscaldamento, e vista sul mare…..se fosse riuscito a trovare qualche cosa con cui cibarsi……sarebbe stato certo in grado di sopravvivere decentemente, almeno per un po’. Per prima cosa aveva acceso un bel fuoco, poi aveva trasportato all’interno del ricovero tutto quanto si trovava a bordo del gommone: i pochi preziosissimi viveri a disposizione, la cassetta di pronto soccorso, i razzi di emergenza, una pistola con tre caricatori, un sacco a pelo per i climi artici e un coltello a serramanico multifunzione. Purtroppo la torcia elettrica aveva le batterie scariche e per illuminare l’ambiente di notte aveva, per i casi di emergenza, un accendino e cinque scatole di fiammiferi antivento. La tanica di benzina ed il motore del gommone erano rimasti per ora a bordo del natante ormeggiato al pontile in rovina visto che la piccola insenatura proteggeva adeguatamente il natante dalla furia del mare. La sera, dopo aver aperto e consumato un paio delle sue preziosissime scatolette, si era infilato nel sacco a pelo ed era piombato, esausto, in un sonno profondo senza sogni. Verso le quattro di mattina l’uomo si era svegliato di colpo in preda ad un incubo…..gli sembrava di essere sul punto di affondare pure lui con il “California” ed un vivo senso di soffocamento si era impadronito di lui……poi si era svegliato di colpo e si era ritrovato madido di sudore seduto sul suo giaciglio improvvisato. Passato il primo momento di stanchezza che l’aveva fatto crollare, aveva poi cominciato a girarsi e rigirarsi nell’interno del sacco a pelo……sentiva ora sulla schiena la durezza del terreno, era disturbato dal rumore del ruscello che scorreva non molto distante da lui e, soprattutto, cominciava ad essere assalito da tutta una serie di pensieri che gli impedivano di riprendere sonno: la missione che il “California” stava per terminare, avrebbe dovuto consentirgli di tornare a casa per la fine della settimana in corso…..avrebbe dovuto riabbracciare Carla, la compagna della sua vita e la figlioletta Giada di poco più di tre anni. Avevano avuto il progetto nei tre mesi di ferie che lo aspettavano prima del nuovo imbarco, di recarsi in Italia per visitare la Toscana ed il Lazio……il suo desiderio sarebbe stato quello di fermarsi una settimana a Napoli dove con Carla tanti anni prima aveva trascorso il viaggio di nozze, ma la terribile esplosione del Vesuvio dovuta alla rovinosa caduta di un grosso meteorite,….aveva inopinatamente fatto affondare nel mare la città e quasi tutta la Campania. L’Italia lo aveva sempre affascinato li Wilson si sentiva a casa……lui abituato ai grandi spazi aperti delle praterie dove risiedeva, ogni volta che riusciva a tornare nel “Bel Paese”, sentiva di avere a portata di mano tutto quanto potesse interessarlo, senza dovere subite lunghi e noiosi spostamenti……un giorno poteva visitare Venezia e la mattina successiva poteva godere delle bellezze dei musei Vaticani. Tutto ciò purtroppo adesso sembrava scivolargli via dalle mani come sabbia, si voltava e si girava oppresso dall’angoscia della prospettiva di non poter più rivedere la sua adorata famiglia.
La mattina seguente, dopo tanto agitarsi, Wilson si era alzato fiducioso alle prime luci dell’alba, era riuscito a far bollire sul fuoco un pentolino di acqua ed aveva sacrificato una delle preziose bustine di caffè liofilizzato a disposizione per dare al corpo un po’ di calore. Era sua intenzione trattenersi all’aperto per tutta la giornata, alla ricerca di cacciare un animale qualsiasi, e soprattutto, alla ricerca delle tracce lasciate di chi aveva costruito il pontile.
La zona da esplorare non era molto vasta……per girare tutta l’isola sarebbe stato costretto a scalare una ripida parete, per cui per adesso si sarebbe dovuto accontentare di cercare nella parte di isola dove era sbarcato sperando di trovare al più presto quanto gli era necessario. Aveva per un attimo intravisto quella che gli era sembrata una lepre ma, non era riuscito a puntare in tempo la pistola e a sparare. A terra, da un rado boschetto di abeti, era caduta una certa quantità di pigne e Wilson ne aveva raccolto i pinoli. Fino a quel momento si trattava di un bottino veramente “magro” che il naufrago riuscì appena a rimpinguare con l’ uccisione , a bastonate, di un incauto gabbiano che si era attardato, ignaro della vicinanza dell’uomo, sul ramo di un arbusto. La possibilità di trovare molto altro per il futuro era drammaticamente bassa per non dire inesistente……per mantenere in vita ed in salute un uomo di adulto ci voleva ben altro. Wilson si era reso conto benissimo di tutto ciò quando si era accinto a consumare il magro pasto che con tanta fatica si era guadagnato……il gabbiano cotto sulla brace era totalmente diverso da un pollo….la carne tignosa sapeva di pesce ed i pinoli non riuscivano, con quel vivo sentore di resina, a soddisfare per nulla il naufrago affamato, che alla sera sarebbe stato di nuovo costretto ad intaccare quel poco che gli rimaneva dei viveri di emergenza se voleva continuare a mantenersi in forze. Purtroppo Wilson non era approdato in un’isola tropicale dove per lo meno, si poteva sperare in banane e noci di cocco oltre che sulle risorse del mare……dove il naufrago era approdato, per peggiorare ulteriormente la situazione, avrebbe avuto oltre a tutto bisogno di una notevolissima “iniezione” quotidiana di energie per combattere il clima gelido e li non c’era quasi nulla che potesse supportarlo in questa fondamentale e basilare necessità.
L’unica alternativa, per non morire di consunzione, era quella di trovare, posto che esistessero ancora, le tracce di chi l’aveva preceduto nell’abitare nell’isola. Non era logico che i suoi “antichi” abitanti si fossero accontentati di vivere solo ed esclusivamente nella caverna e che avessero trovato il tempo e la ragione per edificare un pontile in legno…….doveva esserci in giro un qualche cosa che ne giustificasse la costruzione, tra l’altro molto accurata e denotante una tecnica moderna e raffinata di costruzione. Questa era almeno l’unica speranza concreta che gli restasse per poter sopravvivere.
Aveva girato dappertutto, aveva esplorato la zona di sbarco per ogni dove, aveva individuato molti anfratti tra le rocce e svariate piccole caverne tutte piccole e cieche……ma senza trovare traccia alcuna che lo potesse indirizzare verso la strada giusta. Aveva ad un certo punto aveva di nuovo avvistata una lepre, ma quando aveva cercato di fare sollecitamente fuoco, la pistola si era rivelata inservibile a causa dell’umidità che aveva rovinato le munizioni. Stava già pensando che sarebbe stato costretto, lui che soffriva da sempre di vertigini, a scalare il dirupo per poter esplorare quanto rimaneva dell’isola, quando si rese conto che i viveri di emergenza erano ormai li li per terminare e che le scatolette ed i liofilizzati non erano certamente alimenti adatti per la dieta di un adulto vivente in climi gelidi e costretto a sobbarcarsi le fatiche di una scalata di duecento metri…..chi gli avrebbe mai dato la forza per scalare la maledetta parete e per avventurarsi in una zona inesplorata? Ormai lo spettro della morte per fame gli appariva proprio dietro l’angolo…..e, francamente , non sapeva più come scacciarlo. Il quinto giorno, continuando testardamente nei suoi giri di esplorazione,Wilson si era recato all’estremità nord della piccola valle dove poteva liberamente aggirarsi senza essere costretto ad effettuare improponibili scalate, c’era già stato in precedenza un paio di volte ma mai con la bassa marea. Il mare questa volta, si era come ritirato di una diecina di metri, mettendo allo scoperto una zona di sabbia asciutta che gli permetteva di aggirare un promontorio di rocce e di rendersi conto dell’esistenza di una grotta coperta in parte dalla vegetazione, vegetazione che dal mare ne aveva celato perfettamente l’ingresso. Si trattava in verità di una rientranza di notevoli dimensioni….sul cui fondo, tutto inclinato a sinistra era arenato quanto rimaneva di un sommergibile del secondo conflitto mondiale. L’americano, avvicinatosi sollecitamente, si era subito reso conto che il battello era stato fatto volutamente incagliare dall’equipaggio…..si notavano infatti due grossi squarci nello scafo resistente al di sotto della linea di galleggiamento ed alcune “slabbrature” che costellavano la superficie dello scafo in più punti. Il battello aveva senza dubbio dovuto sopportare molti colpi giunti a segno ed era un vero miracolo se l’equipaggio era riuscito a condurlo fino a li.
CAPITOLO QUARTO: il cimelio di una stirpe di eroi.
Arrampicarsi a bordo fu una faccenda semplicissima data l’esistenza di una passerella che dava direttamente dalla sabbia della spiaggetta alla coperta del battello: sulla prua del mezzo campeggiava perfettamente leggibile il nome del sommergibile…..si trattava dell’ ”Alessandro Manzoni”, sommergibile oceanico Italiano, dato per disperso con tutto l’equipaggio nel luglio del 1942 quando era impegnato in missione, nella impari lotta contro i convogli Alleati. Evidentemente il “Manzoni” era stato colpito da qualche aereo o da nave di scorta e, per non affondare, si era rifugiato li a…..leccarsi le ferite. Intorno si trovavano infatti ben visibili i segni inconfondibili di riparazioni in corso atte a risistemare alla meglio i danni subiti per poter poi ripartire e rientrare a “Betasom” a Bordeaux in Francia. La coperta appariva deserta e Wilson si apprestò ad addentrarsi nelle viscere del battello attraverso uno dei boccaporti che erano stati lasciati tutti aperti. L’interno del battello appariva intatto, a parte i danni provocati dai colpi ricevuti….si trattava di un classico mezzo italiano della seconda guerra mondiale, non evoluto tecnicamente come gli U Boat tedeschi, ma molto più grande. Wilson ricordava di aver letto un saggio storico del secondo conflitto mondiale in cui veniva spiegato che, all’inizio della campagna dei sommergibili italiani in oceano Atlantico, lo Stato Maggiore della Regia Marina si era ben presto reso conto che i battelli oceanici italiani, ottimi nel complesso come progetto, peccavano pesantemente però, per la presenza di alcune “tare” molto pericolose: prima di tutto erano estremamente lenti ad immergersi, soprattutto se messi a confronto con i corrispondenti battelli tedeschi, in secondo luogo erano “impediti” nella manovra da una torretta di dimensioni colossali e limitati nei loro attacchi ai mercantili nemici , da una centrale di tiro completamente inadeguata per i tempi moderni. Il Duce aveva preferito alla qualità dei suoi mezzi subacquei, il numero…….l’adeguamento delle risorse tecniche sarebbe seguito in seguito. Oltre a tutto, lo scoppio del devastante scondo conflitrto mondiale era stato previsto non prima del 1942 e, chiaramente, nel 1940 la Regia Marina non era ancora assolutamente pronta per affrontare una lunga e dispendiosa guerra. Ai problemi dei sommergibili italiani, era stato parzialmente posto rimedio con una cura di “bellezza” effettuata dalla marina germanica nella base di Bordeaux…..la torretta era stata ridimensionata, e la centrale di tiro aggiornata. Per la velocità di immersione poco si era potuto fare ma nell’insieme le modifiche apportate avevano avuto un certo successo. Il “Manzoni” era uno dei battelli che erano stati modificati……a bordo tutto appariva in perfetto ordine, gli attrezzi per le riparazioni riposti ordinatamente attorno agli squarci nel metallo, le cuccette dell’equipaggio disposte nel massimo ordine, i grandi motori diesel apparentemente in perfette condizioni…..l’unica cosa sconvolgente per l’americano era stata quella dell’impatto provocato dal ritrovamento dei poveri resti dell’ l’equipaggio…..erano tutti morti, disseminati per tutto l’interno del sommergibile in pose scomposte che suggerivano una morte improvvisa ed imprevista……erano ridotti ormai a poco più di poveri scheletri più o meno mummificati ma, ad un indagine più accurata, Wilson si rese conto con stupore misto ad angoscia, che tutti indistintamente erano stati apparentemente freddati a tradimento, da qualcuno a colpi di fucili mitragliatori. Chi mai poteva essere stato a compiere tale strage e perché mai? Nella piccola cabina a lui riservata, aveva trovato il comandante del sommergibile….anche lui ucciso barbaramente da qualcuno che lo aveva colpito alle spalle: il poveraccio però, a differenza dei suoi compagni, ci aveva messo un po’ a morire e usando il suo sangue come inchiostro, era riuscito a vergare sulla paratia di dritta alcune parole sconnesse che dicevano testualmente: “Nazisti assassin…trad…morire …Anna mia ” Quello che le parole scarabocchiate dal comandante sulla paratia di metallo, oltre al nome di colei che l’uomo aveva amato in vita, suggerivano qualche cosa di incredibile…..come era possibile che dei Tedeschi, spuntati poi chissà da dove, avessero trucidato a tradimento coloro che in quel momento erano ancora dei preziosi alleati……non aveva senso, eppure pareva che le ultime parole del comandante del “Manzoni” non lasciassero adito ad altre interpretazioni. Spiegazioni plausibili non ce n’erano, Wilson continuando ad investigare, aveva potuto constatare che bossoli e pallottole erano stati accuratamente rimossi e che nessuna traccia visibile della mortale incursione era ancora evidente. Gli assassini erano arrivati dal nulla e, compiuta la loro macabra missione…..nel nulla erano ripiombati non lasciando volutamente alcun segno del loro passaggio. All’interno del battello non c’era purtroppo nulla altro che potesse essere di qualche utilità per l’americano….i numerosissimi viveri ancora presenti a bordo, stivati nella capace cambusa erano, scatolette comprese, purtroppo totalmente inutilizzabili, le batterie ormai del tutto esauste e nemmeno un mago dei motori come lui, avrebbe potuto rimettere in moto i due giganteschi motori termici “Isotta Fraschini” per poter ottenere l’energia necessaria a far risvegliare per lo meno l’apparato radio del sommergibile. Il ritrovamento del battello non gli era stato in definitiva di alcuna utilità…..era servito solo a deprimere ancora di più un morale già molto basso e Wilson prima del crescere della marea decise di ritornare sollecitamente nei pressi della sua grotta, in preda ai più neri pensieri. Con se aveva portato soltanto il cofanetto contenente la Bandiera di Combattimento del battello…..se fosse riuscito a salvarsi e a ritornare a casa, La avrebbe consegnata alla più vicina Ambasciata Italiana.
