giovedì 2 giugno 2011

Appuntamento con l'ignoto

POLO NORD, 13 agosto 1996, ore 20,00.

Il sommergibile nucleare “Roma”, sfilava veloce sotto la banchisa polare. Aveva raggiunto il Polo Nord solo per una pura soddisfazione di tutto il personale imbarcato, e si stava dirigendo verso l’obbiettivo vero e proprio della missione a lui assegnata. Da quando il battello era stato rimesso in perfetta efficienza, prima a Taranto e poi a La Spezia, erano passati tre mesi, che erano stati impiegati per eseguire tutta una serie di accuratissime prove in mare, in modo da poter testare con la massima accuratezza, le reali condizioni del sommergibile. Per fortuna le avarie ed i danni riportati nello scoppio del missile e nel susseguente affondamento, non avevano interessato per nulla le sofisticate apparecchiature del sommergibile: per riparare gli squarci nello scafo e per ripristinare le apparecchiature del locale lancio siluri di prua non c’erano stati eccessivi problemi…..rimettere in sesto il sonar danneggiato era stata invece una faccenda molto più complessa, essendo la tecnica che riguardava gli apparati radar di quel mondo parallelo, ancora agli albori……ma se con l’affondamento si fossero provocati dei danni al reattore nucleare del battello, il “Roma” non si sarebbe mai più mosso dal suo ormeggio. Alla fine però, ogni tassello era andato al suo posto e il sommergibile era tornato in perfetta efficienza A bordo, per l’ultima volta ci sarebbe stato ancora l’equipaggio originario al completo……dalla successiva missione infatti il Comandante Antinori e quattro tra i membri dell’equipaggio più anziani, sarebbero stati avvicendati da personale più giovane tutt’ora in addestramento in Italia. Era previsto infatti che, al rientro, il comando del “Roma sarebbe stato passato definitivamente al Secondo Ufficiale….il comandante Vittori. Il tempo fatalmente passava per tutti….gli anni cominciavano a pesare e, per mantenere intatta nel tempo l’operatività del battello, era necessario ricorrere all’inevitabile arrivo di “forze fresche”.
L’obbiettivo della missione, era questa volta quello di indagare su delle misteriose anomalie elettromagnetiche che si verificavano, con una sempre più preoccupante frequenza, nei pressi della banchisa polare. Tali anomalie stavano sempre più interferendo con le attrezzature elettroniche della vicina base Artica, gestita da un consorzio di nazioni della nuova nascente “Europa Unita”. Si era pensato all’inizio, alla presenza in zona, di qualche isolotto nascosto dai ghiacci formato di ferrite, ma l’ipotesi era stata scartata ben presto. Allestire una spedizione che si facesse faticosamente strada tra i ghiacci, partendo dalla base polare, era una faccenda maledettamente rischiosa, e le ricognizioni fatte per via aerea non avevano dato nessun esito, visto che la zona di banchisa in questione, risultava permanentemente ammantata da una fittissima ed impenetrabile coltre di nebbia. Ecco perché si era pensato di far intervenire il “Roma”, che, tra l’altro per l’assenza ormai definitiva di tensioni internazionali, visto che finalmente il mondo viveva ora più o meno in pace, languiva inutilizzato agli ormeggi e si sarebbe mosso solo per la normale routine di addestramento.

CENTOVENTITRE MIGLIA DAL POLO NORD, 14 agosto 1996, ore 10,00.

La nebbia, fitta ed impenetrabile, stava avviluppando con le sue spire il sommergibile, che procedeva lentamente e con estrema cautela in emersione, in una delle poche zone del mare lasciate libere provvisoriamente dai ghiacci. Tali zone si aprivano e si richiudevano in quella sperduta parte del mondo in continuazione e non avrebbero permesso al battello di rimanere in emersione a tempo indeterminato. Il loro obbiettivo si trovava a non più di un chilometro di distanza ma il sommergibile non avrebbe potuto avvicinarsi molto di più, viste le ridotte dimensioni dello specchio d’acqua gelata in cui erano emersi e si stavano muovendo. L’anomalia elettromagnetica, sulla cui natura erano venuti ad indagare, era stranamente ed improvvisamente cessata al loro approssimarsi ed era stata sostituita da una stranissima emissione regolare di onde radio molto simile ad un messaggio in codice. Però, anche con l’ausilio dei decrittatori e dell’evolutissimo computer di bordo, non si etra riusciti a venire a capo di nulla ed il presunto messaggio, posto poi che di messaggio si fosse veramente trattato, era rimasto avvolto nel mistero più fitto. L’unica cosa su cui Antinori ed il suo equipaggio erano ormai sicuri, era il fatto incontrovertibile che tutte quelle “stranezze” non potevano certo essere di origine naturale. Ad un certo punto si erano fermati ad una distanza di circa ottocento metri dal punto da dove venivano emesse le misteriose trasmissioni e, per arrivare alla loro meta, si sarebbe dovuto procedere per forza di cose, a piedi sul ghiaccio. Camminare per una simile distanza è un gioco da ragazzi….almeno nel cosiddetto “mondo civile” ma, percorrere quelle poche centinaia di metri sulla banchisa polare, era tutt’altro che semplice. Bisognava tenere inoltre conto della rigidissima temperatura, dei crepacci che si potevano aprire all’improvviso sotto i piedi di chi camminava, della nebbia che faceva perdere il senso dell’orientamento, e…..della possibilità che il sommergibile fosse stato costretto ad immergersi per il repentino restringimento dello specchio d’acqua su cui galleggiava lasciando improvvisamente soli coloro che si dovevano avventurare tra tutto quell’ingannevole “candore”. Poteva succedere anche che la nebbia venisse scacciata improvvisamente e sostituita dall’incedere di una di quelle terribili ed improvvise tempeste di ghiaccio caratteristiche di quella parte di mondo dimenticata da Dio, tempeste che colpivano i malcapitati con infinite dolorosissime punture di aghi ghiacciati, facevano perdere la giusta direzione di marcia, entrare il gelido vento tra le pieghe dei vestiti polari e rischiavano di congelare i pochi lembi di pelle del viso esposti a quel turbinio di neve ghiacciata. Gli ottocento metri da percorrere potevano essere coperti, se tutto andava bene, in una manciata di minuti come, in caso di eventi atmosferici divenuti improvvisamente sfavorevoli, in un lasso di tempo indefinitamente più lungo. Un Ufficiale, e tre Capi di prima classe al comando di Vittori, avrebbero composto il quintetto di coraggiosi, che si sarebbero incamminati in quel mondo candido e ostile; erano stati tutti equipaggiati con le tenute polari da neve, viveri e medicine, un gruppo elettrogeno, due tende ad aria autogonfianti e supportati dalla presenza di un modernissimo apparato per le comunicazioni con il “Roma”. Il tutto era stato caricato su tre motoslitte che avrebbero pure evitato alla pattuglia, la sgradita fatica del camminare sul ghiaccio. All’inizio, tutto si era svolto secondo i piani…..nonostante la nebbia fittissima, erano riusciti grazie all’indispensabile ausilio di un radiolocalizzatore, a mantenere la giusta direzione, avevano individuato ed aggirato un micidiale crepaccio, che sarebbe stato ben felice di inghiottirli, avevano dovuto girare intorno ad un lago di acqua verdastra che si era aperto da poco nel candore immacolato del ghiaccio ed alla fine, si erano incredibilmente imbattuti in qualche cosa che assomigliava moltissimo ad una gigantesca erosione del pak che, dritta come una larghissima corsia di un’autostrada ma estremamente più larga,, puntava proprio nella direzione che portava li dove si dovevano recare.
Il freddo era diventato intollerabile……le estremità erano adeguatamente protette dagli indumenti, studiati appositamente per i climi polari ma, riscaldare la faccia stava diventando un problema sempre più pressante. Il fiato tiepido emesso da ciascuno dei cinque, si stava progressivamente rapprendendo in stalattiti di ghiaccio che minacciavano di serrare loro la bocca in una morsa gelida……era oramai diventato urgente trovare un riparo per potersi proteggere un po’ dal gelo sempre più terribile….ma dove? Vittori, per evitare il congelamento del naso e delle labbra, stava già per ordinare di gonfiare le due tende ad aria, quando gli fu fatto notare dal Capo di prima classe Pagani, l’apparire, una diecina di metri avanti a loro, di una stranissima, tenue e tremula luminescenza che assumeva, a guardarla bene, una forma a cupola.
I cinque si avvicinarono con la massima cautela, fino a quasi toccare quello strano fenomeno: la strana iridescenza vista da vicino, era bellissima e aveva, assunto i colori vivissimi dell’arcobaleno. Il rilevatore di radioattività restava per fortuna muto e così, il gruppetto saltò il fosso e attraversò rapidamente e senza trovare alcuna resistenza, quella barriera di luce. Incredibilmente, all’interno della cupola, la temperatura era enormemente più mite, il termometro segnava “solo” cinque gradi sotto lo zero e, più i cinque si avvicinavano verso il centro, più aumentava. Le radiazioni si mantenevano ancora per fortuna assolutamente nella norma e invece, cosa stranissima, tutte le comunicazioni radio verso l’esterno erano diventate di colpo impossibili, come se la barriera luminosa trattenesse e non facesse passare le onde radio. Erano soli, completamente soli davanti all’ignoto. Appena entrati nella cupola, la nebbia si era completamente dileguata, lasciando intravedere più avanti, l’erosione sulla superficie ghiacciata che, mano a mano si avvicinavano al centro, diventava sempre più profonda: era come se un oggetto gigantesco avesse strisciato con violenza sul ghiaccio e alla fine della corsa ne fosse stato inghiottito e sepolto. Da tutto quel ghiaccio spostato, dai lastroni candidi maciullati, spuntava un qualche cosa di colore diverso……sembrava, a prima vista, trattarsi di un qualche manufatto di metallo scuro. Vittori si avvicinò per primo e sfiorò con circospezione quell’ oggetto che pareva emergere dal ghiaccio: si presentava, ad un primo esame, come una sorta di barile metallico con un portello inchiavardato in qualche modo sul fondo…..era certamente una qualche specie di boccaporto, l’accesso a qualche cosa di inimmaginabile sepolto sotto la coltre bianca da chissà quanto tempo.

CALOTTA POLARE, INTERNO DELLA”CUPOLA” 14 agosto 1996, ore 16,45.

Il problema più grosso che si presentava adesso, era l’impossibilità di riuscire a comunicare con il “Roma” e spiegare ad Antinori che loro stavano tutti bene ed in che cosa si erano imbattuti; tutti gli apparati radio di cui disponevano continuavano a rimanere muti sia la trasmissione che la ricezione erano bloccate……gli apparati apparivano regolarmente accesi e funzionanti, le batterie risultavano cariche, ma a parte il fruscio della statica non si sentiva ne si poteva trasmettere nulla. Vittori decise, per non preoccupare oltre con il loro forzato silenzio il personale a bordo del sommergibile, di inviare una delle tre motoslitte con il Capo di Prima classe Alessandro e il Tenente di Vascello Bari, al di fuori del perimetro delimitato dalla cupola, per fare rapporto e tranquillizzare il Comandante Antinori, intanto lui con gli altri due avrebbero studiato come aprire quella specie di boccaporto e….vedere cosa sarebbe successo.

CALOTTA POLARE, CINQUECENTO METRI DAL “ROMA”, 14 agosto 1996, ore 18,00.