CAPITOLO QUINTO: l’antro delle meraviglie…..
Erano trascorse due settimane ormai dal naufragio e una dal ritrovamento del “Manzoni”…….Wilson era riuscito a raccogliere alcune conchiglie simili a vongole ed a uccidere solo un altro gabbiano, ancora più magro e puzzolente del precedente. Le scatolette stavano ormai per terminare nonostante il ferreo razionamento cui l’americano si era sottoposto….era inutile ormai cercare di prolungare l’agonia……..l’uomo, più avvilito e depresso che mai, avrebbe per un’ultima volta cercato li intorno qualche cosa che potesse indirizzarlo verso la strada giusta……ma se il risultato delle ricerche fosse di nuovo stato, come altamente provabile, ancora negativo, si sarebbe concesso un’ultima cena con tutto quanto quel poco che gli era rimasto di commestibile, poi avrebbe atteso, emulo del protagonista del libro letto tanto tempo prima, disteso nel sacco a pelo il progressivo scemare delle forze. Accanto al suo giaciglio avrebbe lasciata pronta per l’uso una siringa con una dose letale di morfina, recuperata nella valigetta di pronto soccorso: del sommergibile Italiano…..quando il tormento della fame sarebbe diventato intollerabile……avrebbe potuto scegliere se lasciarsi morire di sfinimento o mettere fine subito e dolcemente alla sofferenza. Wilson non aveva paura di morire….era fermamente convinto che in realtà, anche se l’essere umano a causa dello spirito di conservazione che lo pervadeva faceva fatica ad accettare tale concetto, la morte non era una fine…..ma solo un nuovo inizio. Quello che lo terrorizzava era invece il fatto di dover “abbandonare” a se stessa la propria famiglia e di non rivedere più la piccola Giada. Il pomeriggio di due giorni dopo, il naufrago, prima di uscire per l’ultima disperata ricognizione, si era avvicinato casualmente al fondo della grotta per recuperare il coltello a serramanico che aveva usato per aprire le valve dei molluschi, quando si accorse di una strana corrente d’aria, a cui non aveva in precedenza dato alcun peso, che proveniva da uno scanso un due metri sopra di lui. Non si trattava di aria profumata di mare ma, di aria viziata che sapeva di muffa. Wilson, in preda ad una vivissima emozione, presi alcuni grossi ceppi di legno dalla catasta, cercò di arrampicarvisi sopra formando una sorta di scala improvvisata, per vedere di che cosa si potesse mai trattare: si trattava proprio una apertura, celata dalla penombra, che avvolgeva quella parte della grotta, tale apertura dava in un corridoio di chiara origine artificiale. I segni delle picconate erano ancora visibilissimi sulle pareti di granito e denotavano una grande precisione adoperata da chi aveva voluto e realizzato quel passaggio. Il buio fortunatamente li non era totale, alla fine del cunicolo si intravedeva già un cerchio di luce piuttosto viva che indicava il cammino da intraprendere…..Forse si trattava proprio di quello che l’americano andava cercando dal momento dell’approdo sull’isola e, ovviamente, Wilson si addentrò decisamente ma anche con la massima cautela, nell’oscurità del corridoio. Alla fine del passaggio Wilson aveva trovato una scaletta metallica arruginita ma ancora ancorata saldamente alla roccia e, dopo averla discesa con estrema cautela, .si era ritrovato in quella che pareva la sala di controllo di un qualche cosa di gigantesco che si apriva in basso, al di la di alcune ampie e polverose vetrate: Alle pareti di granito erano appesi a dei ganci dei camici che una volta avevano dovuto essere bianchi e un grandissimo quadro strumenti, una consolle a ferro di cavallo di quelle che si usavano negli anni quaranta, troneggiava accanto alla parete. In basso, oltre le vetrate, si apriva un ambiente molto grande sul cui fondo una cascata impetuosa di verde acqua cristallina veniva convogliata in tubature che portavano a delle turbine di una antiquata centrale elettrica. Era proprio di una centrale elettrica che si trattava, sufficiente, calcolò l’uomo, alle esigenze di una numerosa comunità. La centrale, dalle spie verdi che lampeggiavano ovunque sulla consolle, risultava ad un primo esame apparentemente perfettamente efficiente e funzionante……ma a cosa potesse servire un simile gigantesco manufatto su un’isola sperduta vicino al polo sud………..nebbia assoluta. Oltre a tutto i locali risultavano completamente deserti e sembravano esserlo da tempo immemorabile…..la polvere regnava ovunque sovrana e la stoffa dei camici, una volta certamente immacolati, stava cadendo a pezzi. Al centro della sala di controllo una scala a chiocciola scendeva per circa una ventina di metri e si fermava proprio presso le gigantesche turbine. Wilson non sapeva che cosa pensare tanto era sbalordito……sceso nel gigantesco locale inferiore e lasciatosi alle spalle dei grandissimi avvolgimenti di cavi di rame, aveva imboccato una porta che si apriva in un corridoio con tre sbocchi: a sinistra si apriva una stanza con numerosissimi scaffali pieni di vettovaglie, a destra si entrava in alcuni locali comunicanti che, chiaramente erano destinati ad alloggi e refettori, in fondo invece, il cammino era impedito da una porta chiusa che ricordava i portelli stagni delle navi da guerra. Non c’era nessuna iscrizione che potesse far comprendere chi avesse mai potuto concepire e costruire quanto Wilson stava vedendo, le targhette identificatici dei macchinari che aveva visto, erano state rimosse accuratamente o limate via non permettendo così a nessuno, di comprendere a chi appartenessero e da dove provenissero gli apparati in questione. Anche lo scatolame immagazzinato negli ampi scaffali pur essendo evidentemente destinato all’alimentazione del personale che un giorno li aveva soggiornato e lavorato, era privo di etichette e, si riusciva a capire cosa contenesse, solo per il nome stampigliato sullo scaffale corrispondente…..in lingua latina!
Evidentemente nessuna traccia doveva rimanere esposta in quella zona dell’impianto….chiunque fosse capitato come lui, li per caso, senza le adeguate autorizzazioni, NON doveva assolutamente poter risalire, oltre al perché, a chi avesse costruito il tutto! A Wilson comunque più che la provenienza, per ora interessava soprattutto lo stato di conservazione di tutto quello scatolame…..e rimase sbalordito e nello stesso tempo sollevato, nel constatare che, nonostante lo strato di polvere accumulato sulle scaffalature, il cibo contenuto nelle scatolette questa volta risultava ancora in perfette condizioni. Il problema impellente della sopravvivenza, anche a lungo termine, sembrava definitivamente risolto e l’uomo si sarebbe d’ora in poi potuto completamente dedicare, con calma, all’esplorazione di quella struttura abbandonata ed a trovare sopratutto una risposta ed un sistema, dopo averla adeguatamente esplorata, per andarsene al più presto. Dopo essersi adeguatamente rifocillato, l’americano avrebbe voluto dormire per qualche ora, ma la curiosità era diventata adesso tale e tanta che Wilson invece si apprestò a cercare di aprire subito quella specie di boccaporto sigillato che aveva notato in precedenza. Girato il volantino senza alcuno sforzo, Wilson si ritrovò in una attrezzatissima e gigantesca “sala radio”dotata di una tecnologia risalente, come la sala controllo della centrale elettrica, agli anni quaranta. Qui, stranamente, tutto era stato distrutto e devastato: sembrava che qualcuno, prima di andarsene, avesse voluto fracassare ogni cosa, per impedire a chiunque per il futuro, di poter trasmettere da li, qualsiasi tipo di messaggio. Non c’era assolutamente modo di poter riparare a tale sfacelo…perfino le lampade al neon erano state parzialmente distrutte lasciando il locale nella penombra…...anche il magazzino parti di ricambio li adiacente, aveva subito la medesima sorte. Sul fondo della sala radio, ecco ricomparire per l’ennesima volta un’altra scala a chiocciola, chiusa questa volta, da una botola d’acciaio, con una finestrella trasparente in vetro, scala che scendeva per almeno un’altra decina di metri . La botola era saldamente chiusa…..sulla sua superficie non appariva nulla che potesse assomigliare ad una serratura o a un qualche dispositivo di apertura; Wilson aveva provato invano a scardinarla ma si era reso ben presto conto che accedere al locale successivo non sarebbe stata una faccenda agevole. Il problema era quello che, sembrava proprio, che solo il personale autorizzato potesse questa volta scendere da li. Pensò allora che dovesse esserci nei paraggi una specie di guardiola da cui potesse essere comandato elettricamente da qualche addetto al controllo, l’accesso al locale sottostante e, guardando bene si rese conto che, nascosta dalla penombra sulla parete di roccia c’era effettivamente una porta che dava ad un altro piccolo locale cieco……entrato li dentro senza alcuna difficoltà, Wilson si trovò in una stanzetta, dotata di una scrivania completamente sgombra da qualsiasi tipo di carta, di una serie di tre telefoni neri, di una sedia metallica e soprattutto di un certo numero di pulsanti ed interruttori di cui uno portava, su di una targhetta, la chiara immagine stilizzata della botola che Wilson voleva aprire. Difatti, dopo aver premuto il bottone corrispondente, il passaggio si era di colpo aperto. La scala a chiocciola scendeva per ben più della decina di metri previsti e gli scalini arrugginiti pareva non volessero finire mai. La scala sboccava incredibilmente in un gigantesco porto sotterraneo, completo di darsene gru magazzini e banchine…..ad una di queste banchine era ancora ormeggiato un sommergibile chiaramente risalente al secondo conflitto mondiale…..ancora con la bandiera uncinata che pendeva floscia sul pennone. Qui, sulla parete di fronte alla scaletta, troneggiava in grande evidenza, quasi con insolenza, una malefica gigantesca “svastica” nazista.
Tutto appariva assolutamente deserto ed in perfette condizioni, come se la base sotterranea fosse stata evacuata solo da pochissimo tempo; Wilson si recò per prima cosa subito a bordo del battello sulla cui torretta campeggiava il simbolo:U.251 e si addentrò nell’unico boccaporto rimasto aperto: L’americano era sempre stato appassionato di sommergibili, ne era stato affascinato fin da ragazzo ed aveva sempre desiderato poter visitare qualche cimelio appartenente alla seconda guerra mondiale e adesso……aveva un sommergibile completamente a sua disposizione da esplorare. Sulle caratteristiche del “Manzoni” Wilson non aveva voluto indagare più di tanto…..gli era sembrato che il girare per il battello per soddisfare la propria curiosità, avrebbe potuto essere considerata una cosa poco delicata…..visto che il suo equipaggio era ancora li, morto ma ancora ben presente. Li invece il battello tedesco era completamente deserto e l’americano poteva curiosare ovunque senza alcuna remora morale. Tutto era così diverso dal battello a propulsione nucleare su cui aveva navigato per tanti anni …..tutto era molto più piccolo e più semplice ma non poteva non ammirare la precisione e la cura tutta tedesca, con cui i vari apparati erano stati assemblati. Il suo incarico a bordo del “California” era quello di Capo Motorista, per cui per lui, l’apparato motore Diesel dell’U.251 non aveva certo alcun segreto. Il battello faceva parte dell’ultimissima serie di U Boat varati negli ultimi mesi della guerra…..era dotato di attrezzature avveniristiche per l’epoca in cui era stato concepito, aveva delle batterie gigantesche che gli potevano fornire aria respirabile ed energia per periodi di tempo lunghissimi e per finire di una enorme stiva destinata al trasporto di materiali di grandi dimensioni. Più che di un mezzo destinato all’attacco sembrava destinato invece al trasporto….di cosa non era però dato saperlo. Wilson potè inoltre constatare che il sommergibile sembrava pronto ad una eventuale partenza, con i serbatoi stracolmi di nafta e la cambusa piena di una quantità inverosimile di scatolame. L’unica cosa che mancava, era però ogni parvenza di apparato radio…..qui nulla era stato fracassato ma, tutto era stato semplicemente…. asportato e, la minuscola sala radio appariva completamente vuota. Uno dei cavi che davano sulla banchina collegava ancora il sommergibile alla rete elettrica gestita dalla grande centrale elettrica e manteneva le batterie del battello perfettamente cariche e pronte per l’uso Essendo il battello al centro di uno specchio d’acqua circolare, delimitato da alte pareti di roccia e dalla banchina di attracco, era ovvio che l’ingresso e l’uscita dal porto sotterraneo si potessero trovare solo sotto il pelo dell’acqua. Per entrare ed uscire il sommergibile doveva inevitabilmente immergersi. C’era però una cosa che tormentava i pensieri di Wilson……..quella enorme centrale elettrica a cosa serviva veramente? Di tutta l’energia prodotta da lei, solo una frazione serviva ad alimentare quanto aveva visto fino ad allora…..per cui ci doveva essere senza alcun dubbio qualche cos’altro che l’uomo non aveva ancora visto. Restava poi da vedere il perché di quella maniacale esigenza di non permettere a nessuno di poter trasmettere alcunché da quella base sotterranea….il perché di tanta ossessiva segretezza!
CAPITOLO SESTO: la dimora del diavolo.
Per continuare il suo giro di esplorazione a Wilson era stato necessario cercare la strada per salire al livello superiore che l’americano riusciva ad intravedere sulla parete opposta a quella dalla quale era disceso tramite la scaletta metallica. Si intuiva dal basso della darsena, che una specie di cornicione svettava una trentina di metri più in alto, ma questa volta, non si riusciva a capire come si potesse riuscire ad accedervi. Di scale non si vedeva traccia, non c’erano nemmeno dei sentieri visibili che si inerpicassero fini lassù……ma ecco, quando Wilson non sapeva più come comportarsi, apparire, ben nascosta dietro una catasta di casse, una pulsantiera che comandava in apparenza l’apertura della porta di quello che assomigliava moltissimo ad un grande montacarichi. Premuto il primo pulsante si aprì subito una porta che dava all’interno di un normalissimo ascensore dotato di due soli pulsanti, uno per la salita ed uno per la discesa. In un attimo Wilson fu portato all’altezza del cornicione e potè addentrarsi nel corridoio che li si apriva. La stanza susseguente era uno slargo di sedici metri quadrati che dava in due stanze attigue, chiuse da due porte in massiccio legno di quercia finemente intarsiato ed in un locale adiacente chiuso invece da un portello metallico dotato di un oblo oscurato, apparentemente a tenuta stagna. L’uomo pensò di avventurarsi prima di tutto nelle due stanze che sembravano, a ragione, di più facile apertura……entrambe le massicce porte si aprirono con facilità dando accesso a due stanze assolutamente identiche, dotate entrambe di una grande scrivania di pregevole fabbricazione, sormontata ancora una volta dalla svastica. Su ognuna delle due scrivanie erano posti due fascicoli dall’aria minacciosa con la dicitura: “Il destino del mondo” e su cui era impressa una data ben precisa: 31 dicembre 2006. Leggere tale fascicolo era diventato ora per Wilson, la priorità principale, forse avrebbe compreso finalmente su cosa si era mai imbattuto……l’apertura della terza porta avrebbe di conseguenza dovuto attendere. Prima di cominciare la lettura, Wilson diede un’occhiata all’ambiente in cui si trovava…..le pareti in pietra grezza erano tappezzate da arazzi, tutti con la croce uncinata bene impressa, una gigantografia di Hitler troneggiava sul muro opposto alla scrivania e dei teschi in ossidiana nera di pregevolissima fattura, erano posati, a mo’ di fermacarte nei pressi di ogni uno dei due fascicoli posti sulle due scrivanie. Un caminetto, spento ma pronto per essere acceso in qualsiasi momento, occupava la parete di sinistra, mentre sulla destra era situata una apertura che dava in una sobria stanza con un letto a baldacchino. L’alto soffitto era decorato da tavole di quercia ed il pavimento invece, aveva mantenuto la semplicità del granito appena sgrezzato, ma nei pressi e sotto la scrivania era ricoperto da alcuni spessi tappeti. L’atmosfera che regnava nelle due stanze aveva un sentore ben preciso di malvagità, c’era un qualche cosa di “malevolo” che sembrava quasi aleggiare tra quelle mura…….Wilson, alla fine si sedette ad una delle due scrivanie e si apprestò a cominciare la lettura di ciò che gli stava dinnanzi: Il testo era ovviamente in tedesco ma, per fortuna, si trattava una lingua che l’uomo conosceva benissimo……
Il testo cominciava dal tragico epilogo della seconda guerra mondiale……risaliva alla morte di Hitler e alla disastrosa disfatta della Germania. Subito dopo venivano mosse accuse di fuoco all’Inghilterra ed agli Stati Uniti, rei di non aver compreso l’importanza e la “purezza” di quanto il Nazionalsocialismo aveva fatto per la razza umana: la liberazione dal mondo degli odiati Ebrei e di tutte le così dette “razze inferiori”, la progettata distruzione dell’”universo Comunista Sovietico”, in primo piano e la successiva edificazione di un meraviglioso ed utopistico mondo Nazista che avrebbe per mille anni dovuto governare il mondo intero…..come scopo finale.
La vendetta, che pur avrebbe potuto essere scagliata immediatamente, avrebbe dovuto aspettare il momento opportuno, quando cioè, di vendetta non si sarebbe solo trattato ma, anche e soprattutto, quando ad essa, sarebbe subito seguita la rinascita ed il compimento dei fatali destini a cui il Nazionalsocialismo e la “Razza Ariana” erano destinati. Li il manoscritto si interrompeva bruscamente. A cosa si stesse riferendo chi aveva scritto quel carico di assurde mostruosità, a quale mai vendetta si facesse appello, su quelle pagine non era dato saperlo ma, doveva senza dubbio trattarsi di qualche cosa di tremendamente serio e reale……..bastava prendere in considerazione l’immensa costruzione dove Wilson si trovava per rabbrividire dal terrore! La firma in calce al manoscritto era quella di Henrik Himmler e controfirmata dal ex ministro della propaganda nazista Goebbels! Adesso, al termine della lettura, Wilson aveva terrore di aprire la porta metallica che si trovava nel corridoio, temeva che davanti a lui si spalancasse una sorta di “pozzo nero” che si trovava a stretto contatto dal mondo degli inferi….intuiva di essere riuscito ad indovinare che cosa quella porta potesse nascondere, ma non aveva il coraggio di ammetterlo e confessarlo nemmeno a se stesso……per cui decise che, per adesso, avrebbe proseguito a cercare cosa mai potesse essere ancora nascosto in quel posto infernale….la porta l’avrebbe aperta solo più tardi e solo se fosse stato assolutamente necessario. Dopo le tre porte il corridoio proseguiva dritto verso un’altra stanza che dall’aspetto somigliava proprio ad un refettorio con annessa cucina. In un magazzino adiacente, aveva scovato con facilità ancora una volta, una gran quantità di scatolame che, questa volta con etichette scritte in tedesco, contenevano ogni genere di ghiottonerie. Esistevano anche dei giganteschi congelatori….ancora con generi alimentari in apparenza ancora in ottime condizioni ed una serie infinita di bottiglie di vino di grandissimo pregio. Wilson si concesse una cena a base di leccornie di vario tipo accompagnate da un paio di bicchieri di Barolo italiano di grande annata. Era poi diventato importante concedere finalmente un po’ di tempo al sonno anche se il riuscire a chiudere gli occhi in quel “regno del terrore” non sarebbe certo stata una faccenda agevole. Tuttavia in una delle stanze che seguivano il refettorio, l’americano scovò una serie di brandine sovrapposte che dovevano essere servite un tempo al ripose dei cucinieri li dislocati a prestare servizio. Lasciando accuratamente la luce accesa…..Wilson dopo vari tentativi riuscì a concedersi alla fine qualche ora di sonno agitato ma ristoratore. Tra le brume del sonno, gli era tornato in mente il Natale dell’anno precedente, trascorso tra le nevi del “Montana” con Carla e Giada…..la villetta immersa nel candore della montagna ghiacciata al dolce tepore che le stufe a legna emanavano per le stanze della casetta…..il grande albero di Natale e la montagna di doni che riposavano li vicino in attesa della mezzanotte . Avevano trascorso loro tre soli la notte della Vigilia in quella “magica” atmosfera ed il giorno di Natale si erano trasferiti per il pranzo nel salone delle feste del piccolo paese ed avevano li, con tutti i valligiani che conoscevano ormai da tanti anni, una giornata memorabile, condita da pace e serenità.
CAPITOLO SETTIMO: i tre angeli dell’Apocalisse…..