Alessandro e Bari stavano procedendo con fatica verso il sommergibile, guidati dal suo potente radiofaro. Erano usciti dalla cupola senza alcun problema ma, contrariamente alle previsioni e, a quanto era successo nel viaggio di andata, non riuscivano ancora a comunicare la loro posizione ne a Vittori, ne tantomeno al “Roma”….erano in pratica ancora completamente isolati dal resto del mondo. L’unica cosa che stranamente funzionava regolarmente, era per fortuna, il radiofaro del sommergibile che continuava perlomeno a guidarli nel loro viaggio di ritorno. Gli ordini di Vittori erano quelli di comunicare subito fuori della cupola la loro situazione al sommergibile e, appena fatto ciò,di fare sollecitamente ritorno al sito di ricerca, ma dato il perdurare della incapacità di mettersi in contatto con il battello, Bari aveva deciso di sua iniziativa, di recarsi fino al “Roma” e di fare rapporto ad Antinori prima di ritornare indietro. Subito fuori dalla cupola, la nebbia li aveva immediatamente avvolti, ma ripercorrere la strada dell’andata, con la guida del radiofaro del sommergibile, sembrava in teoria un gioco da ragazzi….. dopo una mezz’ora, però, non si erano ancora avvicinati più di tanto…….la nebbia fittissima aveva impedito loro di seguire le tracce lasciate dalle slitte nel viaggio di andata e, ben presto, si erano trovati nella necessità di aggirare o peggio di superare, una infinita serie di montagnole di ghiaccio una attaccata all’altra e, pur con il riferimento del radiofaro, a forza delle continue deviazioni, in realtà faticavano alquanto ad avvicinarsi. Alla fine davanti a loro si era come spalancata una pianura candida, piatta finalmente come una tavola, alla cui estremità si intravedevano le luci di posizione del sommergibile. Pareva fatta…… Purtroppo, ansiosi di rientrare alla base dopo tanto girovagare, i due non si resero conto che il manto candido aveva proprio davanti a loro assunto piano piano, un po’ alla volta, un colore che passava dal bianco candido al verdastro: era il ghiaccio traditore nella sua bellezza che si era in quel punto assottigliato a tal punto che non avrebbe potuto reggere il peso della motoslitta e dei suoi passeggeri……e difatti, non appena i due passarono sopra quel punto maledetto, motoslitta e i suoi occupanti in un attimo furono inghiottiti, senza nemmeno il tempo di emettere un grido, in quella tomba gelata. Un momento prima i due stavano viaggiando rapidamente a bordo del loro mezzo e …..un attimo dopo si trovavano ad annaspare disperatamente, immersi in un mondo liquido, scuro, gelido e totalmente buio. Non fu almeno una morte dolorosa….non annegarono per nulla….il cuore e di conseguenza il respiro si bloccarono di colpo per la paura e per lo shok termico dovuto al terribile sbalzo di temperatura e, senza alcuna sofferenza, il loro cervello si spense gradatamente, per la totale mancanza di ossigeno, nel giro di pochi minuti.

CALOTTA POLARE, INTERNO DELLA “CUPOLA”, 14 agosto 1996, ore 20,00.

Prima di procedere al tentativo di apertura del misterioso portello, Vittori aveva fatto montare le due tende ad aria e fatto sistemare adeguatamente il campo base, battezzato per l’occasione “Base Polare Alfa”. I piccoli ma potenti generatori, avrebbero garantito il riscaldamento dell’interno dei due ricoveri, in modo da permettere al personale un comodo riposo in condizioni climatiche adeguate e di poter lavorare in piena libertà, senza l’ingombro delle tute polari. Con il passare delle ore, Vittori aveva cominciato a preoccuparsi dell’assenza prolungata dei due colleghi che aveva inviato al di fuori della cupola, ma rendendosi conto che andare a cercarli, sarebbe stata una inutile pazzia, pur con il cuore gonfio di apprensione, decise di procedere con la missione assegnatagli.
Cercare in qualche modo di aprire il portello, era ora il primo problema da affrontare. Vittori desiderava se possibile, trovare il sistema di procedere senza dover tagliare o distruggere alcunché, per cui, calatosi all’interno di quella specie di “barile”, cominciò a guardarsi intorno con la massima attenzione: sul fondo contrastavano con il colore scuro del metallo, due sporgenze rotonde dal diametro di una trentina di centimetri, una di colore rosso ed una di un verde pastello. Secondo la logica “terrestre” verde voleva dire apri e rosso….chiudi, ma quale logica era mai stata usata da chi aveva costruito il meccanismo che Vittori stava studiando con tanta attenzione? Ovviamente, non restava altro da fare che premere e….stare a vedere che cosa sarebbe successo.

SOMMERGIBILE NUCLEARE ”ROMA”, 14 AGOSTO 1996, ORE 20,00.

La mancanza di contatti con il personale inviato in missione sul pak, stava preoccupando sempre di più Antinori. Avevano in continuazione cercato di chiamare Vittori e compagni, ma nessun accenno di risposta era più arrivato dopo il loro ingresso nella cupola. Oltre a tutto, mentre prima si erano tenuti in costante contatto radio con La Spezia, dal momento in cui avevano perso i contatti con la pattuglia……anche qualsiasi tentativo di trasmettere in Italia era risultato vano…..erano completamente isolati dal resto del mondo. Antinori aveva., a questo punto, deciso di organizzare una spedizione, più numerosa della precedente, che potesse appurare cosa mai potesse essere accaduto e portare, se ce ne fosse stato bisogno, il necessario aiuto. Erano state scaricate sul pak le ultime tre motoslitte a disposizione e, dopo averle adeguatamente caricate, nove componenti dell’equipaggio, armati di tutto punto, vi avevano preso posto. Tutto era andato bene per i primi dieci metri….poi le motoslitte avevano incontrato una invisibile “barriera” che le aveva bruscamente fermate. Avevano provato a proseguire a piedi ma, il risultato era sempre stato il medesimo: una sorta di misterioso muro invisibile circondava il sommergibile, impedendo a chiunque di allontanarsene. Non c’era nulla da fare…..avevano provato di tutto, tranne gli esplosivi, essendo la barriera troppo vicina allo scafo del battello, ma il risultato era stato sempre quello: niente e nessuno si poteva allontanare di li. Antinori aveva allora provato ad immergersi, per tentare di avvicinarsi alla pattuglia sotto la banchisa ma aveva scoperto che, se la via risultava libera in ogni altra direzione, proprio quella che a loro interessava percorrere, era loro negata, anche sotto il pelo dell’acqua. In pratica se ne potevano andare dove e quando volevano, tranne che nell’unica direzione che a loro interessava. Come ultimo tentativo, si erano nuovamente immersi e da due chilometri di distanza avevano lanciato contro la barriera una coppia di siluri, senza però ottenere alcun risultato. A questo punto il Comandante, rendendosi conto che erano impotenti a fare quanto desideravano, aveva deciso di riemergere e…..di aspettare e di vedere cosa sarebbe successo.

“BASE POLARE ALFA”, 14 agosto 1996, ore 20,30.

Il momento era arrivato…..Vittori provò a premere con decisione il bottone verde….ma non successe niente, provò con il rosso ma niente sembrò accadere. Vittori, perplesso, non sapeva più che cosa fare….si sentiva impotente come poteva sentirsi un Bantù dell’Africa nera intento a cercare di aprire il portello di un carro armato. Si sentiva inadeguato e avvilito, desiderava ardentemente introdursi all’interno della struttura ma, non come un barbaro invasore che, per ottenere il suo scopo, rompe e distrugge. Purtroppo però all’interno di quella struttura aliena, a parte i due bottoni colorati, non c’era proprio altro…….stava già per risalire sul pak alla ricerca di qualcosa che lo potesse aiutare ad aprire il boccaporto, quando fu investito all’improvviso da un fascio di luce azzurrognola che proveniva dal fondo: il boccaporto si era adesso improvvisamente aperto da solo, non per l’intervento dell’Ufficiale ma…..solo quando qualcuno o qualcosa, aveva ritenuto opportuno di farlo! Sul pak erano rimasti in tre….Vittori, il Capo di prima classe Pagani ed il Capo di prima classe Vianello. All’interno dell’oggetto misterioso si sarebbero però addentrati solo in due…. Vittori e Vianello, mentre Pagani sarebbe rimasto nei pressi delle tende a tenere, se possibile le comunicazioni con i due colleghi che si stavano per introdurre all’interno di quella struttura misteriosa ed ad attendere l’eventuale ritorno di Alessandro e Bari.

SOTTO IL GHIACCIO A CINQUECENTO METRI DAL “ROMA”, 14 agosto 1996, ore 18,45

I due corpi giacevano irrigiditi nell’immobilità della morte, danzando nella corrente a trenta metri di profondità; la loro fine era stata tanto rapida che, per fortuna, aveva loro evitato ogni genere di sofferenza ed i lineamenti dei loro volti esprimevano sorpresa ma non terrore. Buio assoluto, silenzio, immobilità……..un mondo ghiacciato ed ostile che, nel giro di pochi secondi, si era rubato la vita dei due sfortunati. Ad un tratto però qualcosa cominciò a turbare la pace di quella tomba ghiacciata……una luminescenza verde intenso si avvicinava da tutte le direzioni, prima senza una forma distinta ma come una nuvola dai contorni molto vaghi, per poi assumere invece, una forma a spirale che avvolse quasi con gentilezza i due corpi per poi sparire, con il suo macabro fardello, nella frazione di un secondo.

BASE POLARE ALFA, 14 agosto 1996, ore 21.

Il momento era finalmente arrivato…..Vittori sapeva che stava per entrare in un mondo totalmente sconosciuto e che, cosa ancora più sconvolgente, qualcuno o qualcosa sapeva della loro presenza e li attendeva. I due si avvicinarono all’apertura, guardarono all’interno e si resero conto che, sulla parete del passaggio che si era aperto sotto di loro e che si addentrava verso il basso, era fissata una normalissima scaletta di metallo. Verificato che l’aria fosse respirabile e che non ci fosse pericolo di radiazioni ionizzanti, Vittori cominciò sollecitamente la discesa seguito da Vianello…….subito furono avvolti dalla luminescenza azzurra che, oltre ad illuminare il passaggio, aveva il potere di scaldarli piacevolmente.
Dopo aver percorso, discendendo rapidamente ma con infinita circospezione almeno una ventina di metri, i due si trovarono sul fondo del passaggio e si resero conto che il portello che si trovava sopra le loro teste si era silenziosamente richiuso, isolandoli completamente dal loro mondo. Un senso di angoscia avvolse di colpo i due esploratori, le comunicazioni con l’esterno tra l’altro si erano completamente interrotte e si trovavano totalmente soli. Il locale dove si trovavano adesso era circolare, con un diametro di una ventina di metri e completamente spoglio: sulla parete, ad intervalli regolari erano posizionati, per venti volte i consueti pulsanti rossi accoppiati a quelli verdi. Si doveva trattare di altrettanti ingressi che davano chissà dove……Vittori, pur immaginando che nulla sarebbe successo, cominciò a premere i pulsanti, per vedere se sarebbe riuscito a far aprire un qualche passaggio che potesse portarli più all’interno della misteriosa struttura. Come era accaduto in precedenza all’esterno, dapprima nulla sembrò accadere, era evidente che qualche cosa sarebbe successo solo e quando…e. se, qualcuno lo avesse voluto. Poi, improvvisamente un passaggio si aprì senza alcun rumore percettibile, sulla parete sulla destra di Vittori, quasi a voler invitare i due esploratori ad addentrarvisi. Il corridoio che si era aperto era leggermente in discesa, aveva una larghezza di circa una decina di metri ed era intervallato da delle strane strutture regolari che recavano nella loro parte superiore una specie di ampolla in vetro luminescente. Non si trattava certo di un sistema d’illuminazione, visto che il corridoio era illuminato già di suo da una luce intensa di un colore bianco elettrico, che cosa quegli oggetti potessero essere, nessuno dei due era assolutamente in grado di dirlo, restava il fatto che al loro passaggio ciascuno di quei globi si inclinava verso di loro come se volesse osservarli da vicino per poi tornare al loro posto una volta che i due gli avevano sorpassati. Il pavimento era solcato da una serie di tubi luminescenti fatti di un materiale che ricordava il vetro, che costringevano i due a scavalcarli per paura di poterli danneggiare. Al loro interno scorrevano e pulsavano delle nuvole di vapori iridescenti, e a toccarli emanavano una vivissima calda ed anche piacevole vibrazione. Ad un certo punto, il corridoio era terminato ed era sfociato in una sorta di “piazza” circolare delle dimensioni gigantesche….più o meno la cubatura era simile a quella di Piazza S. Pietro a Roma…….ma, la cosa più inquietante e sbalorditiva, era quella che lo slargo dove si trovavano era completamente vuoto, con le pareti curve e con al centro una specie di traliccio con, ancora una volta una sfera luminescente in cima. L’apertura che dava sul corridoio appena percorso si era subito rinchiusa alle loro spalle e non aveva lasciato alcuna traccia della sua esistenza…..qui non c’erano bottoni colorati o sporgenze di sorta…..tutto appariva completamente liscio ed uniforme. Il traliccio aveva una altezza che si poteva stimare in un centinaio di metri…….ed il tutto dava una strana sensazione di grandiosità ma anche, ed ancora di angoscia. Erano forse arrivati nel cuore della struttura o erano solo all’inizio della loro esplorazione? All’interno di cosa mai si trovavano. Erano questi gli interrogativi che si ponevano Vittori e Vianello…..interrogativi a cui dare adeguata risposta era per il momento impossibile. Intanto camminando lentamente, rapiti e nello stesso tempo intimoriti dalle dimensioni del luogo dove si trovavano, erano arrivati al centro della piazza, nei pressi di dove il traliccio si innalzava verso il nulla: girarono intorno alla strana costruzione e si accorsero che era impossibile arrampicarsi o in qualche modo salirvici, non esistevano ne scale ne tantomeno ascensori….. Tutto quello che potevano fare era girarvi intorno. Avrebbero voluto prendere come punto di riferimento il corridoio che avevano appena terminato di percorrere ma, come avevano già notato in precedenza, l’apertura che dava sulla piazza, si era già richiusa facendo loro perdere completamente l’orientamento. Tutti i punti di quel luogo erano uguali….mancava completamente qualche cosa su cui basarsi…..non avevano, stando così le cose, alcun punto di riferimento, ne nessun posto dove poter andare. Per poter capire per lo meno quando avevano terminato di compiere un giro intero della piazza, avevano lasciato a terra una torcia elettrica ……che però, dopo aver compiuto solo pochi passi era misteriosamente scomparsa. Vittori, a questo punto, si era reso conto benissimo, che li dentro dipendevano da una volontà che non era la loro e, che fino al momento in cui qualcuno non avrebbe voluto che “qualcosa” succedesse…..NULLA sarebbe accaduto. Intanto continuarono ad esaminare le pareti ricurve della piazza…..erano completamente lisce e tiepide al tatto, non sembravano costruite di metallo ma, piuttosto di una sostanza simile alla plastica; mancava poi qualsiasi tipo di iscrizione…..non c’era assolutamente nulla che si potesse identificare….niente di niente. Stavano ormai per decidere di fare una sosta per mangiare un panino e per dormire qualche ora, quando si accorsero che proprio dietro a loro, si era improvvisamente aperto l’ennesimo corridoio.



STATO MAGGIORE DELLA MARINA, Roma, 15 agosto 1996,ore 15,00.

L’improvviso silenzio radio del “Roma”, aveva mandato nel panico le alte sfere della Marina. Non si aveva la più pallida idea che cosa potesse essere accaduto al sommergibile…..la sua missione di esplorazione in apparenza non presentava particolari rischi ma, solo il fatto di viaggiare costantemente sotto i ghiacci, anche se il “Roma” era stato concepito e costruito proprio per questo scopo, era già di per se una faccenda rischiosa e gli inconvenienti o peggio gli incidenti potevano sempre essere “dietro l’angolo”.
Il sommergibile era l’unico esemplare esistente del suo genere, e l’unica nave che avrebbe potuto soccorrerlo, con le sue gigantesche dimensioni, era la corazzata “Impero”, l’ultima nata e l’unica rimasta in servizio delle tre sorelle, già mandate in disarmo tanti anni prima. A bordo di tale gigante del mare, si trovava tutto quanto potesse servire per una eventuale missione di soccorso: officine, magazzini, attrezzature di ogni tipo e, per finire, un modernissimo e capiente ospedale.Alla fine, venne deciso che se il “Roma” non avesse dato notizie di se entro il giorno dopo, la corazzata sarebbe partita subito in suo soccorso, e sarebbe arrivata al limite estremo dei ghiacci polari, se poi fosse stato necessario farla proseguire ancora, due giganteschi rompighiaccio russi le avrebbero fatto strada.

STRUTTURA ALIENA, 14 agosto 1996, ore 23,00.

Questa volta Vittori decise di fare a modo suo…..era stanco di dover agire solo e come era a lui richiesto da “qualcun altro” ed inoltre lui e Vianello avevano veramente bisogno di una sosta per mangiare e dormire qualche ora…….solo dopo avrebbero seguito l’invito di quel corridoio aperto. Per cui, dopo aver consumato un pasto frugale i due si accinsero a riposare. Dormire fuori dal proprio letto già per molta gente risulta cosa problematica…..figurarsi dormire in un ambiente di cui non si conosceva assolutamente nulla e dove si intuiva benissimo la presenza di qualche cosa o di qualcuno intenti a “studiarli”. I due esploratori si dovettero per cui accontentare di qualche sonnellino di qualche minuto, interrotto da suoni e rumori che c’erano solo nella loro fantasia. L’ultima amara sorpresa della serie, l’ebbero quando decisero di raccogliere le loro attrezzature e di mettersi in cammino: scoprirono infatti con rammarico e preoccupazione che i loro orologi si erano fermati esattamente al momento in cui erano entrati nella struttura aliena. Comunque era arrivato il momento di procedere…..imboccarono nel silenzio più assoluto che li circondava, il nuovo corridoio, della stessa larghezza del precedente ma che alle pareti non portava questa volta strutture di sorta….solo un lunghissimo “budello”, che si snodava in curve e controcurve, illuminato esclusivamente da una luce estremamente tenue, e che si addentrava sempre più nelle viscere di quella gigantesca struttura. Delle nicchie scavate nelle pareti si notavano adesso dei cubi sormontati da dei coni neri e il soffitto del cunicolo era intersecato da une infinita serie di rilievi che lo facevano vagamente assomigliare al tubo zigrinato in plastica di un aspirapolvere. Da quando erano stati privati dell’uso dell’orologio, Vittori era molto preoccupato, senza un’idea del tempo che passava, si sentiva come nudo e indifeso ed un sordo rancore cominciava a covare dentro di lui verso questa “entità” che pareva proprio volerlo volutamente prendere in giro.

TARANTO, PONTE GIREVOLE, 16 agosto 1996, ore 18,30.

Vedere passare la grande nave era, per i Tarantini, sempre uno spettacolo da non perdere. Le fiancate del gigante del mare quasi sfioravano le banchine, e lo sfilare che non finiva mai verso il mare aperto, aveva un qualche cosa di grandioso…….era la nave da guerra più grande in assoluto costruita da mani Italiane. La sua costruzione era cominciata negli anni quaranta ed era stata ultimata solo dieci anni dopo, mentre le sue tre sorelle già venivano mandate in pensione. La situazione mondiale, diventata tranquilla e stabile dopo che, l’intervento del “Roma” aveva scongiurato l’inizio della seconda guerra mondiale, non aveva reso necessario mantenere in servizio quattro corazzate, per cui era stato deciso di continuar a far navigare solo l’ultima nata, su cui si era potuta sviluppare tutta la tecnologia più evoluta di quei tempi. Dopo che il “Roma” era diventato parte integrante della dimensione in cui si era venuto a trovare, parte della sua tecnologia era stata “travasata” sulla corazzata per quanto riguardava l’elettronica e, solo parzialmente gli armamenti. I radar e gli apparati elettronici di cui il sommergibile era dotato, erano stati in grandissima parte copiati e riprodotti e le loro caratteristiche divulgate a tutto il mondo, in modo da risultare utili ad ogni nazione. Missione della nave era quella di avvicinarsi più vicino possibile all’ultima posizione nota del “Roma” e poi…..si sarebbe visto cosa poter fare per porgere un eventuale soccorso.

SOMMERGIBILE NUCLEARE “ROMA”, 16 agosto 1996, ore 08,45.

A bordo del “Roma” tutto si svolgeva come al solito. A parte la preoccupazione per il personale di cui non si avevano notizie, l’impossibilità di comunicare con chicchessia, e la presenza di quella misteriosa barriera che impediva a chiunque di incamminarsi verso i compagni in perlustrazione, la vita di bordo si svolgeva normalmente. Antinori per cercare di comunicare con il mondo esterno aveva provato proprio di tutto ma….non c’era stato nulla da fare, dalla posizione in cui si trovavano era impossibile qualsiasi genere di comunicazione. Purtroppo un altro problema stava sorgendo adesso: come previsto all’inizio della missione, la piccola laguna dove il sommergibile stava attualmente galleggiando, si stava rapidamente richiudendo ed il “Roma”, nel giro di qualche ora al massimo, per non rimanere intrappolato e successivamente stritolato dalla spaventosa pressione esercitata dai lastroni di ghiaccio della banchisa polare, avrebbe inevitabilmente dovuto immergersi in profondità e cercare di trovare un altro luogo libero dai ghiacci, il più vicino possibile alla sua attuale posizione, dove riemergere.

STRUTTURA ALIENA, data e ora imprecisate.