Al suo risveglio, dopo una abbondante colazione e dopo aver forzatamente riposto i suoi più bei ricordi, Wilson riprese la sua esplorazione di quel mondo d’incubo…..si era incamminato a percorrere la fine del solito corridoio, quando all’improvviso, sulla destra si aprì una grandissima sala, con il soffitto chiuso da una parete artificiale che dava verso il cielo. A destra stazionava una impressionante serie di macchinari completata da una grande consolle di controllo. ricca di luci e pulsanti multicolori, a sinistra…….. si ergevano minacciose le snelle ma minacciose sagome di tre grandi missili, assomiglianti alle V:2 della seconda guerra mondiale ma molto ma molto più grandi. Avvicinandosi ai macchinari, Wilson si era subito reso conto di trovarsi davanti a qualche cosa di pazzesco…….i giganteschi apparati, comandati e controllati dalla consolle, non potevano essere altro che parti di un rudimentale computer che doveva gestire un qualche cosa di diabolico. Sulla consolle erano poste tre serie di luci…..ogni serie era composta di tre luci distinte, una rossa, una gialla ed una verde. Per adesso l’unica ad essere accesa era quella rossa…..ma l’Americano aveva compreso benissimo , che il sistema di luci era collegato ad ogni missile….per ora, in stenbay:, la luce accesa era adesso quella rossa, ma era facile capire che in prossimità del lancio, si sarebbero accese in sequenza prima la gialla e poi la verde! Non esistevano apparentemente ne leve ne interruttori, ne timer che potessero essere modificati……erano in evidenza solo una data incisa su di una targhetta, che si riferiva di nuovo al 31 dicembre 2006 e tre nomi che indicavano tre città: New York, Londra e Mosca! Sembrava proprio che non vi fosse nulla che potesse fermare il conto alla rovescia cominciato sessantun anni prima……tutto era stato automatizzato dai fenomenali tecnici tedeschi che avevano dimostrato una volta di più di essere avanti di almeno una generazione, rispetto ai colleghi Americani ed Inglesi. Restava adesso da vedere che cosa potessero mai “portare” le testate dei tre mostri…….una carica, se pur molto grossa di esplosivo, non era una vendetta logica….sarebbe stata una esplosione che avrebbe provocato si, grandi danni ad un paio di isolati al massimo ma, che non avrebbe certamente distrutto le tre gigantesche città…..non era logico poi aspettare più di sessant’anni per fare non molto più che tre, se pur grossi, botti! Testate piene di gas asfissianti o nervini non avrebbero fatto poi una gran differenza da quelle convenzionali, avrebbero di sicuro fatto un numero ancora più vasto di vittime ma il risultato alla fine…… non sarebbe poi cambiato gran che! Non si poteva nemmeno trattare di materiale per la guerra biologica, visto l’impossibilità di mantenere vivi e attivi germi e batteri per la durata di oltre sei decenni, al di fuori di appositi locali refrigerati. Restava quindi, una sola ed unica opzione, anche se poteva forse sembrare la più incredibile di tutte…..quella nucleare. La storia aveva di recente dimostrato che la Germania, all’avvicinarsi della sconfitta, si era dovuta arrestare nello studio dell’energia nucleare a scopo bellico, sopratutto dopo la distruzione da parte della R.A.F., delle sue riserve di acqua pesante…….era parso evidente che quel ramo della ricerca era stato completamente e definitivamente tagliato. Ma Wilson, prima di partire dagli Stati Uniti per la missione, aveva assistito casualmente alla televisione, ad un documentario che adesso gli era tornato precipitosamente in mente e che lo stava adesso letteralmente terrorizzando: negli ultimi drammatici mesi della Repubblica Sociale Italiana, nel 1945, un disperato Mussolini aveva inviato, nel massimo segreto, presso il suo alleato Hitler, Luigi Romersa, un giornalista scientifico di sua fiducia, per informarsi sulla esistenza o meno delle fenomenali ma fantomatiche “armi segrete” che avrebbero, secondo Hitler, dovuto ribaltare all’ultimo momento, le sorti del conflitto. Il Duce sperava veramente, che l’alleato possedesse sul serio un asso nella manica che potesse ribaltare la disperata situazione in cui si era venuto a trovare quel poco che restava di Italia e Germania .Il mondo aveva già dovuto vedere all’opera le prime di tali terribili armi tanto promesse, che nessun altro paese in guerra possedeva…..le V1 e le V2 che cadevano sulla martoriata Londra, i meravigliosi velocissimi ed imprendibili “caccia” a reazione, i carri armati “Tigre Reale”, i sommergibili , come l’U 251,che non dovevano emergere per ricaricare le batterie. Il giornalista, era stato autorizzato dai Tedeschi ad assistere ad un esperimento, di cui la natura gli era rimasta completamente celata nei particolari, ma che era riuscita ugualmente a sconvolgerlo: era stato condotto in una boscosa isoletta del Mar Baltico, era stato accompagnato assieme a personaggi a lui totalmente sconosciuti, all’interno di un bunker di cemento dalle pareti estremamente spesse, dopo essere passati accanto ad un traliccio in legno sulla cui sommità era attaccato qualcosa di estremamente voluminoso, gli erano stati forniti degli occhialini abbrunati protettivi ed aveva atteso l’evento assieme a tutti gli altri testimoni. Romersa non sapeva assolutamente che cosa dovessero aspettarsi ma, aveva notato la febbrile attesa che sembrava permeare chi gli stava accanto. Da una fessura che dava all’esterno, ricoperta da uno spesso vetro trasparente ma brunito, all’improvviso era scaturita una luce bianca intensissima seguita da un rombo apocalittico che aveva fatto vibrare dalle fondamenta i loro rifugio…..poi più niente. Anche se l’esperimento sembrava terminato, erano stati trattenuti all’interno della costruzione, per loro ulteriore protezione, per alcune ore e, quando avevano potuto uscire all’aperto…….lo avevano fatto solo dopo essere stati vestiti con strane tute bianche e da un elmetto con occhialoni protettivi. All’esterno si erano trovati immersi in un panorama lunare…..tutto appariva come vetrificato, gli alberi della vicina foresta non esistevano più e di loro era rimasta solo cenere. Delle costruzioni confinanti non c’era più traccia e l’acqua del meraviglioso laghetto a due passi da li, era completamente evaporata. Tutto intorno a quello che una volta era strato un bosco lussureggiante riposavano molti cadaveri completamente carbonizzati. Al giornalista non venne fornita alcuna spiegazione sull’accaduto, ne di chi potessero mai essere quei poveri resti umani…..gli fu detto semplicemente di riferire al Duce e, solo a lui, quanto aveva visto…..lui avrebbe capito. Il servizio televisivo continuava poi, portando alla luce quanto gli abitanti di un castello lontano alcuni chilometri, avevano visto in quegli anni ormai lontani……il lampo di luce, la terra mista a polvere che si alzava in un caratteristico “fungo”, il violento spostamento d’aria che aveva distrutto il pollaio e scaraventato le carrozze dei cavalli contro la parete della vicina montagna. Tutti, il giorno dopo, avevano sofferto di strani problemi alla vista e di nausea e di fastidiose eruzioni cutanee……ma poi, tutto pareva essere era passato e, con i dolori ed i lutti provocati dall’arrivo dei Russi vittoriosi, l’avvenimento era stato se non dimenticato…..come messo da parte. Risultava evidente che i Tedeschi erano riusciti, nonostante le difficoltà del momento, ad arrivare per primi a qualche cosa che assomigliava molto ad un piccolo ordigno nucleare…..ma che, fortunatamente, per mancanza di tempo non erano ancora riusciti ad usarlo in combattimento…..ecco il perché delle disperate implorazioni di un Hitler vicino alla fine, fatte alle truppe che ancora resistevano sul fiume Reno al nemico: tempo, serviva solo ancora un po’ di tempo per fermare l’invasione della Patria Tedesca e poter una volta per tutte….. ribaltare la situazione!
Evidentemente, pensò Wilson, il tempo in qualche modo era stato trovato…..ed il macabro lavoro compiuto in tutte le sue fasi. Ma, allora….perché i missili non erano stati lanciati? Evidentemente tutto era stato calcolato da delle menti fredde ed estremamente calcolatrici ……se i missili avessero effettivamente colpito le tre città a cui erano destinati, si sarebbe trattato di una vendetta atroce ma….sterile. Era anche ormai troppo tardi per arrestare la marea rossa che, ormai troppo vicina per poter effettuare un lancio che avrebbe oltre ai russi distrutto anche parte della Germania. La marea rossa oramai tutto travolgeva alla periferia di una Berlino ormai distrutta…..le tre testate piazzate sui missili erano certamente le uniche in possesso dei Nazisti e nulla ormai avrebbe potuto cambiare le sorti della guerra….era ormai troppo tardi, almeno……per ora! Hitler per la verità aveva anche pensato di distruggere, con le tre testate, con quanto rimaneva della Germania anche le truppe russe, francesi ed americane in un inferno Wagneriano da Crepuscolo degli Dei….ma poi era prevalsa in lui la tesi della vendetta postuma e soprattutto quella ben più allettante, di un possibile nuovo inizio…..
CAPITOLO OTTAVO: la tela …..della vedova nera.
Sulla sinistra della grande sala una porta massiccia di abete intarsiato, dava accesso ad un altro locale: all’interno di trovava una sorta di incredibile “reliquiario” dell’era Nazista…..a sinistra facevano mostra di se, la “Bandiera di Sangue”, il drappo “sacro” bagnato dal sangue di un martire nazista ucciso nel primo colpo di stato ordito da Hitler, fallito e bagnato col sangue di pochi “eletti; la “Santa Lancia” che si diceva avesse trafitto il costato del Cristo morente sulla Croce e che avesse il potere di rendere invincibile chi l’avesse posseduta, e su una specie di altare pagano,…….un’urna cineraria su cui erano impresse delle parole che solo a leggerle incutevano il più profondo terrore: “Der Fuhrer”!
Accanto alle ceneri di colui che aveva creato il mostro chiamato Nazionalsocialismo era posto un volume nero, con un teschio ed una svastica impressi sulla copertina…….sotto questi simboli erano impresse a caratteri dorati, le seguenti parole:” GLI INELUTTABILI DESTINI DEL MONDO” “QUI GIACCIONO I TESORI DELLE ERE IN ATTESA DI RESSURREZIONE”……..