La fine del corridoio pareva non arrivare mai……avevano percorso di sicuro svariate centinaia di metri….tutti uguali uno all’altro, percorsi nella penombra. Un vago senso di angoscia e di disagio stava facendosi strada nella mente di Vittori e del suo collega…tutti e due cominciavano a domandarsi che cosa mai ci facessero in quel luogo e…..chi glielo avesse mai fatto fare a partire verso l’ignoto. Non avevano la minima sensazione sulla distanza percorsa fino a quel momento, avevano perso completamente la nozione del tempo….continuavano a camminare e a camminare, senza sapere in che luogo fossero e dove stessero andando. Se fossero state persone normali, probabilmente avrebbero ceduto alle loro paure ancestrali e cercato di tornare indietro ma, trattandosi di uomini fuori dal comune e temprati da tutto ciò che in passato avevano dovuto sopportare, riuscirono a liberarsi dai pensieri più neri e a far prevalere invece, la razionalità e la curiosità per quello che avrebbero trovato, mantenendo nello stesso tempo ancora intatto il loro spirito d’avventura. Sulle pareti del tunnel, fino a quel momento lisce ed uniformi, cominciarono di colpo ad apparire al posto delle nicchie delle aperture regolari….alla distanza di dieci metri esatti una dall’altra. Incuriositi i due si addentrarono in una di esse per investigare….non erano molto lunghe ed alla loro fine, Vittori e Vianello si resero conto che sfociavano in una galleria molto più grande: cercarono allora di addentrarsi per qualche metro all’interno di questa, per vedere dove potesse mai portare ma, appena messovi piede, per poco non furono travolti da una fortissima corrente d’aria che, solo per miracolo non li aveva scaraventati nel nuovo tunnel e portati via con se sballottati e travolti come foglie al vento. Si trattava di una corrente d’aria fortissima che scorreva impetuosa come un “tornado”, ma che a differenza di quel fenomeno atmosferico, era completamente silenziosa. Evidentemente la strada da seguire non era quella e i due ritornarono nel corridoio principale e continuarono a percorrerlo. Alla fine, finalmente una luce molto vivida cominciò ad apparire alla fine del corridoio: mancavano ormai solo pochi metri per arrivare al suo sbocco. Quando i due stavano già per uscire dal tunnel, all’improvviso il terreno mancò imprevedibilmente sotto i loro piedi: caddero per non più di un metro e si ritrovarono a scivolare distesi sulla schiena come in un gigantesco scivolo di un parco giochi…….non c’era alcun modo per fermare la discesa, la pendenza era molto accentuata e il tragitto assolutamente rettilineo. Alla loro destra vedevano sfilare, una serie di strutture che non riuscivano assolutamente ad identificare, anche perché la loro velocità era molto sostenuta e…..la paura tanta. Alla loro sinistra il loro “scivolo” pareva costeggiare una parete dall’aspetto vetroso, che conteneva una qualche sorta di liquido rossastro che ribolliva in continuazione…..solo immaginare che cosa potesse essere e a che cosa potesse servire…..era un rebus per i due completamente irrisolvibile, a destra invece delle strane figure luminescenti sembravano protendersi verso di loro come in un misterioso gioco, per poi dileguarsi di colpo Alla fine lo scivolo piegò rapidamente verso destra e si aprì verso una piattaforma che pareva fatta apposta per accoglierli…..dopo un paio di rotoloni alla fine i due si erano fermati completamente indenni, anche se un po’ storditi. Una nuova tessera del “puzzle” delle loro scoperte stava per andare al suo posto: se prima erano stati meravigliati dalle dimensioni della piazza….adesso i due rimasero allibiti da quello che si presentava davanti ai loro occhi: una volta scesi dalla piattaforma, si trovavano a dover superare, se volevano proseguire, un abisso che pareva loro quasi non avere fine, passando sopra una sorta di ponte largo al massimo un paio di metri e senza la protezione di nessun parapetto. Sporgendosi un po’ nell’abisso, il fondo si intravedeva benissimo, ma quantificarne la profondità, senza adeguati punti di riferimento, era assolutamente impossibile…..si capiva però che doveva trattarsi dell’ordine di centinaia di metri. La fine della passerella si intravedeva in lontananza ….molto molto lontana. Un’altra cosa che faceva loro letteralmente girare la testa, era il fatto che il soffitto non si riusciva proprio a vederlo. I due, appena addentratisi nella passerella per proseguire la loro esplorazione, furono immediatamente avvolti dal terrore e da un vivissimo senso di vertigine: un reale pericolo di cadere nel vuoto in verità non c’era, data la relativa larghezza della passerella, ma il sentirsi dei puntolini spersi in quell’universo di tale immensità, senza alcun punto di riferimento se non lo stretto sentiero che stavano percorrendo, rischiava di farli impazzire. Tuttavia bisognava proseguire non essendoci nessuna altra alternativa possibile. Verso il centro del gigantesco antro, come per rendere ancora più drammatica la situazione, di colpo la luce, già molto tenue, venne di colpo a mancare e tutto piombò nel buio più completo. Solo la ragione riuscì a mantenere Vittori calmo, riuscì a ricacciare a fatica indietro le sue paure ancestrali che minacciavano di assalirlo e travolgerlo, Vianello, invece, in piena crisi di nervi stava per cedere al terrore e mettersi a correre in modo incontrollato, rischiando di precipitare fatalmente nel vuoto. Solo la voce un po’ imperiosa e un po’ suadente dell’Ufficiale riuscì a tranquillizzare il collega….piano piano la logica e la tenacia ripresero il dominio della situazione ed i due esploratori presero a strisciare lentamente, a carponi, nel buio più completo, lungo la lunghissima passerella. Ogni tanto, essendo impossibile mantenere un percorso completamente rettilineo al buio, le loro mani arrivavano sull’orlo del vuoto, erano allora colpiti da una scarica potente di adrenalina e….capivano che dovevano “raddrizzare” il percorso che stavano compiendo e continuare a procedere….avanti sempre avanti nel loro percorso allucinante.

SOMMERGIBILE NUCLEARE “ROMA”, 16 agosto 1996, ore venti.

Ormai da quando erano stati costretti ad immergersi, erano passate ore…..la macchina del ghiaccio in quelle zone dimenticate da Dio, dava sempre la solita risposta: “ghiaccio spesso” sopra le loro teste e l’emersione continuava ad essere impossibile. Il pensiero di Antinori e di tutto l’equipaggio andava ai compagni di cui si erano perse le tracce…..ma, purtroppo non potevano fare nulla per aiutarli, soprattutto se continuavano a rimanere in immersione. Alla fine, a forza di girare in tondo, a circa tre chilometri dal punto dove erano stati costretti ad immergersi, avevano trovato un’ampia zona di ghiaccio relativamente più sottile: non sarebbero riusciti a sfondarlo emergendo con la torretta ma, avrebbero potuto tentare di frantumare i lastroni candidi con l’ausilio dell’esplosione provocata dal lancio di due siluri. Il tentativo, fortunatamente, ebbe il successo sperato ed il sommergibile tornò a rivedere la luce del sole, anzi….la consueta e maledetta nebbia. Adesso erano si….. emersi di nuovo, ma la situazione non era per nulla cambiata: comunicazioni con l’esterno sempre “azzerate” e distanza dalla pattuglia in perlustrazione più che triplicata…..tutti si sentivano inutili ed impotenti. Antinori si era recato personalmente con una motoslitta verso la direzione della “Base Polare Alfa” ma, come in precedenza, a circa cinquecento metri dalla base si era scontrato con la solita invisibile ma impenetrabile barriera, che gli aveva impedito di proseguire.

STRUTTURA ALIENA, data e era imprecisate.

Il tormento pareva non avere fine…..senza l’ausilio degli orologi avevano perso la cognizione delle ore che passavano. Quanta strada avessero percorso in quelle condizioni e quanta ne restasse da percorrere ancora era un mistero. Ad un certo punto avevano deciso di fermarsi per mangiare e riposare almeno un po’ .Per rompere la monotonia e darsi coraggio avevano cominciato a cantare in coro tutte le vecchie care canzoni che sono nel cuore di tutti e, alla fine, dopo aver intonato a squarciagola le note di “Romagna Mia”…… erano scoppiati in uno scroscio di risa incontrollabile ma liberatorio, che era riuscito ad allentare almeno parzialmente la tensione accumulata fino ad allora. Vittori non era in grado di comprendere se ci fosse, all’interno di quella struttura, una qualche sorta di ”entità” che volesse metterli in qualche modo alla prova o se invece, tale “entità” stesse semplicemente eseguendo le sue normali funzioni, ignorando bellamente la presenza dei due intrusi. Lo spegnimento delle luci era per esempio stato fatto per mettere loro due in difficoltà e vedere come avrebbero reagito o, semplicemente, perché il buio in quel momento era cosa necessaria per il normale funzionamento di quel mondo misterioso. Fatto sta che il tempo passava e poco dopo che i due si erano rimessi in cammino strisciando, improvvisamente la luce tornò di colpo, questa volta vivida e violenta come non mai. Proteggere gli occhi dal chiarore improvviso non fu affatto cosa facile e per abituarsi a “tanto splendore” furono necessari parecchi minuti. Dopo, per fortuna, Vittori e Vianello poterono per lo meno sollecitamente arrivare alla fine della maledetta passerella ed inoltrarsi in un nuovo tunnel che si stendeva davanti a loro. Intanto, come per tagliare loro la strada da un possibile ritorno……la lunghissima passerella era scomparsa, lasciando dietro di se solo il terrificante vuoto dell’abisso senza fine. Adesso era indispensabile procedere in avanti…..la strada per un eventuale ritorno non esisteva più, per cui i due esploratori si incamminarono in quello che sembrava un budello di pochi metri di diametro che si snodava ancora una volta in una serie infinita di curve e controcurve. Alla fine ecco apparire una visione che aveva dello sbalorditivo…..sembrava che i due fossero arrivati sulle rive di un gigantesco lago dalle acque rosso rubino: le rive digradavano verso l’”acqua” in una sorta di spiaggetta colore smeraldo, mentre il tutto appariva sormontato da una specie di volta color oro. In apparenza il loro viaggio terminava li……non c’era nessun posto dove poter andare………Vittori si inginocchiò con la massima circospezione ed immerse nel liquido rosso l’antenna dell’apparato radio in loro dotazione, con il drammatico risultato di vederla liquefarsi in una nuvola di vapore ribollente. Evidentemente si trattava di una qualche sorta di acido, ma il perché esistesse ed a cosa potesse servire quel lago…..era, come di consueto, un mistero assoluto. Non potendo tornare indietro Vittori decise di percorrere il perimetro del lago per vedere se ci fosse la possibilità di trovare un qualche “passaggio” che li potesse far progredire nella loro ricerca, i chilometri si susseguivano monotoni, ed una specie di cupa apatia sembrava pervadere di nuovo i due: il paesaggio infatti si dimostrava di una monotonia sconcertante e, a parte i tre colori che caratterizzavano il tutto, null’altro di diverso appariva all’orizzonte. Ma la cosa più sbalorditiva era la dimensione pazzesca che caratterizzava quel mondo sotterraneo e, considerando che con ogni provabilità i tre si trovavano all’interno di una astronave aliena, la faccenda appariva ancora più incredibile e ancora sconcertante. Dopo alcune ore di cammino, Vittori aveva deciso di fare sosta per la notte….o meglio per dormire un po’, visto che la luce di quel cielo giallo era sempre rimasta fino a quel momento, assolutamente inalterata. Il solo fatto di dormire in quelle condizioni era tuttavia una faccenda molto aleatoria….la stanchezza e la tensione nervosa accumulata fino ad allora, non riuscivano facilmente ad avere il sopravvento sulla preoccupazione e sul disagio dovuto alla stranezza del posto in cui si trovavano…..solo dopo un certo tempo passato a girarsi e a rigirarsi nei sacchi a pelo, un nervoso torpore si era impadronito dei due esploratori di quel mondo pazzesco e, li aveva catapultati in un sonno quanto mai leggero ed agitato. Ad un certo punto, fidando solo sulla sua percezione del tempo, Vittori decise che era arrivato il momento di alzarsi e di proseguire il cammino, quando, volgendosi per un attimo indietro, si rese conto della presenza di un vortice che increspava il liquido ad una dozzina di metri dalla riva……era evidente che si trattava di un qualche cosa inviato da qualcosa o qualcuno per loro, visto che oltre al vortice era comparsa un’altra ”maledetta “ passerella che portava dalla riva fino allo strano fenomeno. Era certamente una sorta di invito a percorrere tale angusto passaggio e, come al solito, l’impressione fondamentale che Vittori e Vianello avevano di tutto il loro viaggio, era il fatto che non erano affatto loro due ad esplorare liberamente quel luogo sconosciuto ed alieno, ma che entrambi erano costantemente “pilotati” da qualche cosa o qualcuno, verso un luogo ben preciso attraverso un itinerario ben definito. La sensazione che i due provavano era di avvilimento e di completa impotenza…..erano stati privati da subito della possibilità di comunicare con l’esterno, della possibilità di misurare autonomamente il tempo con l’ausilio degli orologi e, soprattutto di potersi recare dove meglio avrebbero voluto. Anche questa volta, per forza di cose, era dunque necessario adeguarsi e procedere attraverso un itinerario che era evidentemente stato “disegnato” per loro e sperare per il meglio…….per cui si apprestarono ad attraversare la stretta passerella che si addentrava in quel mare di acido. Il passaggio anche questa volta risultava molto stretto, un metro e mezzo di larghezza al massimo, sufficiente dunque per essere percorso in sicurezza ma, per evitare problemi, per esempio una improvvisa mancanza di luce come era accaduto in precedenza, i due si accinsero ad addentrarsi nello stretto passaggio ancora una volta a carponi. La luce per fortuna questa volta rimase sempre costante e i due non dovettero sopportare la tremenda sensazione della paura di cadere nel lago di acido. A circa metà strada dal vortice che appariva in lontananza, furono colpiti dal fatto che accanto a loro, alla distanza di due o tre metri, erano comparsi degli strani aggeggi a forma di manico di ombrello rovesciato, che sembravano seguire, con movimenti di rotazione attorno al proprio asse, ogni movimento dei due esploratori . Alla fine della stretta passerella ecco apparire quello che da lontano era sembrato un vortice……da vicino invece Vittori e Vianello poterono constatare che si trattava invece di un ingresso ad un nuovo tunnel, ingresso che era contornato da una nebbia verde che sembrava vorticare su se stessa. Vittori non sapeva cosa pensare……si doveva entrare, attraversando una volta di più l’ignoto, tornare indietro verso la spiaggia da dove cominciava la passerella, o semplicemente attendere pazientemente gli eventi. La decisione da prendere, se errata, poteva costare la vita a tutti e due e la responsabilità da sopportare risultava alquanto pesante. Anche Vianello non sapeva cosa pensare…..ma come al solito la decisione l’avrebbe presa qualcun altro per loro: la passerella infatti a partire dalla spiaggia, aveva cominciato a ritrarsi progressivamente e nel giro di una trentina di secondi sarebbe letteralmente scomparsa da sotto i piedi dei due, con la conseguenza di farli piombare nell’acido. Ai due non rimaneva ovviamente altra alternativa se non decidersi a saltare e così fecero. Non fu certo una faccenda gradevole……il salto in se stesso non era risultato affatto ne lungo ne difficoltoso, si trattava di superare un dislivello di poco più di un metro in lunghezza…… il fatto era solo che non erano atterrati su nulla di solido ma si erano trovati a “galleggiare” in una specie di limbo dove mancavano totalmente luce e suoni. Vittori ed il compagno non erano questa volta per nulla terrorizzati…..una sorta di voce interiore si era come insinuata dentro di loro tranquillizzandoli e cullandoli, non era una voce vera e propria ma come una sensazione non ben definita che voleva spiegare loro di non essere assolutamente in pericolo. Non si sentivano però più padroni del loro corpo, anzi non lo percepivano nemmeno più……sentivano la loro mente fluttuare nel nulla più assoluto, sentivano una presenza che gli sondava e si introduceva negli angoli più reconditi della loro mente risucchiandone i pensieri. Poi, all’improvviso tutto era di colpo cessato e i due si erano di colpo ritrovati riversi a terra, in uno slargo che dava l’origine ad una nuova galleria. Vittori si sentiva come svuotato…..gli pareva che qualcuno, con l’intruffolarsi dentro la sua mente, lo avesse come violentato e “frugato” nei suoi pensieri più intimi. Non era certo una bella sensazione…….i due si sentivano avviliti e depressi rendendosi conto che erano nelle mani di qualcuno, enormemente più “grande” di loro, che li stava trattando, nella migliore delle ipotesi, come giocattoli. Come al solito era necessario rassegnarsi all’inevitabile e procedere verso la dove qualcuno voleva che andassero. Questa volta il tunnel che stavano percorrendo, per fortuna in piano, era molto più stretto di quelli precedenti ed anche molto più corto, sfociando infatti quasi subito nella struttura più gigantesca che si potesse immaginare……si trattava di un antro di cui non si poteva intravedere la fine, e la cui altezza sfiorava in più o in meno i duecento metri. La larghezza era altrettanto sbalorditiva ed era ridotta parzialmente solo dal fatto che le pareti erano ricoperte da scaffali e vetrine di svariatissime dimensioni. Ognuno di ciascun ripiano o vetrina, portava incisi alla sua base una serie di caratteri che assomigliavano moltissimo a quelli cuneiformi……si trattava senza alcun dubbio di una qualche sorta di scrittura. Gli oggetti che si trovavano li riposti erano quanto di più misterioso si potesse immaginare…..all’inizio Vittori aveva pensato che potesse trattarsi di un immenso magazzino di parti di ricambio necessarie a quella titanica struttura ma, poi aveva notato con grandissimo stupore, che all’interno di alcune vetrine, si trovavano degli esseri totalmente alieni che una volta dovevano senza dubbio essere stati vivi. Si trattava di migliaia e migliaia di scaffali, tutti pieni di esseri ed oggetti a loro due totalmente sconosciuti……ogni colonna di scaffali conteneva animali e cose completamente diverse dalla precedente. Si resero conto che all’inizio di ognuna di tali serie di scaffali era sospesa quasi a galleggiare nel vuoto, la riproduzione fedelissima del mondo a cui gli occupanti di tali scaffali appartenevano…….sembrava che Vittori e Vianello fossero capitati nel cuore di un colossale “museo” che conteneva esemplari presi dalle razze che popolano l’universo. Chi poteva mai essersi preso la briga di fare tutto ciò, costruire e far viaggiare un mostro di quelle dimensioni, prendere e catalogare milioni e milioni di “pezzi” trovati in giro in chissà quali mondi? E perché fare una cosa del genere…..quale poteva essere lo scopo di tutto ciò…..la curiosità, la “fame“ di conoscere o chissà cosa mai d’altro? I due esploratori giravano allibiti per l’antro gigantesco riempiendosi la vista di tutto ciò vedevano, con la telecamera portatile riprendevano tutto quanto era possibile e si sbalordivano sempre di più a vedere quale potesse essere la “fantasia” del Creatore che aveva dato il via alla vita, in maniera così mirabilmente varia. Fino a qualche giorno prima, l’esistenza degli alieni era stata solo ipotizzata e non era mai potuto essere dimostrata…..adesso, invece, avevano di colpo davanti agli occhi la visione di mondi , esseri e oggetti, di cui mai si era sospettata l’esistenza e che mai occhio umano aveva mai visto o sperato di vedere! Proseguendo nel loro cammino, si erano imbattuti improvvisamente in qualche cosa di drammaticamente familiare….gli oggetti riposti sugli scaffali erano quelli usati da loro tutti i giorni…..gli animali rinchiusi nelle bacheche erano quelli che si trovavano sulla terra ed infatti, la riproduzione del nostro pianeta “galleggiava” ben riconoscibile nelle sue forme, all’inizio della colonna di scaffali a lui riservato. A parte tutti gli animali di ogni dimensione che popolavano il nostro pianeta, c’era veramente di tutto…..trattori, automobili, riproduzioni in scala di navi ed aerei così fedeli da rasentare la perfezione. Ma guardando meglio Vittori si rese conto, sbiancando in volto preso dall’emozione, che non si trattava mica di riproduzioni di oggetti…..navi treni ed aerei erano veri e reali, solo che con qualche tecnica a noi sconosciuta….erano stati miniaturizzati con tutto quanto potevano contenere! Era una cosa allucinante…..ecco il Jumbo Jet dell’Alitalia scomparso misteriosamente tre anni prima, ecco la “Napoleon” la nave da crociera dispersa vicino alle Bermude e mai più ritrovata con tremila passeggeri a bordo…….era una faccenda pazzesca! Cosa ne era stato di chi era a bordo? Erano stati miniaturizzati anche loro, uccisi a parte e gettati via o classificati a loro volta come campioni in qualche scaffale o bacheca o scambiati con chissà chi come si fa con le figurine? Effettivamente, proseguendo nella loro esplorazione, si erano imbattuti ad un cero punto, in speciali contenitori trasparenti che contenevano esseri umani di tutte le età, razze e periodi storici. Tutti si trovavano in pose le più naturali possibili….sembrava che la vita li avesse lasciati proprio in quel momento. In fondo, dove iniziava una grande serie di contenitori ancora vuoti, Vittori e Vianello si fermarono sbalorditi e terrorizzati, ad osservare due sagome familiari che occupavano gli ultimi due contenitori……..Per poco non caddero a terra per lo shok ….all’interno dei due contenitori i due esploratori avevano immediatamente riconosciuto i due colleghi che avevano inviato a dare notizie della loro situazione al sommergibile…..Alessandro e Bari sembravano quasi guardarli, sereni e sorridenti, dal loro sonno eterno. Era una faccenda allucinante…..erano stati vivi quando qualcuno gli aveva introdotti la dentro, o ve gli avevano messi da morti, raccolti magari sul ghiaccio o all’interno di un crepaccio dopo una disgrazia…..e a cosa potevano mai servire tutti quelli scaffali ancora vuoti e quelle bacheche con la porta aperta che parevano aspettare un nuovo inquilino? C’era forse posto per loro due? E se qualcuno avesse avuto l’intenzione di “miniaturizzare” il “Roma” per collezionare pure lui? Vittori si rese immediatamente conto che a questo punto, con gli eventi che si stavano verificando che diventava assolutamente necessario interrompere la missione, cercare di uscire dalla struttura che, se prima li incuriosiva, adesso li terrorizzava…..e sopra ogni altra cosa fare rapporto ad Antinori per poi prendere, se ancora possibile, le decisioni del caso.

SOMMERGIBILE NUCLEARE “ROMA”, 25 agosto 1996, ore 20,00.

.I giorni erano passati monotoni a bordo del sommergibile e nulla di nuovo era più accaduto. Antinori aveva deciso che avrebbe lasciato sulla banchisa una piccola parte dell’equipaggio, con tende ad aria calda, viveri medicinali ed acqua, nella speranza che qualcuno della “Base Polare Alfa” si facesse prima o poi vivo. Il “Roma” si sarebbe immerso e diretto fuori della banchisa polare per poter comunicare in Italia quanto stava loro accadendo. Alle ventitré l’organizzazione della nuova base sul ghiaccio, denominata “Base Artica Zebra” era terminata, ed il sommergibile, con la stessa grazia di un gigantesco delfino si immerse rapidamente a cento metri di profondità.

STRUTTURA ALIENA……25 agosto 1996, ore 20,00.

Dopo tre giorni di preparativi LUI decise che la trappola per incastrare l’ultimo oggetto dei suoi desideri in ordine di tempo, era pronta per scattare: una sorta di “gigantesca scatola” senza coperchio era stata approntata dalle migliaia di robot a sua disposizione e stava scorrendo, spinta da silenziosissimi servomotori, rapidamente sotto l’acqua gelata. Quando avrebbe raggiunto il prossimo “pezzo pregiato” della sua collezione, si sarebbe posizionata sotto di lui, il coperchio sarebbe stato fatto scorrere a chiusura …..ed il resto sarebbe venuto da se, come succedeva sempre. Ma questa volta LUI sarebbe rimasto con in mano un pugno di mosche, infatti imprevedibilmente ed inopinatamente, ciò che considerava già come suo…..si era improvvisamente immerso ed allontanato, proprio a pochi minuti dallo scattare della trappola preparata con tanta cura. LUI non era abituato a “perdere” ma la sua sconfinata intelligenza riuscì a tenerlo calmo…..ci sarebbe stata senza dubbio una nuova occasione, bastava saper attendere!