Solo il fatto di doversi avvicinare a quell’altare, metteva a Wilson una certa apprensione…….si trattava in definitiva solo delle ceneri di un defunto e di oggetti che non avrebbero potuto fargli in nessun modo del male ma………la sensazione di profonda malvagità che tali oggetti sembravano emanare davano all’Americano un diffuso e vivissimo senso di disagio. Tuttavia, sembrava che tutte le informazioni che Wilson cercava, si trovassero in quel malefico volume….per cui bisognava procedere subito a sfogliarne le pagine. Il testo riprendeva dal punto che era stato bruscamente interrotto nei due fascicoli letti nelle due stanze al livello precedente, spiegava come sarebbe avvenuta la tanto desiderata vendetta e di come sarebbe sorto di nuovo il Reich millenario: si prevedeva con lungimiranza sbalorditiva, la divisione nel dopoguerra dell’occidente tra russi ed americani, l’innata diffidenza ed intolleranza di un sistema politico/sociale verso l’altro, la costruzione e la messa in servizio delle armi nucleari e la costante minaccia che venissero prima o poi lanciate contro l’antagonista portando ovunque morte e distruzione. Sarebbe bastata “una spintarella” per fare in modo che tutto ciò potesse accadere davvero…..ed ecco dimostrato il perchè del lancio “ritardato” di sessantuno anni di tali armi diaboliche……Poi, continuava il testo, con la rinascita dei due “testimoni” nominati dal Fuhrer…….che avrebbero preso in prima persona le redini del comando, una nuova era gloriosa sarebbe sorta nel nome della svastica……… sarebbe sorta sulle ceneri del mondo corrotto, per durare almeno mille anni! Come tutto ciò avesse potuto essere stato tenuto nascosto a tutto il mondo, era una matassa terribilmente misteriosa e complicata da dipanare,: da quali e quante schiere di operai era stato costruito il mostruoso complesso, da quale folle architetto era stato progettato e, come soprattutto si era riusciti a mantenere il più assoluto segreto sull’intera faccenda, senza che a nessuno di loro “scappasse detto” qualche cosa a qualcuno? Un atroce sospetto si faceva sempre più strada nella mente dell’americano……Wilson sapeva benissimo con quale progenie di fanatici amorali avesse avuto a che fare il mondo, ricordava benissimo gli orrori mostrati alla televisione, del campo “Dora” dove Ebrei e prigionieri di guerra avevano ininterrottamente lavorato in condizioni allucinanti fino alla morte per sfinimento, per assemblare le prime V1 e V2……. E pensava che probabilmente, cercando, avrebbe fatalmente trovato anche qui le tracce di altrettanto orrori. Wilson si era messo allora alla ricerca di tracce lasciate dai “costruttori” di quella immensa serie di locali uno più grande dell’altro che stava esplorando; cercava in verità un antro od una caverna dove i Nazisti avessero potuto compiere la loro opera di sterminio una volta che il complesso fosse stato ultimato, ma nulla di tutto ciò era stato trovato dall’Americano. Si era incamminato allora, verso il porto sotterraneo e accanto alla banchina dove era tuttora ormeggiato l’U Boat, aveva trovato, quasi casualmente, l’ingresso di quelli che dovevano essere stati gli uffici dei progettisti di quel progetto pazzesco: si trattava di una serie di uffici tutti comunicanti uno con l’altro, ciascuno di loro dedicato ad una branca specifica: energia, costruzione dei locali, costruzione del porto, manutenzione…..e così via…..quindici uffici, uno dopo l’altro, completi di diagrammi e disegni relativi a tutta l’opera. L’unico argomento che mancava era naturalmente quello che riguardava il megacomputer e tutto quello che poteva interessare sull’argomento del lancio dei missili. In verità, di tale lancio si accennava ripetutamente, si parlava senza nascondere nulla del rifornimento dei tre ordigni, della messa in opera delle tre rampe, della data del lancio e degli obiettivi assegnati ma senza mai entrare in particolari specifici che potessero riguardare la natura delle testate o i particolari costruttivi dei missili stessi o del computer. Era evidente che tutto quanto riguardava tali argomenti era stato già progettato altrove con la più grande segretezza, prima di essere messo in opera in quell’isola sperduta dell’Atlantico. Una decina di metri più avanti, Wilson era stato attratto da una serie di cartelli che, in tedesco, indicavano due ingressi separati di alloggi e refettori, uno destinato agli operai ed uno ai loro carcerieri ed ai tecnici e progettisti. Entrato nei dormitori degli operai si era trovato dinnanzi ad uno spettacolo allucinante…..file interminabili di brandine si susseguivano ininterrottamente le une alle altre e tutte erano “occupate” da uno scheletro ancora rivestito dai propri laceri indumenti…….tutto appariva ordinato ed al proprio posto, sembrava che tutte quelle centinaia di persone si fossero addormentate tutte insieme e tutte fossero morte nel sonno lasciando ogni cosa al proprio posto. Si trattava senza alcun dubbio dell’opera di qualche micidiale gas, lo stesso probabilmente usato nei campi di sterminio, introdotto improvvisamente nell’impianto di ventilazione nel cuore della notte, centinaia e centinaia di persone morte in un attimo…. tutte le une accanto alle altre…..si trattava di una cosa allucinante! Ma la cosa peggiore e più incredibile, Wilson l’aveva appresa addentrandosi nei locali riservati alle guardie, ai tecnici tedeschi ed alle SS…….anche li la scena era assolutamente la stessa….tutti erano morti nel giro di pochi secondi senza potersene nemmeno rendere conto…..tutto per mantenere intatto ed inviolato per chiunque, il mostruoso segreto di cui tutti erano volontari o involontari testimoni. Nessuno dei progettisti, degli operai e dei tecnici che avevano costruito quel luogo erano mai usciti di li , quel luogo era diventato il “tempio” dedicato al loro genio ed al loro lavoro ma, purtroppo anche inevitabilmente la loro tomba! Ed ecco, inoltre, finalmente la prova inequivocabile di chi aveva assassinato l’equipaggio del sommergibile Italiano e perché: NESSUNO doveva sapere….NULLA!!! Alla mente dell’americano si affacciò inoltre di colpo un’altra atroce verità…. si era reso conto che.erano tutti stati presi in giro da una persona che tutti avevano per anni osannato……da colui che cioè, aveva permesso all’America alla fine degli anni sessanta, di far sbarcare un americano sulla luna! Werner Von Braun doveva sapere ben tutto di quel progetto pazzesco…..lui solo anzi, poteva aver progettato i tre mostruosi missili che adesso minacciavano ancora l’umanità…….Lo scienziato tedesco era riuscito a “farsi perdonare” dagli Americani i crimini commessi durante la seconda guerra mondiale, a dotarsi di una nuova patina di “onestà” con la scusa di essere stato costretto, nel passato conflitto, ad obbedire agli ordini impartitigli e nulla più, a diventare negli anni settanta per tutti addirittura un eroe ed un esempio da imitare……e intanto attendeva impassibile e trepidante in gran segreto, il compiersi fatale degli eventi che lui stesso aveva certamente contribuito a programmare. Von Braun era morto alcuni anni prima come un genio stimato da tutti…….era riuscito perfettamente a svolgere con successo il compito affidatogli da Hitler portando il suo segreto nella tomba…..si trattava di una beffa mostruosa ordita perfettamente ai danni di tutti!
CAPITOLO NONO: decisioni critiche….
Wilson si trovava adesso, in una situazione pazzesca…..era l’unico sulla faccia della terra a sapere che cosa aspettasse il mondo nel prossimo futuro e si trovava nella situazione di non poter fare nulla per impedire il verificarsi della catastrofe incombente. L’americano non poteva assolutamente comunicare con nessuno e non era in grado di allontanarsi dall’isola. Aveva per un attimo pensato di poter per lo meno tentare la fuga a bordo del sommergibile tedesco….ma anche ammesso e non concesso che fosse riuscito a “governarlo” da solo, non avrebbe saputo mai trovare alla cieca l’apertura da dove poter uscire. Aveva pensato di tornare al gommone e di cercare di raggiungere qualche nave di passaggio….ma il poco carburante a disposizione, lo avrebbe fatto solo allontanare dall’isola di qualche miglia appena, lasciandolo a morire solo ed abbandonato in una zona di mare lontanissima dalle rotte commerciali E poi….anche se fosse riuscito a comunicare con qualcuno…..chi mai avrebbe potuto credere alla sua storia inverosimile?. Aveva pensato allora di cercare di distruggere il primitivo computer che comandava il lancio dei tre missili, ma aveva a ragione paura che una sua eventuale manomissione dell’apparato potesse far partire anticipatamente i tre ordigni di distruzione. Certo che per lo meno gli Stati uniti, con lo scudo spaziale di recente costruzione, erano dotati di armamenti atti alla distruzione di un improvviso arrivo di un missile balistico intercontinentale……probabilmente le armi antimissile sarebbero riuscite ad intercettare l’ordigno destinato a New York…..ma per Londra e Mosca il destino sarebbe stato segnato e allora le rappresaglie lanciate alla cieca non avrebbero avuto più fine…..proprio come era stato programmato e voluto tanti anni prima….Qualche cosa comunque si doveva tentare per fermare quel tragico destino di morte e distruzione, Wilson non era assolutamente in grado di distruggere materialmente i tre colossali vettori…..ma, per fortuna restava almeno ancora più di un intero mese per tentare di porre rimedio alla catastrofe incombente……e Wilson cominciò a pensare che sarebbe stato opportuno, anzi indispensabile, cercare di entrare in quelle due porte sigillate che in precedenza aveva volutamente trascurato di aprire. Altre soluzioni, se di soluzioni si poteva parlare, l’americano per il momento proprio non ne vedeva.
CAPITOLO DECIMO: incontro con il male…..
Wilson era dunque dovuto ritornare di malavoglia sui suoi passi, aveva cercato ovunque di trovare tracce di esplosivi che potessero aiutarlo nella distruzione dei tre ordigni ma non era riuscito a trovare assolutamente nulla che potesse fare al caso suo: aveva cercato ovunque……non solo armi o munizioni ma anche i residui delle cariche di dinamite che un tempo dovevano essere state impiegate nello scavo delle gallerie….ma ogni traccia di esplosivo era stata accuratamente e volutamente rimossa. A bordo dell’U Boat il cannone ed i siluri erano stati a loro volta asportati …..non c’era veramente nulla che potesse aiutarlo a distruggere i tre missili. Alla fine Wilson, se pur con riluttanza, si era dovuto rassegnare……avrebbe dovuto per forza cercare di entrare proprio dove avrebbe volentieri voluto farne a meno, sperando che la soluzione dell’enigma si trovasse li… non c’era nessuna altra alternativa logica e possibile! Alla fine l’americano si era ritrovato dinnanzi a quel portello stagno che precedentemente aveva accuratamente evitato di aprire: si trattava di una porta d’acciaio brunito con una finestrella in vetro che però non lasciava intravedere alcunchè di quanto poteva essere contenuto all’interno del locale ermeticamente chiuso. Non esistevano ne maniglie ne volantini di apertura e solo sulla parte destra, vicino allo stipite della porta troneggiava una iscrizione sormontata da un unico interruttore verde. L’iscrizione in tedesco diceva testualmente: “ I TESTIMONI degli inevitabili destini del mondo… a LORO il compito di portare a termine l’INEVITABILE SORGERE PER MILLE ANNI DI UN MONDO COMPLETAMENTE ARIANO” a LORO onore e gloria perenni!”. Di cosa si potesse mai trattare non era certo facile capirlo……cosa mai potesse trovarsi al di la di quella porta era assolutamente inimmaginabile…….Wilson alla fine decise di “attraversare il Rubicone” e…..premette decisamente l’interrutore. La porta metallica si era aperta istantaneamente con uno sbuffo d’aria …..l’interno della stanza odorava di ozono ed era tappezzato da tutta una serie di luci, interruttori e quadranti. Tutto, come al solito, aveva un certo che di “retrò”…..si trattava infatti come al solito, di apparecchiature appartenenti alla tecnologia degli anni quaranta…..sembrava di essere immersi in uno dei primi film di Frankestein in bianco e nero. Sul fondo, collegati da una serie infinita di tubi, erano riposti due grandi contenitori in vetro ed acciaio, con alla base una consolle illuminata da una serie di spie multicolori. Uno solo di quei contenitori però sembrava essere tutt’ora in funzione, solo da quello sulla sinistra i tubi trasparenti sembravano trasportare tutt’ora delle sostanze liquide dall’interno all’esterno e viceversa…….l’altro appariva “fuori servizio” e le luci alla sua base apparivano tutte rosse, come ad indicare un malfunzionamento. Wilson si decise con riluttanza ad accostarsi innanzitutto al primo contenitore…..quello che appariva disattivato: il metallo con cui era costruito nella sua parte superiore ad un certo punto si interrompeva venendo sostituito da una parete leggermente arrotondata di vetro. All’interno “riposava” quella che sembrava una mummia rinsecchita…….vestita con l’uniforme nazista. Se non fosse stato per il nome inciso su di una targhetta non si sarebbe mai potuto comprendere di chi si potesse mai trattare……il Ministro della Propaganda di Hitler, Goebbels……giaceva per sempre nel suo sarcofago funerario……. Chi potesse essere racchiuso nell’altro contenitore era un mistero …..Wilson aveva compreso benissimo che se il primo contenitore conteneva ormai solo una innocua mummia….. il secondo portava al suo interno qualche cosa di “vivo” e di estremamente malefico e pericoloso. L’americano stava ormai quasi per avvicinarsi titubante all’oggetto, quando uno scatto metallico proveniente proprio dal secondo contenitore lo fece letteralmente balzare sulle gambe……qualche cosa stava accadendo proprio davanti ai suoi occhi, qualche cosa di sbalorditivo ed inimmaginabile….. Non c’era purtroppo alcun luogo dove fuggire: la porta si era richiusa ermeticamente e non c’era alcun sistema apparente per poterla riaprire in tempo utile per non farsi notare dalla figura che stava “emergendo” da un sonno ultradecennale. Il coperchio di vetro infatti stava lentamente scorrendo su se stesso con una lentezza esasperante e mano a mano che si apriva, nuvole di vapori ghiacciati stavano riempiendo la stanza limitando al massimo la visibilità. Wilson si era acquattato in un angolo dietro il quadro principale degli strumenti e riusciva a vedere nel terrore più assoluto, mantenendosi il più possibile celato nella penombra, quello che stava succedendo davanti ai suoi occhi……Una forma indistinta si stava levando dal contenitore, prima con estrema lentezza e poi, via via con una maggiore scioltezza nei movimenti, si era alzata barcollando all’impiedi e….l’immagine ben nota di Henrik Himmler si era nettamente stagliata sullo sfondo del locale prima di uscire lestamente dalla stanza per imboccare la porta e sparire nell’alloggio a lui riservato, alloggio visitato in precedenza dall’ americano. Wilson era terrorizzato…..non sapeva cosa pensare del macabro “miracolo” al verificarsi del quale aveva appena assistito…..riusciva ora a comprendere con facilità, come i due gerarchi avessero potuto “buggerare” il mondo intero facendosi sostituire da sosia fanatici che erano morti al loro posto, ma non riusciva assolutamente a comprendere, come i due nazisti avessero potuto essere mantenuti in vita per tanti anni avendo a disposizione una tecnologia così arretrata e considerando sopratutto, che anche negli anni duemila non era ancora possibile mantenere nessuno in animazione sospesa se non per qualche breve ora! Si trattava forse dell’ennesimo “miracolo” degli scienziati tedeschi? Per fortuna, almeno pareva che solo uno dei due “predestinati” fosse riuscito a sopravvivere…….a Goebbels era andata male….qualche cosa non era andato secondo le aspettative e di lui era rimasta per fortuna, solo il ricordo e…. una innocua mummia.
Wilson si era reso subito conto del legame indissolubile tra Himmler ed il lancio dei missili, il risveglio ed il lancio erano due avvenimenti strettamente programmati e concatenati gli uni agli altri…..i missili avrebbero portato ovunque il caos….e Himmler avrebbe riportato sulle rovine del mondo l’ordine, una volta per tutte….ovviamente l’ordine dettato dalla follia del Nazionalsocialismo! Tante cose passavano per la testa dell’americano…..parole e simboli come Armageddon, apocalisse ed Anticristo, gli balenavano davanti agli occhi…..che si fosse veramente arrivati alla “fine dei tempi”……alla resa dei conti finali? C’era forse ancora un margine di spazio per impedire tutto ciò o era ormai troppo tardi per tutto? E lui, povero piccolo mortale….avrebbe potuto fare ancora qualche cosa? Sarebbe forse toccato proprio a lui il peso immane di salvare il mondo? Non si sentiva assolutamente in grado di compiere un compito così immane….a lui sarebbe bastato combattere solo per salvare la sua famiglia che si trovava a Seattle……anche se così le cose non cambiavano di certo….a Wilson, in questa maniera, il compito sarebbe sembrato forse meno tremendo e difficile da ottenere.
L’americano si era finalmente riscosso dal torpore dettato dal terrore che lo aveva invaso, si era appressato alla porta stagna e si era accorto che l’apertura verso l’esterno avveniva adesso automaticamente. Nel corridoio aveva sostato lungamente incerto sul da farsi….era disarmato e si rendeva conto che uccidere Himmler non sarebbe stato sufficiente per fermare il mostro creato tanti anni prima……avrebbe dovuto costringere invece il malefico gerarca nazista a spiegargli come si potesse fare per fermare quella follia.
Aveva deciso di introdursi furtivamente nella stanza adiacente, quella destinata in origine a Goebbels…..e di spiare dalla porta comunicante il gerarca appena tornato in vita. Entrare era stato semplicissimo, la stanza era ovviamente deserta e silenziosa e sulla parete di destra si stagliava la porta di comunicazione. Wilson si era cautamente avvicinato all’apertura con la massima circospezione cercando di cogliere, per cominciare, i suoni che si potessero udire dalla stanza adiacente……..la voce stentorea ed isterica del Fuhrer berciava in uno dei suoi discorsi al popolo Tedesco….si doveva certamente trattare di un vecchio disco dell’epoca, in sottofondo qualcuno si aggirava per la stanza, battendo ritmicamente gli stivali. Wilson aveva trovato in un angolo un manganello in legno e si apprestava a fare irruzione nella stanza per cercare di immobilizzare Himmler con l’impeto di un attacco improvviso. Non avrebbe in teoria risultare una faccenda molto complicata e difficile nella sua realizzazione….Wilson era di struttura atletica e si trovava in perfetta forma mentre il suo avversario di costituzione già di per se gracile, usciva da un periodo in cui era stata forzatamente immobilizzato….in teoria! Wilson pensava che il difficile sarebbe venuto solo quando avrebbe dovuto cercare di estorcere in qualche modo al nazista il modo per fermare quella che poteva diventare l’Apocalisse. Ma quando l’americano stava già per mettere in atto il suo piano, ecco aprirsi imprevedibilmente di colpo la porta divisoria ed apparire un Henrik Himmler, in piena forma, con il solito sorriso maligno stampato sul volto esangue e “preceduto ed accompagnato” da una mitraglietta puntata direttamente al cuore di Wilson. Come il tedesco avesse potuto accorgersi dell’intruso era un mistero che incuteva nell’americano un terrore ancora più tremendo. Il tedesco, tenendosi però sempre a distanza di sicurezza, con voce ferma e decisa ma nello stesso tempo estremamente gentile, invitò l’americano a seguirlo nella sua stanza….lo fece accomodare sulla sedia davanti alla scrivania e continuando a passeggiare su e giù cominciò a parlare: “ Queste parole sono le prime che mi escono dalla bocca negli ultimi sessantun anni…..a lei l’onore di ascoltarle! Adesso mi dirà chi è lei, chi la manda, come è arrivato fino a qui, cosa sa di me e di questo posto….e che intenzioni ha……si ricordi che, se io non ho ancora riacquistato del tutto la scioltezza dei movimenti….la mia Mauser si trova invece in perfetta efficienza, si ricordi infine che lei è ancora vivo solo per soddisfare la mia innata curiosità……..fino a quando lei risponderà in modo esauriente ed adeguato alle mie domande….. vivrà, dopo….beh….faccia un po’ lei! ” Wilson aveva subito compreso benissimo che sarebbe rimasto in vita solo per il tempo necessario a soddisfare il desiderio di apprendere le necessarie “novità” che servivano al nazista…….per cui si accinse a rispondere sollecitamente, e con dovizia di particolari, non trascurando nel frattempo di carpire un eventuale movimento falso di Himmler, per poterne approfittare. All’inizio a parlare era stato soprattutto l’americano…..aveva raccontato la verità su chi fosse, sul naufragio del sommergibile e di quanto aveva scoperto sulla natura del luogo dove si trovavano. Era perfettamente inutile cercare di nascondere al tedesco quanto aveva appreso su quel luogo di follia ma aveva scaltramente evitato di avventurarsi in commenti che mettessero in evidenza il disprezzo che provava per la situazione in cuoi era capitato, per la persona che gli stava davanti e soprattutto, per i malefici progetti che erano stati fatti per la sorte del mondo intero…. indispettire il tedesco non faceva proprio parte dei disegni di Wilson…..Piano piano, però aveva con scaltrezza cercato invece di solleticare l’orgoglio del suo interlocutore e lo aveva spinto a parlare della guerra perduta, dei lutti perpetrati ai danni dei popoli considerati inferiori, dei suoi progetti per il futuro e di come si sarebbe tra breve creato il nuovo ordine mondiale all’ombra della svastica. La voce gentile e suadente che gli parlava, era quella di un essere completamente amorale….lui non odiava per nulla i popoli che aveva contribuito in prima persona a sterminare…..li aveva semplicemente considerati come fardelli inutili e per cui indegni di sopravvivere e la stessa sorte sarebbe tra poco toccata ai popoli della terra dei nostri giorni….solo il popolo eletto…solo i puri di razza Ariana, i cosiddetti “Eletti”, avrebbero dominato incontrastati sulla pletora delle popolazioni inferiori! Wilson non aveva nessun desiderio di contraddirlo…anzi! Si era accorto…... che nel fervore delle sue elucubrazioni il tedesco abbassava distraendosi, a tratti, la Mauser, per poi riportarla sollecitamente in posizione……era necessario continuare a farlo parlare per aspettare l’attimo propizio per gettarglisi addosso….difficilmente Wilson avrebbe evitato di essere colpito ma, sperava che nella concitazione di quei momenti, la mira del tedesco non sarebbe stata perfetta e tale da non ucciderlo. Era anche fondamentale riuscire a farsi spiegare, fingendosi affascinato dall’interlocutore, se qualcuno potesse mai essere in grado di fermare il lancio dei missili e come….ma Himmler non era certamente tanto stupido per cascare nella trappola, e a tale domanda rispose con il suo ineffabile sorriso, con una sola ed unica enigmatica frase:” Solo il Fuhrer potrebbe far cessare tutto quanto….come tutto è cominciato da lui…..tutto può finire solo con lui! ” Gli argomenti di discussione erano ormai quasi esauriti, per concludere, Himmler si era fatto raccontare nei minimi particolari, la situazione mondiale scaturita dalla fine della guerra, la guerra fredda, la lotta tra arabi ed israeliani e le varie tensioni che continuavano a svilupparsi fra i popoli del pianeta terra…….ma poi, Wilson si era reso conto che, quando il tedesco si fosse stancato di parlare con lui, avrebbe semplicemente premuto il grilletto senza nessun preavviso eliminando l’americano come si fa schiacciando un insetto malefico. Sapeva di non avere quasi alcuna speranza, stava già per prepararsi a buttarsi a corpo morto contro Himmler, quando colse negli occhi dell’avversario come uno strano improvviso smarrimento….subito dopo, al tedesco le gambe cedettero di schianto e si ritrovò a rantolare di colpo sul pavimento di granito……Wilson si precipitò per prima cosa a prendere da terra la pistola, per poi avvicinarsi con la massima cautela al nazista: Himmler aveva una smorfia incredula che gli incorniciava la faccia completamente stravolta ed esangue, evidentemente, qualche cosa all’interno del suo organismo aveva ceduto di schianto…..la natura, come al solito, aveva avuto ragione sulle “malefatte” dell’uomo. Wilson chiese ancora al tedesco come si potesse fermare il lancio dei missili, sperando che nella confusione degli ultimi attimi di vita, al tedesco scappasse detta qualche vitale informazione ma, tutto quanto ottenne fu una rauca, breve, tragica risata e poi il nulla.
CAPITOLO UNDICESIMO: chi cerca trova….