SOMMERGIBILE NUCLEARE “ROMA”, subito al di fuori della banchisa polare, 27 agosto 1996, ore 11,00.

Non appena riemersi in mare aperto Antinori era subito riuscito a mettersi finalmente in comunicazione con l’Italia, aveva fatto rapporto allo Stato Maggiore della Marina, ed aveva appreso dell’arrivo della corazzata “Impero” che stava per unirsi a loro. Le due unità si sarebbero incontrate in mare aperto la sera stessa e allora e solo allora si sarebbe deciso che cosa fare.

STRUTTURA ALIENA, giorno ed ora non identificati……

Tornare indietro e cercare di ripercorrere la stessa strada dell’andata poteva sembrare la cosa più logica da fare, almeno sapevano dove andare conoscendo già il percorso: c’era però il problema di ripassare attraverso il lago di acido con la passerella che era scomparsa, ripercorrere il maledetto ponte sul vuoto dell’abisso, posto sempre che fosse possibile farlo ricomparire, posto che fosse poi possibile risalire lo scivolo che li aveva portati verso il basso, ed in fine posto, per l’ultima volta, che fosse possibile riuscire a trovare e a far aprire le porte, che si erano sollecitamente chiuse alle loro spalle senza lasciare traccia alcuna della loro esistenza. Era, in definitiva, una soluzione assolutamente da scartare, vista la completa impossibilità di poterla realizzare….ma era anche drammaticamente l’unica a loro disposizione. Tuttavia gli ostacoli che si presentavano davanti alla loro apparentemente unica via di fuga, facevano pensare che sembrava che qualcuno non volesse che loro potessero ripassare di li. Il fatto era, che era diventato indispensabile poter uscire al più presto e……se indietro non si poteva per ovvi motivi, tornare….bisognava andare avanti anche se non sapevano proprio….verso dove! Continuando a camminare, avevano fatto un’altra scoperta sconvolgente: verso la fine della sezione dedicata al nostro pianeta, avevano individuato una delle tante bacheche in vetro, ma questa volta diversa e più grande delle precedenti e sopratutto collegata alla parete da tutta una serie di tubi trasparenti contenenti dei fluidi multicolori. All’interno del contenitore si poteva intravedere una forma che si agitava scompostamente sempre di più al loro appressarsi…….si trattava di una bella ragazza bionda, vestita ancora con la divisa azzurra da hostess e viva più che mai, che cercava in tutti i modi, avendo visto i due avvicinarsi, di attirare la loro attenzione. Come fare per tirarla fuori di la senza ucciderla e senza farsi scoprire……il solo fatto di lasciarla la, non era nemmeno una cosa da pensare, per cui Vittori, deciso più che mai a compiere il suo dovere, si avvicinò alla ricerca di qualche cosa che permettesse di aprire il contenitore e far uscire la ragazza. Nei pressi della bacheca non c’era nulla che potesse ricordare un interruttore od una qualsiasi chiusura, le pareti li vicino apparivano lisce e perfettamente uniformi. Vittori, assalito dalla disperazione, stava già per usare gli attrezzi metallici che aveva in dotazione per fracassare il contenitore, quando colse un movimento della giovane che gli indicava disperatamente un punto accanto alla parete, dalla parte opposta al contenitore trasparente. Li era posizionata una stranissima scatoletta delle dimensioni di un cellulare. Non presentava all’apparenza nessun tasto, ma osservandola bene Vittori si rese conto che la scatoletta aveva le stesse identiche dimensioni di una scanalatura alla base della bacheca. Sembrava proprio che l’oggetto in questione andasse inserito proprio in quella scanalatura e l’Ufficiale fece proprio così.

CAMERA ASETTICA DI ….LUI

Una spia verde si era accesa nel gigantesco computer…..qualcuno aveva violato l’integrità di uno dei suoi campioni preferiti e il qualcuno in questione non poteva che essere uno di quei due esseri che LUI fino ad allora, si era dilettato a guardare ed a studiare pilotandoli proprio li dove LUI desiderava che andassero. Lo studio era per LUI ormai terminato, aveva appreso da loro quanto gli poteva interessare ed ora…… avrebbe avuto tre esemplari vivi con cui divertirsi, invece di uno solo bastava avere un po’ di pazienza….tanto il tempo per LUI non mancava certo ed inoltre aveva un significato completamente diverso dal valore che al tempo ed al suo passare, attribuivano gli esseri umani. La ragazza, era la prima di quegli esseri che LUI era riuscito a mantenere in vita dopo averla portata fuori dal mezzo in cui volava……gli esseri umani, così si chiamava quella specie aliena, erano troppo fragili e delicati, ed i suoi robot non riuscivano assolutamente a maneggiarli senza distruggerli. LUI fino ad allora, nei suoi precedenti viaggi nello spazio profondo, si era limitato inoltre ad impossessarsi di esseri viventi che avevano già concluso il loro ciclo vitale e mai si era cimentato nell’impresa di “collezionare” esseri viventi….vivi. La ragazza era stato il suo primo successo dopo migliaia di tentativi infruttuosi, adesso LUI aveva finalmente imparato come fare, ed aggiungere altri “campioni” vivi alla sua collezione sarebbe stato molto più facile.

STRUTTURA ALIENA, giorno ed ora non identificati…..

L’inserimento della scatoletta aveva provocato l’immediata apertura del contenitore e la ragazza, con il volto trasfigurato dalla gioia, aveva subito buttato le braccia al collo dei due soccorritori. Aveva soggiunto, subito dopo, di seguirli immediatamente e senza alcun indugio, visto che lei sapeva cose che loro non potevano conoscere…..compreso forse il modo per uscire di li e tornare alla superficie. Convenevoli e spiegazioni dovevano essere assolutamente rimandate a dopo, sempre se ci sarebbe stato un dopo. Li vicino, nascosta parzialmente da uno scaffale vuoto, c’era una piccola apertura, grande pressappoco come una porta. Vanessa, così si chiamava la ragazza, li fece entrare all’interno: sul fondo, alla fine di un marciapiedi, stazionava una fila di vagoncini che ricordavano vagamente quelli delle giostre…. non erano dotati di sedili ma avevano una specie di pedana rialzata destinata a contenere materiali e chissà cos’altro. Si accomodarono tutti e tre a bordo del primo e non appena la ragazza premette un bottone rosso, furono catapultati in avanti ad una ventina di chilometri l’ora. Il tunnel da dove erano partiti, si era subito allargato in maniera significativa, molti altri tunnel erano confluiti nel loro e una miriade di vetturette come quella che occupavano, sfrecciavano avanti e indietro, tutte completamente vuote.Vanessa disse che per una buona mezzora sarebbero stati al sicuro e che, finalmente, avrebbero potuto parlare e spiegarsi. Loro tutti, raccontò, erano in balia di LUI….una entità aliena dotata di una enorme intelligenza, che proveniva dallo spazio più profondo…..la ragazza non l’aveva mai vista, ne sapeva dove si trovasse in quella gigantesca struttura, ne che aspetto avesse. Sapeva solo che era apparentemente dedita a raccogliere e catalogare, tutto quello che poteva trovare di interessante sui mondi che visitava, animali, oggetti e, purtroppo, ultimamente, anche esseri intelligenti viventi. Fino al pianeta precedente alla Terra, si era accontentata di reperire esseri che avessero concluso il loro ciclo vitale….ma da quando aveva scoperto l’uomo aveva desiderato ardentemente poterne “collezionare” qualcuno…..vivo.
Ci erano voluti migliaia di tentativi prima di riuscirci…i robot che avevano il compito di maneggiare gli esseri umani non avevano la delicatezza necessaria per riuscire ad “inscatolarli” senza ucciderli….ci erano voluti migliaia di morti prima di riuscire nell’intento….lei era stato il primo tentativo riuscito ed era vissuta nel contenitore per un tempo che lei reputava lunghissimo. Vittori sapeva che l’aereo in cui la ragazza stava viaggiando, era stato catturato da LUI tre mesi prima e non sapeva capacitarsi di come Vanessa avesse potuto sopravvivere per tanto tempo in una bacheca di vetro….sempre sola con se stessa, senza nemmeno la possibilità di potersi muovere liberamente li dentro. Le due cose che erano più sbalorditive, come aveva spiegato la ragazza, erano, la prima che dentro il contenitore la vita era come ” sospesa”, la mente era libera di vagare ma il corpo era come paralizzato in tutte le sue funzioni, la seconda che all’interno del contenitore,Vanessa si trovava come in una sorta di intima forzata“comunione” mentale con l’ospite e ne condivideva parte della mente. Ecco perché la ragazza sapeva benissimo come fuggire da quel luogo pazzesco! Vanessa sapeva inoltre dell’esistenza del “Roma” e del tentativo che LUI stava facendo per impadronirsene. Solo all’apparire dei due, la giovane era stata misteriosamente in grado di effettuare quei movimenti che avevano attratto l’attenzione di Vittori e del compagno. Uscire da quel luogo da incubo non sarebbe stata una faccenda semplice, anche se i due esploratori erano adeguatamente armati, le schiere di robot mandati a catturarli sarebbero state certo numerosissime. Loro erano soltanto favoriti dal fatto che LUI li voleva vivi per il suo diletto e che LUI, non era assolutamente abituato ad avere a che fare con esseri che si ribellavano al suo volere e che facevano di tutto per potergli sfuggire. LUI non conosceva ancora per nulla malizia ed inganno…..non sapeva difendersi dall’essere raggirato e, questa era la cosa che giocava più a favore del genere umano.

CORAZZATA “Impero”, confine estremo con la banchisa polare, 27 agosto 1996, ore 22,10.

Le due unità della Marina si erano alla fine incontrate, avevano trovato ad attenderle una portaerei americana che imbarcava un numero notevole di aerei a reazione e di elicotteri. I mezzi imbarcati e la nave stessa non erano ovviamente evoluti come quelli degli anni duemila della dimensione da cui il “Roma” proveniva, ma erano il massimo che si potesse pretendere nella dimensione in cui si trovavano attualmente. I comandanti la Squadra improvvisata, avevano deciso di comune accordo di fare base li dove si trovavano e di cominciare ad inviare in ricognizione aerei ed elicotteri guidati dal potentissimo sistema radar dell’”Impero”.

BASE POLARE ALFA, 28 agosto 1996, ore 08.00.

Il povero Capo di prima classe Pagani era ormai prossimo alla disperazione. I colleghi che si erano calati all’interno della struttura, mancavano ormai da quattordici giorni e di coloro che erano stati inviati sul pak…..si erano perse da tempo le tracce. Da solo non poteva fare altro che attendere e cercare in tutti i modi di trasmettere la sua posizione. Purtroppo tutti gli apparati radio continuavano ostinatamente a rimanere muti…..gli aveva smontati e rimontati una ventina di volte almeno senza mai trovarvi dei difetti. Ad un certo punto, spinto dalla disperazione, con i razzi di segnalazione di cui disponeva, pensò, proprio verso sera, di cercare di farsi vedere dal “Roma” lanciandone un certo numero ad intervalli prefissati, cercando di riprodurre, cadenzando i lanci nella giusta sequenza, con il vecchio vocabolario “Morse” queste esatte parole:” Pagani vivo ma rimasto solo da due settimane cosa fare? ”Fortunatamente un caccia della portaerei americana stava in quel momento passando a tre chilometri da li……in un primo tempo il pilota non aveva capito cosa potesse significare quella sequenza di lanci di razzi multicolore….ma fu proprio la parola “sequenza” che gli fece comprendere in un attimo come e quanto gli veniva trasmesso.