Dopo essersi assicurato che Himmler fosse effettivamente morto, Wilson si recò nella attigua mensa dove già aveva riposato qualche ora…..si rifocillò adeguatamente e riuscì anche a dormire qualche ora nella consueta brandina……l’atmosfera malefica che permeava il tutto fino a qualche ora prima sembrava essersi dileguata come per incanto; con la scomparsa del gerarca. Wilson si sentiva in effetti più in forma e quasi ottimista e rilassato. Per fortuna , di tempo per cercare la soluzione del problema che lo assillava, ne aveva ancora in abbondanza e la speranza di venirne a capo non era ancora del tutto tramontata. I giorni successivi li passò a cercare di studiare il rudimentale computer che troneggiava nella stanza contenente i missili……come aveva già constatato oltre alle spie e alle lampadine multicolori non esistevano ne leve ne pulsanti di alcun tipo che potessero alterarne il funzionamento……evidentemente tutto era stato programmato in maniera definitiva in precedenza e, non erano necessarie e previste correzioni od aggiornamenti di sorta. Si era reso anche conto, confermando i suoi sospetti iniziali, che purtroppo qualsiasi tentativo di manometterlo, avrebbe avuto come conseguenza il lancio immediato dei tre missili sugli obiettivi previsti. Quindici giorni prima della data del lancio le tre luci sul quadro strumenti erano simultaneamente passate dal rosso al giallo ma null’altro si era più verificato. Wilson aveva pensato allora di tentare di distruggere il collegamento che univa il computer ai missili sperando così di disattivare il sistema. Aveva passato una intera notte a cercare di svitare con la più grande cautela le innumerevoli connessioni tra il primo dei tre ordigni e la consolle di controllo….tutto era sembrato andare bene almeno all’inizio….ad ogni “sconnessione” corrispondeva lo spegnimento di una luce bleu sul quadro strumenti….sembrava proprio che Wilson avesse intrapreso la strada giusta, ma quando si accinse a staccare l’ultimo collegamento tra il missile e il computer….la luce gialla sulla consolle divenne di colpo verde e dalla base dell’ordigno cominciò, con un rombo assordante, ad uscire una nuvola di gas di scarico, fatti questi che preludevano senza ombra di dubbio, al lancio del missile stesso. Per fortuna L’americano fu lesto a riconnettere con grandissima rapidità il missile al computer la luce sulla consolle ritornò miracolosamente per ora di nuovo gialla e le operazioni di prelancio furono fortunatamente interrotte. Altre soluzioni Wilson non riusciva proprio a trovarne……aveva anche pensato di distruggere a colpi di sbarre di ferro la consolle della centrale elettrica che dava corrente a tutto il complesso, interrompendone così l’erogazione ma, per sua fortuna, si era reso conto che alla base del maledetto computer era presente un generatore di corrente di riserva che si sarebbe messo automaticamente in moto al mancare dell’energia elettrica…….inoltre, collegate al computer, più avanti del generatore di emergenza, era pure presente un cero numero di accumulatori ben carichi che, in caso di blak aut totale, avrebbero dato per il tempo necessario al lancio dei missili, l’energia necessaria……ma la cosa più terribile, quella che stava per fargli perdere ogni speranza di poter impedire la catastrofe, era quella di cui si era reso conto, quasi casualmente, alla fine dell’ispezione che aveva eseguito all’interno dei portelli che si trovavano esattamente alla base di ciascun missile: fino a quel momento Wilson aveva cercato il modo, se possibile, di poter “levare la corrente” ai tre ordigni, scollegandoli da qualsiasi fonte di energia……ma adesso, guardando bene all’interno delle aperture che aveva appena individuato, si era reso per fortuna conto, che esisteva all’interno dei tre missili una specie di interrutore molto simile ad uno presente, anche se con una funzione ben diversa, a bordo del “California”: si trattava di un maledetto relè che aveva una duplice funzione……poteva rimanere inattivo se il flusso di corrente continuava regolarmente a fluire……ma se riceveva l’impulso dal computer si sarebbe aperto consentendo il lancio, o se il flusso di corrente si fosse improvvisamente interrotto, sarebbe scattato ugualmente chiudendo un circuito e trasmettendo l’energia , immagazzinata in una batteria a bordo dell’ordigno, necessaria e sufficiente……ad un lancio immediato di emergenza……. .non c’era nulla da dire….tutto era organizzato alla perfezione alla maniera Tedesca…..Eppure, pensava l’americano, ci doveva pur essere un modo per fermare il diabolico apparato in caso di necessità….un guasto si poteva sempre verificare…..poteva essere necessario per i tecnici resettare il tutto spegnendo provvisoriamente l’impianto. Il modo c’era senz’altro….il problema era solo quello di trovarlo….e intanto i giorni passavano inesorabili ed il momento del lancio si avvicinava sempre di più. Il giorno di Natale Wilson lo aveva trascorso evitando volutamente di pensare, almeno in quella occasione, al drammatico problema che lo assillava; si era concesso un lauto banchetto con le prelibatezze in fatto di viveri e di vino presenti nella cambusa riservata ai due “testimoni ed eredi” di Hitler ed era riuscito a pensare esclusivamente alla famiglia lontana che probabilmente non avrebbe più potuto riabbracciare. Era tornato con la mente al giorno in cui aveva conosciuto Carla ed al colpo di fulmine che aveva ”incenerito” entrambi……poteva ancora sentire impetuosa l’emozione e la felicità di quei giorni lontani, ricordava benissimo tutti i progetti fatti insieme alla ragazza e a quanti di questi erano riusciti a realizzarne assieme. Gli pareva impossibile ed impensabile che tutto ciò, tutto il loro amore, tutte le loro speranze potessero, anzi dovessero avere fine! Pensando a tutto ciò, invece di trovare pace e sollievo nel ricordo, l’uomo si sentiva ancora più depresso, sia per la forzata e forse definitiva lontananza da casa, sia per la sua incapacità di trovare il bandolo della matassa per salvare tante vite umane. Preso dalla disperazione Wilson si era perfino arrampicato, lui che aveva sempre sofferto di vertigini, fin sul soffitto dell’enorme caverna rischiando di sfracellarsi al suolo, per verificare lo spessore del materiale che ricopriva il soffitto ed il meccanismo che lo doveva aprire subito prima del lancio. L’americano sperava infatti di riuscire ad evitarne l’apertura, causando così, a lancio avvenuto, un catastrofico impatto tale da causare la deflagrazione degli ordigni….certo lui sarebbe morto ma, il mondo si sarebbe salvato. Purtroppo però, Wilson nella sua ispezione al soffitto, si era reso conto di due cose….la prima era che non esisteva nessun sistema di apertura della volta……la seconda era che il soffitto era ricoperto da una struttura in vetro brunito talmente fragile e sottile che i missili avrebbero potuto frantumare subito dopo il lancio, senza subire nessuna conseguenza.
Si era di nuovo al punto di partenza…..e al lancio mancavano ormai solo sei giorni. Wilson era in preda alla disperazione più nera…..erano ormai due notti che non riusciva a dormire se non per qualche minuto……aveva provato di tutto, pensato in continuazione a che cosa potesse fare per evitare la catastrofe incombente…..ma non aveva cavato un ragno dal buco. Gli pareva impossibile che la civiltà cui era abituato, il mondo che tanto faticosamente stava cercando di ottenere un suo equilibrio, stesse per svanire in un inferno nucleare che, si pensava che ormai, con la sparizione dell’Unione Sovietica, non potesse più verificarsi. E tutto ciò per l’odio e la pazzia di personaggi ormai tutti morti e sepolti e per i velenosi strascichi e per la megalomania di una folle ideologia ormai per fortuna morta e aborrita da tutti! Il “Quarto Reich Millenario” non sarebbe certo mai risorto dalle ceneri del mondo….ma il mondo avrebbe ugualmente dovuto subire milioni di morti e terrificanti distruzioni…..Wilson si sentiva responsabile e colpevole di non riuscire ad impedire tutto ciò…..era solo colpa sua e della sua incapacità se la tragedia si fosse verificata. Ma questo non era vero e non era il modo giusto di pensare…..lui non doveva attribuirsi responsabilità non sue, non doveva assolutamente farsi prendere dalla frenesia di trovare una soluzione subito e a tutti i costi….era necessario rimanere calmi e a cercare di immedesimarsi per quanto possibile nella mente di quella progenie di pazzi. Ad un certo punto si era fatto venire in mente, come ultima disperata speranza, il colloquio avuto con Himmler subito prima che quello psicopatico morisse di schianto….. gli venne in mente l’accenno che il gerarca aveva fatto sul fatto che solo Hitler avrebbe potuto fermare la macchina di morte che era stata messa in moto: ma come poteva farlo….visto che il Fuerer era morto nel 1945? Bisognava stare calmi e pensare…….L’unica traccia del Fuhrer presente in quel luogo, a parte qualche quadro troneggiante sulle pareti, si trovava nella stanza sacrario che Wilson aveva visitato in precedenza, molti giorni prima e si riferiva all’urna cineraria contenente i suoi resti. L’americano era tornato di nuovo con disgusto ed apprensione, nei pressi di quell’altare pagano ed aveva osservato per la prima volta con grandissima attenzione l’oggetto che tanto lo aveva terrorizzato la prima volta che l’aveva visto: si trattava in verità di un’urna molto particolare, della cui forma la prima volta non aveva fatto molto caso, era di dimensioni notevoli ed oltre alla targhetta con incise le parole “Der Fuhrer” aveva sul retro una specie di sporgenza che ricordava una sorta di connessione elettrica……un’idea si fece strada nella mente di Wilson……..che la maledetta urna fosse un pezzo mancante del computer necessario a fermare il processo di lancio? Wilson preso dalla frenesia e con rinnovate speranza, con riluttanza prese tra le braccia l’urna dall’altare…..pesava solo una quindicina di chili ma, era soprattutto il peso psicologico di quanto stava trasportando che lo faceva sudare freddo e trasalire in continuazione…..aveva tra le braccia il “male allo stato puro”, l’incarnazione di Satana sulla terra, i resti del responsabile in prima persona, di milioni di morti e di indicibili sofferenze! Non fu facile per lui mantenere la ragione e la calma….gli sembrava di sentire dentro di se mille voci che gli ordinavano di rimettere subito l’urna al proprio posto e di non interferire su ciò che doveva essere! Si trattava senza dubbio di allucinazioni dovute alla tensione di quei momenti di estrema apprensione e di tensione spasmodica che minacciavano di travolgerlo, e Wilson fu ben contento quando potè poggiare lo sgradito fardello presso la consolle del computer. L’americano si mise ad osservare una volta di più il diabolico macchinario …..la consolle di controllo era completamente piatta ed era interrotta solo dalla presenza delle ormai familiari luci intermittenti, in basso invece dove il computer si raccordava con il pavimento, appariva quasi nascosta dalla penombra una scanalatura apparentemente delle stesse dimensioni dell’urna funeraria e con una specie di “spinotto” che si allungava dal fondo. Lo spinotto pareva si trovasse esattamente in corrispondenza ed alla medesima altezza, della sporgenza situata sul retro dell’urna funeraria. L’idea di Wilson era quella di vedere se si poteva e doveva “raccordare” l’urna con la massa del computer, sperando che l’urna stessa non fosse destinata solo a contenere delle ceneri, ma anche a qualche cosa altro di ben più importante e fondamentale. La manovra da effettuare era in realtà di una facilità disarmante…..l’urna entrò perfettamente nello scanso che evidentemente era a lei destinato e si collegò con il computer con uno scatto secco. Subito una sirena cominciò a suonare nel vasto locale e tutte le luci del computer si spensero simultaneamente. Nello stesso tempo uno schermo ed una tastiera comparvero da un pannello che si era aperto improvvisamente……lo schermo riportava in lettere rosso fuoco in tedesco, tre frasi ben distinte e distaccate l’una dall’altra: “Cambio data lancio missili; annullamento definitivo della missione; lancio immediato di emergenza”. Ovviamente Wilson digitò immediatamente sulla tastiera che, ricordava vagamente quelle delle macchine da scrivere di anteguerra, la seconda di tali scritte e….attese fiducioso un qualche tipo di risposta. Dopo una serie ininterrotta di ticchettii sullo schermo apparve la dicitura:” Inserire entro sessanta secondi codice di sei cifre di annullamento missione, se tale codice non verrà introdotto o risulterà errato o incompleto, i missili verranno immediatamente lanciati sugli obbiettivi previsti.” Il messaggio apparso era quanto di più terrificante si potesse immaginare…..tutto ricadeva veramente adesso come un macigno ineluttabilmente sulle spalle dell’americano. Wilson ebbe il grandissimo merito di non perdersi d’animo, invece di perdere la testa e di farsi prendere dal panico incontrollato, fu incredibilmente pervaso da una calma glaciale……sessanta secondi, anzi adesso erano restati solo quaranta….e bisognava inserire assolutamente il maledetto codice di sei cifre: “.Sei cifre” Pensò Wilson…..non poteva essere che una data, una data, però che, visto che si richiedeva l’annullamento della “missione”, fosse infausta o ricordasse un ”fallimento”…..L’unica appropriata che gli venne in mente in quegli attimi concitati era quella del fallito colpo di stato, chiamato “Putsch di Monaco”, alla fine del quale Hitler era stato incarcerato per la durata di sei mesi……l’anno ed il mese Wilson se lo ricordava benissimo ma, per il giorno aveva una fatale incertezza, era quasi sicuro che si trattasse del giorno dodici….ma una vocina inopportuna e malefica, stava suggerendogli che forse si trattava dell’undici…..comunque mancavano otto secondi e bisognava tentare……dodici settembre millenovecentoventitre….ecco fatto il fosso era stato saltato. Subito sullo schermo apparve l’ennesima scritta in caratteri di fuoco che questa volta diceva: “La missione per espressa ed irrevocabile volontà del Fuhrer è stata definitivamente annullata, per completare la disattivazione del complesso premere il pulsante rosso .” Sembrava fatta, pareva che il miracolo fosse veramente avvenuto…….Wilson si affrettò a premere il pulsante come richiesto e si apprestò a leggere l’ultima scritta che stava comparendo minacciosa sullo schermo e che diceva drammaticamente: “ L’annullamento della missione equivale ad un totale e completo fallimento….la parola fallimento non compare però nel vocabolario del partito Nazionalsocialista, per cui per preservare la purezza di quanto è stato e che non potrà più essere, io Adolf Hitler, ordino la distruzione di tutto quanto è stato fatto finora per la grandezza della razza Ariana! Ma giuro che Giudaismo e Comunismo un giorno scompariranno ugualmente dalla faccia della terra!” Alla fine di queste frasi vaneggianti, ma che continuavano a trasmettere un folle odio, ne apparve un’altra….l’ultima, che diceva: “Tra trenta secondi inizio sequenza dell’autodistruzione il cui compimento è previsto nel fuoco purificatore, esattamente tra ventiquattro ore.” Dopodiché il computer apparentemente si spense e rimase solo il lugubre suono della sirena. Wilson era riuscito nel suo intento di salvare la sua famiglia e nell’impeto di salvarla….aveva salvato anche il resto del mondo….adesso restava il problema di riuscire, se possibile, a salvare anche se stesso.