CORAZZATA “Impero”, confine estremo con la banchisa polare, 28 agosto 1996, ore 10,00.

Se con Pagani non si poteva comunicare via radio, era necessario ed indispensabile riuscire a parlare ugualmente, in qualche modo con lui. Si era così deciso di inviare un elicottero, munito di un potente faro, e di farlo fermare a mezz’aria proprio nei pressi della zona dove stazionava ancora la barriera che impediva l’ingresso a chiunque verso la “Base Polare Alfa”. Il faro, azionato ad intermittenza, avrebbe consentito a Pagani di ricevere, ancora una volta tramite il codice “Morse” le istruzioni del caso e rispondere, nella stessa maniera, con uno dei fari in dotazione alle motoslitte. Si era così, con tale ingegnoso sistema, riusciti a sapere da Pagani quel poco di cui era informato, soprattutto della sfortunata sortita di Alessandro e di Bari che ormai venivano dati per morti, e nello stesso tempo a tranquillizzarlo facendogli sapere che non era più solo e, che in caso di necessità o pericolo, sarebbe potuto uscire da quella barriera protettiva ed essere subito la fuori recuperato.

CAMERA ASETTICA DI…. LUI

Si era accorto benissimo che il terzetto stava cercando di guadagnare l’uscita……LUI non voleva perdere assolutamente i “suoi giocattoli nuovi”, la mente della ragazza gli aveva fatto compagnia per tre mesi e LUI, abituato da sempre alla solitudine, ne aveva goduto in maniera totalmente nuova ed incontrollata. Ora che aveva imparato a manipolare gli esseri umani senza il pericolo di ucciderli, molto presto assieme alla ragazza avrebbe goduto della compagnia delle menti di altre due nuove persone….poi si sarebbe preso l’equipaggio del “Roma” e poi….l’appetito vien mangiando e si sarebbe visto. Non avendo mai trovato niente e nessuno che avesse potuto contrastarlo in precedenza nei suoi programmi, la sconfitta la delusione e l’ira non facevano parte della sua esperienza di vita, non avendole mai provate prima, per cui, mancando anche della necessaria esperienza, si limitò ad ordinare ai suoi robot, in maniera molto generica, di impedire ai tre di uscire dalla struttura……senza però far loro del male per evitare assolutamente il pericolo di poterli “rovinare”.

STRUTTURA ALIENA, giorno e ora non identificati.

Il carrello si era arrestato dolcemente presso un marciapiede. Erano appena scesi, quando videro avvicinarsi a loro dei nugoli di stranissime creature che ricordavano da lontano delle gabbie munite di ruote……erano i robot mandati da LUI per riportarli nel “museo” della struttura. Ovviamente non possedevano armamenti di sorta ed avevano il compito di ingabbiare nel vero senso della parola, aiutati in questo da delle lunghissime braccia meccanizzate, i tre fuggitivi. Per proseguire nella fuga, Vanessa disse che era necessario raggiungere il corridoio che si apriva sulla destra, che avrebbe portato ad un ascensore collegato direttamente con l’esterno, ma prima bisognava difendersi dal tentativo di “rapimento” perpetrato ai loro danni da quei goffi scatoloni ambulanti. Vittori ed il compagno si inginocchiarono e cominciarono a sparare con i due fucili laser che avevano in dotazione……liberarsi da quella ferraglia non era certo cosa agevole, i robot parevano non finire mai e fino all’ultimo, assolutamente incuranti delle perdite, cercavano ostinatamente di compiere la loro missione. Alla fine non ne rimase più nessuno ed i tre imboccarono di corsa il corridoio indicato dalla ragazza.
In fondo al corridoio c’era la via per la salvezza, Vanessa li pilotò all’interno di un qualcosa che assomigliava ad un ascensore e, dopo aver premuto un bottone dentro un incavo nascosto, la cabina senza alcuna sensazione di movimento, cominciò la sua corsa vertiginosa verso l’alto.

CAMERA ASETTICA DI….LUI.

Era perplesso se non ancora sconvolto….per la seconda volta nella sua esistenza, qualche cosa non era andata secondo i suoi piani e non era in grado di capire il perché…..per LUI dare l’ordine ai robot di catturare i tre fuggitivi significava che il suo volere dopo pochi minuti doveva essere eseguito, nulla si era mai opposto fino ad allora ad un suo desiderio………non era adirato, LUI non conosceva l’ira essendo un essere totalmente “amorale”. Non si era mai trovato ad avere a che fare con i sentimenti, LUI non li conosceva per nulla……non aveva provato dolore o rimorso quando cercando di “inscatolare” migliaia di esseri umani per la sua nuova “collezione” di esseri viventi, li aveva, se pur involontariamente, uccisi tutti……aveva ordinato che i tre fossero presi vivi, non per pietà o altro, ma solo perché gli servivano vivi ed in salute, solo ed esclusivamente, per i suoi scopi.
Quando LUI aveva per tre mesi condiviso i pensieri della ragazza rinchiusa nel contenitore trasparente, aveva tratto un infinito piacere dalla mente della sua involontaria “compagna”, ne era rimasto come estasiato e travolto, ed aveva ben presto desiderato di poter avere tanti altri “ospiti” con i quali essere a contatto il più possibile. Non era riuscito però a captare lo stato di disagio e di sofferenza in cui si trovava la ragazza…..aveva si raccolto, la messe infinita dei suoi sentimenti e delle sue emozioni , ma pur godendo interiormente di quella infinita quantità di pensieri e sensazioni, non aveva potuto rendersi conto per nulla di cosa volessero dire per un essere umano la paura, la gioia o la sofferenza. LUI, essendo vissuto da sempre solo…..pur non indulgendo certo in cattiveria e crudeltà gratuita, era un essere assolutamente amorale egocentrico e drammaticamente egoista. Se i robot risultavano inadatti…..avrebbe provveduto subito in altro modo per ottenere ciò che desiderava.

STRUTTURA ALIENA, giorno ed ora non identificati…..