CAPITOLO DODICESIMO: la fuga.
A Wilson risultò subito chiarissimo che i modi per poter fuggire dalla distruzione incombente erano sostanzialmente due: il primo, che sembrava più logico e apparentemente di facile esecuzione, era quello di rifare all’inverso il cammino percorso e di allontanarsi sollecitamente il più possibile dall’isola con il gommone……il secondo di tentare una difficile ed improbabile fuga a bordo del sommergibile, sempre posto che funzionasse ancora dopo sessant’anni di immobilità e, che si riuscisse a trovare in immersione l’imbocco dell’uscita. A prima vista la scelta sembrava ovvia ma, esaminando meglio il problema, la prima soluzione che, sembrava la più logica…..era proprio quella che per forza di cose doveva essere assolutamente scartata. Difatti se era vero che allontanarsi dall’isola in gommone, dopo averlo abbondantemente rifornito ed equipaggiato, era una faccenda apparentemente agevole, era anche vero che Wilson si trovava nell’impossibilità di allontanarsi in tempo utile ad una distanza sufficiente dall’isola prima della prevista catastrofica esplosione, che secondo logica avrebbe dovuto essere nucleare…….L’americano sarebbe certamente stato raggiunto e travolto sul suo fragile guscio dall’onda d’urto e dagli effetti secondari della deflagrazione e….non avrebbe avuto scampo. Per cui all’americano non restava che tentare l’improbabile sorte, alternativa che in un primo momento aveva decisamente scartato, con l’U Boat, cercare cioè di rimetterlo in funzione, immergersi, trovare l’uscita ed attendere l’esplosione posato sul fondo il più lontano possibile………una “cosetta da niente”, si trattava di vincere un vero e proprio terno al lotto. Mancavano ormai solo undici ore alla catastrofe e Wilson si trovava a bordo di quella che nelle prossime ore era destinata a diventare la sua nave o, più probabilmente….la sua tomba. Era riuscito a portare a bordo la maggior parte possibile dei documenti relativi alla costruzione del luogo dove si trovava recuperati negli uffici dei progettisti e, inoltre uno dei due fascicoli ed il volume nero che parlavano degli obbiettivi che il “Quarto Reich” avrebbe dovuto raggiungere. Apparentemente, all’interno dell’U Boat tutto pareva a posto….per prima cosa Wilson staccò i cavi elettrici collegati all’esterno che alimentavano continuamente le batterie del battello e che risultavano fortunatamente perfettamente cariche, poi, dopo aver acceso le luci rosse di combattimento in camera di manovra e messo in funzione una alla volta con estrema circospezione le antiquate ma efficienti apparecchiature di bordo, provò ad accendere i due possenti motori Diesel: premette un interruttore, spostò una leva ed il rombo tranquillizzante dei due propulsori innondò con un brontolio rassicurante la sala macchine del sommergibile. Per Wilson che aveva vissuto praticamente la sua vita tra motori navali di ogni tipo, riuscire a mettere in funzione e sopratutto veder “lavorare” macchinari risalenti alla seconda guerra mondiale, era come per un musicista ascoltare la melodia emessa da un vecchissimo violino “Stradivari” . A questo punto restava solo da “mollare “ gli ormeggi, chiudere il boccaporto della torretta e……provare ad immergersi. Ovviamente non si trattava del battello nucleare superautomatizzato cui Wilson era abituato…..qui tutto doveva essere eseguito manualmente e con la massima precisione oltre a tutto da una persona sola e non da un equipaggio completo. Per l’immersione non era sufficiente premere una serie limitata di pulsanti ma, chiudere dei rubinetti, girare dei volantini riempire d’acqua dei serbatoi svuotarne degli altri… e tutto doveva essere fatto al momento giusto e nella esatta sequenza. Se l’americano non fosse stato del mestiere….non sarebbe mai riuscito a fare nulla di più che ”mollare gli ormeggi” e…pregare! Per fortuna lui era capo motorista a bordo di un sommergibile nucleare…..e l’esperienza maturata in tanti anni trascorsi in mare, gli era di grandissimo aiuto. Alla fine dopo una buona ora di sforzi e di tentativi era riuscito a far posare il mostro d’acciaio sul fondo, a spegnere i motori diesel ed ad accendere quelli elettrici. Restava adesso il problema di riuscire a trovare l’uscita e di fuggire il più lontano possibile. Fortunatamente, l’U 251 era uno degli ultimi battelli varati dai cantieri tedeschi, ed era equipaggiato da uno dei primi impianti sonar esistenti. Non si trattava certo di una di quelle diavolerie elettroniche che erano usati dai moderni battelli del ventunesimo secolo…..ma era sempre meglio di niente. In fondo Wilson non doveva identificare tipo, rotta, profondità e velocità di un oggetto in movimento che si avvicinava al battello per distruggerlo…..ma solo la presenza di una apertura sulla parete di una caverna. Piano piano , dopo aver acceso l’apparato, Wilson cominciò a ruotare con estrema circospezione la manopola di controllo, osservando nel contempo il diagramma che veniva a delinearsi sul rotolo di carta: dapprima la linea risultava sempre continua….ma ad un certo punto ecco apparire una variazione evidenziata da una specie di rientranza……aveva trovato quello che cercava! Sedette al posto del timoniere, mise in marcia i motori elettrici e diresse, con estrema circospezione, la prua verso quello che sembrava l’ingresso della sua via di fuga. Il battello si staccò docilmente dal fondo e si mosse con la massima fluidità in avanti…..il primitivo sonar funzionava egregiamente e indicava senza errori la rotta da mantenere. Uscire dal tunnel fu questione di minuti e l’U 251 si ritrovò in mare aperto e risalì alla superficie. Sul fondo, ad un centinaio di metri di distanza, si stagliava la massa enorme dell’isola….mancavano ora meno dieci ore all’esplosione e Wilson mise, senza ulteriori indugi, a tutta forza i possenti motori termici con l’intento di mettere tra il sommergibile e l’isola la maggiore distanza possibile. Alla costante velocità di dodici nodi, dopo nove ore e trenta il battello aveva percorso ben centododici miglia….mancavano solo una trentina di minuti all’esplosione e Wilson spense i motori diesel e si immerse a profondità di periscopio…..voleva essere protetto dalla superficie del mare ma….voleva nello stesso tempo assolutamente assistere in prima fila a quanto stava per accadere.
Il momento era arrivato…..Ma l’esplosione tanto attesa non si era ancora verificata…….invece, come per magia, ecco irrompere nel cielo azzurro scuro la sagoma di uno, due…..tre missili che si alzavano con innata eleganza, verso l’ìnfinito: cosa poteva mai essere capitato, cosa era potuto succedere all’ultimo momento……i missili erano nonostante tutto stati lanciati e si stavano separando certamente per colpire i rispettivi obbiettivi…..forse Wilson invece che pensare a salvarsi avrebbe fatto meglio a rimanere sul posto per controllare, anche a costo di rimetterci la vita anche se non sapeva cosa ancora avrebbe potuto fare per impedire la catastrofe……..ma no….dopo aver raggiunto i tremila metri di altitudine i tre “angeli dell’apocalisse” effettuarono simultaneamente, una strettissima virata e tutti e tre assieme puntarono decisamente verso la sommità dell’isola……Wilson capì al volo e non rimase certo ad attendere gli eventi……effettuò con tutta la velocità possibile un’immersione rapida che gli consentì scendere rapidamente fino ai trecento metri…..ben al di la della profondità massima prevista dai costruttori del battello Ad un certo punto una ondata gigantesca prese con se il sommergibile e lo trasportò con lei per diverse miglia …..non si era trattato di un colpo violento….la distanza e la profondità avevano diminuito fortunatamente come Wilson aveva previsto, l’impeto dell’ ”onda d’urto” Appena riemerso l’uomo si rese conto che l’esplosione che era avvenuta era proprio una esplosione nucleare….il caratteristico fungo si stava ancora espandendo nell’atmosfera avvitandosi su se stesso ed avvelenando tutto ciò con cui veniva a contatto…….questa volta era veramente tutto finito e tutto si era risolto per il meglio La storia aveva per fortuna impedito, che tali terribili armi di distruzione non avessero potuto essere impiegate dai Nazisti prima di allora……ciò era dovuto solo alla loro innata megalomania e al loro insano e folle sogno di dominare il mondo. Restava adesso solo da fare rotta verso qualcuno che potesse raccogliere un naufrago di un sommergibile nucleare americano affondato più di un mese prima, che……si trovava a scorazzare tutto solo per l’oceano a bordo di un U Boat tedesco della seconda guerra mondiale…….qualcuno disposto ad ascoltare e a credere ad una storia che aveva dell’incredibile…..una storia che narrava di quanto il mondo fosse andato vicino ad una improvvisa distruzione, perpetrata da personaggi che tutti credevano ormai, se non dimenticati, almeno morti e sepolti. A suffragare la sua incredibile vicenda restava fortunatamente a confermare il racconto di Wilson, a parte la serie di documenti custoditi a bordo, quel mostruoso fungo che si stagliava tutt’ora all’orizzonte e la inevitabile registrazione dell’evento nucleare presso il “Norad” e nella memoria dei satelliti militare disseminati nel cielo. Adesso l’americano poteva permettersi di attendere con gioia e trepidazione il momento di ricongiungersi con la famiglia che, per alcuni terribili momenti, prima con il disastro del “California”, poi con l’avventura sull’isola, aveva temuto di avere perduto per sempre…..C’era solo una cosa ancora che tormentava l’americano……il giuramento di Hitler che prometteva comunque la fine di COMUNISMO E GIUDAISMO. Tutto sembrava ormai definitivamente concluso….i missili non esistevano più coloro che avrebbero dovuto ereditare il malefico potere del Fuhrer….morti, ma……c’era forse qualche altra occulta faccenda, legata a tale macabro giuramento, faccenda di cui nessuno era ancora a conoscenza? Il tempo e solo il tempo avrebbe forse dato un giorno una risposta a tale drammatico interrogativo.
giovedì 2 giugno 2011
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