La corsa verso la salvezza si era improvvisamente interrotta e non c’era più nulla da fare per cercare di contrastare la volontà di LUI……visto che i robot erano inadeguati alla bisogna, LUI si era limitato semplicemente, dopo aver bloccato l’ascensore, a circondare i tre in un campo di forza, che li aveva bloccati in un corridoio, poi con un “raggio trattore”, li aveva trascinati con estrema delicatezza, fino all’anticamera della stanza dove LUI era racchiuso. Lo scoramento più completo aveva colpito Vittori, Vianello e Vanessa…. si sentivano impotenti a contrastare le sconfinate capacità di un essere tanto più evoluto e forte di loro…..combattere o cercare ancora di resistere sembrava francamente del tutto inutile. Il forzato tragitto verso quella che temevano sarebbe stata la loro meta ultima, era stato, pur nella drammaticità del momento, di estremo interesse per i due uomini…….per Vanessa, che volente o nolente aveva condiviso parte della mente di LUI per tre lunghissimi mesi, era invece come se avesse visto tutto ciò che passava loro davanti come in una sorta di “deja vu”. La ragazza intanto, era arrivata a pensare che, senza alcun dubbio, solo lei poteva trovare una soluzione al problema che li stava assillando, solo chi conosceva profondamente LUI poteva per lo meno cercare di costringerlo in qualche modo a lasciare la presa sui tre o per lo meno su due di loro…... Durante il tragitto avevano attraversato stanze piene di macchinari, altre dalle dimensioni titaniche incomprensibilmente completamente vuote…..erano transitati per un corridoio dove meravigliosi giochi di luce multicolore danzavano davanti ai loro occhi sfumando poi lentamente nel buio.
Erano passati attraverso un salone dove erano stati avvolti da una musica tanto bella quanto difficile da interpretare nella sua aliena complessità…..cosa fossero ed a cosa servissero quei saloni non era dato saperlo……alla fine erano arrivati in una stanza di una decina di metri quadrati che dava su di una porta scorrevole che appariva chiusa……sentivano che erano arrivati alla loro meta anche perché oltre al raggio che li aveva trainati fin li, anche il campo di forza che gli aveva bloccati era di colpo svanito lasciandoli di nuovo liberi di muoversi sebbene in uno spazio tanto ristretto e delimitato. Non c’era tempo da perdere…..Vanessa sapeva benissimo che nel giro di qualche istante, dei robot “infermieri” sarebbero comparsi dal fondo della stanza, avrebbero lanciato contro di loro con infallibile precisione un proiettile contenente un sonnifero che gli avrebbe profondamente addormentati …….. per essere introdotti con infinita prudenza, senza pericolo nel loro “loculo di vetro per esseri viventi” per la gioia ed il diletto di LUI. La ragazza si era resa conto che, l’unico sistema per tornare in libertà, era solo quello di riuscire a comunicare ADESSO con quell’essere tanto evoluto e…..cercare di dargli in qualche modo, quello di cui aveva bisogno, ciò di cui non conosceva ancora l’esistenza…..quelle “emozioni” cioè, che LUI aveva soltanto intravisto nella mente della ragazza ma delle quali non era riuscito a coglierne minimamente l’importanza. Vanessa intuiva inoltre che, se LUI avesse rilasciato i suoi due colleghi, e se fosse riuscita a farlo rinunciare ad impadronirsi di altri esseri viventi, difficilmente LUI avrebbe rinunciato ……almeno alla sua “compagnia”. Si sentiva già fatalmente rassegnata al suo ineluttabile destino e, tuttavia, ricordando attentamente il periodo passato nel contenitore, tutto sommato aveva dovuto riconoscere che qualche cosa di buono forse in quel periodo c’era anche stato….chissà forse se…..ma…. si sarebbe visto. Lo chiamò, non a voce alta….ma come aveva inconsapevolmente imparato a fare quando era stato in “comunione” con lui. Nel tempo reale che scorreva per tutti e tre, il discorso telepatico fatto da Vanessa a LUI durò solo lo spazio di un battito di ciglia, ma in realtà LUI e la ragazza restarono in contatto per un periodo che corrispondeva a più di ventiquattro ore. Vanessa aprì completamente e di sua iniziativa la sua mente, come mai aveva fatto prima in vita sua….non nascose nulla e permise a un LUI per la prima volta nella sua vita millenaria sbalordito, di andare liberamente dove avesse voluto. Quando Vanessa si era trovata all’interno del contenitore era riuscita a tenere nascosta almeno la parte più intima e personale di se stessa, non perché avesse avuto l’intrinseca capacità di negare a LUI delle informazioni…..ma perché LUI non sapeva ancora di cosa cercare visto che il contatto così intimo con un’altra mente era per lui una assoluta sconvolgente novità. Adesso invece era tutto diverso….era Vanessa stessa che si metteva completamente a nudo di sua volontà e lo conduceva spontaneamente dove LUI voleva, guidandolo ed aprendo porte che LUI non aveva nemmeno mai intravisto.. Quando LUI non capiva, lo prendeva per mano, lo abituava piano piano a quello che per gli esseri viventi erano le emozioni: gioie, paure, dolori, sogni, desideri, il terrore della morte….tutte cose che LUI non aveva mai potuto concepire prima d’ora. Erano tutte cose a cui, pur avendole intraviste nella mente di Vanessa, non aveva dato alcun peso e importanza almeno fino a quel momento. La ragazza gli faceva capire, con la stessa dolcezza che una mamma avrebbe usato con il suo bambino, l’importanza che ciascun essere vivente aveva nell’immenso quadro dell’esistenza, gli dimostrò con grandissimo tatto ma, anche con la stessa decisione di una severa maestra, il dolore, che solo ora LUI cominciava a comprendere che cosa fosse, che era stato inflitto ed arrecato a migliaia di esseri senzienti ed innocenti per un piacere egoistico….e con questo Vanessa era riuscita ad introdurre in Lui due nuovi concetti, quello di egoismo e del suo esatto contrario. Più Vanessa parlava più si rendeva conto che stranamente, la rinuncia alla libertà non sarebbe stata poi per lei un dramma come pensava all’inizio o come un estremo sacrificio….Ad un certo momento la ragazza si era resa conto che se LUI avesse capito i concetti che lei cercava di spiegargli, e deciso di cambiare radicalmente il suo modo di essere e di pensare, gli avrebbe fatto alcune proposte che se LUI avesse accettato avrebbero reso l’inevitabile permanenza di lei nella struttura all’inizio, per lo meno sopportabile, poi forse chissà, anche appagante ed interessante. C’era senz’altro qualche cosa di buono in LUI e la ragazza lo aveva intuito quando avevano attraversato quelle due stanze meravigliose colme di suoni e colori……LUI era in definitiva, come un giovane carico di energie che dovevano essere solo indirizzate ed incanalate nella giusta direzione per sbocciare poi in qualche cosa di buono e forse chissà…… di meraviglioso….e allora, con infinita pazienza e dolcezza, lo prese ancora una volta per mano e lo portò nel mondo più intimo dei suoi ricordi….lo fece viaggiare per monti e per valli verdi o innevate, lo fece navigare nel mare gonfio di onde suscitate dalla tempesta, gli insegnò a godere delle gioie che Vanessa aveva provato nella sua vita ed a rattristarsi e soffrire per le delusioni ed i dolori che lei aveva patito. Erano state ventiquattro ore intensissime, non era stato facile per la ragazza “donarsi” in quella maniera così totale……ma se prima aveva cominciato a farlo solo per salvare altruisticamente delle vite….poi si era lentamente resa conto che il fatto di restare con LUI per sempre, stava pian piano diventando un suo desiderio e non più una costrizione. Disse anche questo a quell’essere a cui aveva donato l’accesso ad ogni più remoto angolo di lei……..disse che per LUI, se solo lo avesse desiderato, sarebbe stato facile costruire per Vanessa un angolo dove la ragazza avrebbe potuto vivere…un angolo dove avrebbero potuto essere.sempre in contatto uno con l’altro ma dove lei, sarebbe stata in grado e libera di spostarsi a suo piacimento senza costrizioni di alcun tipo. Ormai Vanessa non doveva più nemmeno concentrarsi per parlare….i pensieri che nascevano nella sua mente in tumulto, fluivano direttamente e liberamente nella mente di LUI……LUI adesso capiva, comprendeva ora il dono immenso che gli veniva fatto e……incredibilmente finalmente era in grado di apprezzare e…..di ringraziare! Il miracolo era avvenuto. Vanessa prese allora per mano i due compagni e li fece sedere a terra, poi incominciò a parlare, a spiegare con calma e con un sorriso meraviglioso tra le labbra, che cosa aveva fatto e…..cosa sarebbe accaduto di li a poco. Convincere Vittori non era stato affatto cosa facile, l’Ufficiale non intendeva assolutamente che la ragazza volesse e potesse sacrificarsi per loro, e solo dopo le spiegazioni più dettagliate e solo dopo aver capito che era esclusivamente desiderio fortissimo di Vanessa e non più costrizione o sacrificio il voler rimanere li, che Vittori riuscì a comprendere ed accettare la situazione. Vanessa aggiunse che dopo il loro rientro a bordo, LUI, Vanessa e l’enorme struttura che tutt’ora li ospitava, sarebbero scomparsi dalla terra e la struttura stessa, si sarebbe materializzata altrove….non sarebbe stata più foriera di “rapimenti” e morti al puro scopo collezionistico……sarebbe stata e avrebbe fatto……non sapeva nemmeno lei bene cosa, ma di certo non avrebbe più nuociuto a nessuno. Vittori non sapeva più cosa pensare….il viaggio lungo e carico di insidie fatto all’interno della struttura titanica in cui si erano introdotti, la mente evolutissima con cui avevano avuto a che fare, il ritrovamento di tanti esseri umani dati per scomparsi e ritrovati ormai privi di vita, l’incontro con Vanessa che aveva preso una decisione che lui faceva fatica a comprendere ed ad accettare……erano tutti fatti in grado di sconvolgere la mente a qualsiasi essere umano….e per digerirli ci sarebbe voluto molto tempo. Comunque, Vittori aveva compreso che la decisione Vanessa l’aveva presa in completa libertà e che la volontà della ragazza doveva essere accettata. Dopo essersi abbracciati per l’ultima volta e salutati, Vittori e Vianello, si ritrovarono in un attimo nella stanza che dava verso il boccaporto che comunicava con l’esterno. Salire la scaletta fu questione di un momento e finalmente si ritrovarono ad abbracciare Pagani che ormai li aveva dati per morti. Era il 31 agosto 19996, erano rimasti all’interno della struttura per non più di un paio di giorni…..mentre all’esterno ne erano passati ben diciassette!
Non avevano fatta a tempo a finire di abbracciarsi, che si resero conto che gli apparati radio avevano cominciato a funzionare di nuovo in modo assolutamente normale e che il boccaporto da dove erano entrati ed usciti dalla struttura era improvvisamente scomparso. Senza dubbio la gigantesca costruzione se ne era già andata in un soffio, senza alcun rumore ne una vibrazione. Dopo aver fatto un primo sommario rapporto al “Roma”, che a sentirli di nuovo vivi e vegeti era esploso dall’entusiasmo, si resero conto che anche cupola e barriera che li avevano isolati dal mondo erano scomparse….lasciando al loro posto due contenitori trasparenti che portavano al loro interno le spoglie di Alessandro e Bari.

SOMMERGINBILE NUCLEARE “ROMA”, 31 agosto 1996., ore 20,00

Il rientro a bordo era stato scandito dalla gioia di essere vivi e di aver compiuto con successo la missione assegnata, ma anche dal dolore di recare con loro i corpi dei due compagni uccisi da una natura crudele…..Antinori volle che Vittori,, ancora prima di redigere il rapporto ufficiale, gli raccontasse tutto nei minimi particolari. Questa era la sua ultima missione….era l’ultima volta che si poteva sentire Comandante, responsabile ma anche “partecipe” in prima persona, di un qualcosa chiamato “equipaggio”. Avrebbe desiderato adesso, dopo il racconto di Vittori, essere anche lui “compagno” di Vanessa in quel viaggio incredibile che la ragazza si era appena accinta a compiere……per lui, adesso terminava per sempre il periodo delle emozioni e delle decisioni da prendere, il pesante ma gratificante fardello della responsabilità sarebbe passato a Vittori e lui avrebbe potuto posare lo zaino a terra.

STRUTTURA ALIENA….il tempo li non ha nessuna importanza….

Si sentiva adesso felice, incredibilmente felice…….LUI, con l’ausilio della sua enorme intelligenza, aveva compreso benissimo il discorso e gli insegnamenti di Vanessa……aveva IMPARATO, tanto, tantissimo e più rimaneva con lei più assumeva le caratteristiche mentali proprie di un essere umano completo. LUI e la ragazza parlavano di tutto in continuazione in perpetua e costante “comunione” uno con l’altro, LUI aveva creato per Vanessa una casa, fatta secondo i gusti della giovine, immersa in un verdissimo bosco confinante con un lago dalle acque di un profondissimo azzurro…LEI non era più l’esemplare da esaminare o da considerare come un “animale da compagnia” . LEI era diventata adesso una compagna, di avventura, di viaggio…..di vita.
LORO parlavano sempre, solo con la mente….ma Vanessa, non avrebbe potuto ugualmente sentirsi sola a lungo andare, non avrebbe forse avuto bisogno in futuro di un “contatto fisico” per non impazzire di solitudine? LUI si rese conto che questa volta non stava pensando egoisticamente solo a se e per se…..aveva paura per Vanessa, temeva che potesse soffrire o che non fosse contenta della scelta fatta, non sopportava che la ragazza potesse essere infelice…….per causa sua. LUI voleva……ma cosa stava mai provando….possibile che ci fosse riuscito, in così breve tempo! Ma si, adesso LUI ne era certo: LUI VOLEVA BENE A VANESSA, anzi …..ERA SICURO DI…..AMARLA! Era sicuro adesso di voler anteporre la felicità di LEI alla sua! Come poteva farla felice e farla nello stesso tempo farla sentire appagata e non sola? Il modo era sicuro di averlo trovato…..se era vero che non poteva uscire dalla sua stanza sterile ed isolata, se non poteva assolutamente farci entrare Vanessa……avrebbe nello stesso tempo potuto facilmente però creare un “guscio” dall’apparenza umana che potesse racchiudere almeno parte della sua essenza vitale…..ed essere in questo modo veramente “compagno” per la sua amata…..LUI e LEI, uniti e compagni per quel viaggio nell’immensità dello spazio, alla ricerca della felicità. LUI E LEI uniti per sempre! LEI camminava serena in riva al bellissimo lago prospiciente la sua casetta in tronchi di abete, si sentiva leggiera, serena e appagata……se tanto era riuscita a trasmettere a LUI di se stessa, insegnandogli il valore di sentimenti e sensazioni, LEI continuava ininterrottamente ad apprendere tutto quanto era racchiuso in quella “mente” incredibile e di dimensioni così vaste…..aveva imparato ad attingere in LUI solo qualche nozione per volta per non essere travolta all’improvviso dal pensiero di quell’essere tanto più evoluto di lei. Alle volte le loro menti interagivano e le domande e le risposte reciproche si intrecciavano. LUI aveva imparato inoltre a non intromettersi mai nella mente della ragazza quando LEI desiderava restare sola con se stessa…..oramai LUI conosceva ogni angolo più recondito della mente di colei che era stata un tempo Vanessa, ma aveva compreso come ciascun essere umano talvolta desiderasse rimanere solo con se stesso, e capiva perfettamente quando mera il momento di “ritirarsi”…….LEI si era seduta in riva al lago immersa nei suoi pensieri, non le importava dove sarebbero andati e cosa avrebbero fatto, sapeva solo che sarebbe stato un viaggio meraviglioso ed incredibile verso l’ignoto: ad un certo punto LUI richiese la sua attenzione come era di solito fare…..una sensazione di caldo amore infinito e disinteressato avvolse come al solito la sua mente, accarezzando quasi i pensieri che fluivano da LEI: “ Sono qui da te, per te……..non ti girare subito, per favore e non spaventarti per quello che sto per farti vedere” Una sensazione strana stava adesso pervadendo la mente di LEI…..le sembrava che una presenza reale e non solo il solito puro pensiero, fosse dietro le proprie spalle…..le sembrava di cogliere quasi il respiro di qualcuno dietro di lei:”Adesso girati pure e se vuoi…..abbracciami” LEI si girò di scatto e si trovò di fronte un bellissimo giovane sulla trentina che le tendeva le braccia in trepida attesa……..LEI aveva compreso all’istante di chi, anzi di cosa, anzi di chi si trattasse…..e la felicità che provò in quell’istante fu la sensazione più intensa che avesse mai potuto provare nella sua vita…..d’ora in poi LEI e LUI sarebbero diventati definitivamente e per sempre una entità sola ed indissolubile, su e giù per lo spazio senza fine alla continua ricerca della vita in tutte le sue forme possibili ed immaginabili e della felicità infinita di essere in due per l’eternità.

Nessun commento:

Posta un commento