Il “p r o g e t t o”
INTRODUZIONE.
Il genere umano anche nel ventunesimo secolo, continuava ad essere soggetto a tensioni e a odi atavici, tutti fattori che non facevano una volta di più, presagire niente di buono su quello che avrebbe potuto essere il suo futuro. Era purtroppo sempre stato così fin dall'inizio dei tempi........l'uomo già dalle sue origini aveva iniziato a combattersi per questo o per quel motivo e aveva fin dalle origini iniziato a commettere le più terribili atrocità in nome della “Patria”, della religione, della difesa dei propri possedimenti e di quanto era riuscito a raggiungere di benessere con il proprio lavoro. Adesso addirittura, dopo millenni di conflitti fra popoli, le nazioni della Terra erano da tempo in grado, con le armi di distruzione di massa, di distruggere la vita sul pianeta per un numero infinito di volte. Ma il Creatore, nella Sua immensa ed infinita saggezza, aveva deciso altrimenti.......il Suo disegno era completamente diverso e non sarebbe stato certo l'uomo ad avere la possibilità di creare un simile e definitivo olocausto.............la fine di tutto sarebbe venuta assolutamente imprevedibilmente da tutt'altra direzione ma non come una estrema punizione ma come la speranza di un nuovo completamente diverso inizio e questo solo ed esclusivamente per la salvezza e per il bene del genere umano. Alla “Casa Bianca”, dopo mesi di serratissime discussioni, la decisione era stata definitivamente presa..............oramai nessuno più aveva fiducia nel futuro dell'umanità, le piccole nazioni a questo punto della storia dell’uomo, erano tutte in possesso di armi di distruzione di massa e soprattutto di una immensa irresponsabilità mista ad un odio divorante verso i vicini confinanti, odio atavico dovuto a motivi religiosi, tribali o di razza, odio che oramai era sul punto di esplodere e di diventare assolutamente incontrollabile e quando ciò sarebbe accaduto, per il genere umano sarebbe stata certamente la fine.......di tutto e per tutti. Il Presidente degli Stati Uniti, assieme ai suoi consiglieri e collaboratori più stretti, aveva preso l'unica decisione possibile per tentare, quando sarebbe stato il momento, di salvare almeno la civiltà e......una piccola parte di americani nella speranza che per lo meno il ricordo di tutto quanto era sul punto di essere perduto, potesse essere tramandato ai pochi posteri rimasti in vita.
CAPITOLO PRIMO.
Vik Preston era come al solito immerso nel mare di disegni che ingombravano la sua scrivania. La responsabilità che cadeva sulle sue spalle era in effetti enorme: il “Progetto”, così veniva chiamato il lavoro segretissimo cui si stava dedicando da tre mesi, lo assorbiva completamente. Lavoro, lavoro e sempre e comunque lavoro, intervallato solo da piccole pause dedicate quasi esclusivamente ai pasti e al sonno. Il tempo a disposizione era una continua incognita ed era assolutamente necessario fare presto. I lavori di scavo continuavano senza alcuna interruzione e mano a mano che ogni “ambiente” veniva terminato, immediatamente veniva riempito con nuovi moduli abitativi, di lavoro o di servizio precedentemente completamente assemblati. Così facendo, i tempi per la realizzazione dell'impresa venivano drasticamente ridotti. Vik era stato messo da subito a capo del “Progetto” per diretto volere presidenziale............l'uomo più potente della terra infatti lo conosceva da anni, avendo fatto gli studi di ingegneria assieme a Vik, poi lui si era dedicato con successo alla politica, mentre l'amico inseparabile di quei giorni, si era preso un'altra laurea in ingegneria elettronica e si era dedicato a tempo pieno all'insegnamento e alle sempre lucrose “consulenze”. Vik non si era mai sposato, anzi, come diceva sovente lui a chi glielo faceva rispettosamente notare, aveva “sposato la scienza”: la scienza come fedele compagna di vita, mentre le donne servivano a lui solo ed esclusivamente ...........per il suo divertimento! Ma erano solo parole che servivano a mascherare quello che era stato il dolore più grande della sua vita, la perdita a subita a soli venti tre anni della giovane compagna e della figlioletta di sei mesi in un drammatico incidente aereo. Da quel giorno la via affettiva di Vik era praticamente terminata e al professore non ara rimasto altro scopo nella via se non quello di buttarsi anima e corpo nello studio e nell'insegnamento. Dal giorno in cui il Presidente aveva per così dire “varcato il soglio” della presidenza, Tad era per Vik il Presidente e Vik per Tad, l'Ingegnere e scherzosamente, quando si parlavano anche a tu per tu, si davano testardamente del lei! Il giorno stesso che la decisione di far nascere il “Progetto” era stata presa, il Presidente aveva convocato alla “Casa Bianca” l'amico di sempre e dopo una serata passata a bere vino della California e a divorare “Tramezzini Veneziani”, di cui il Presidente aveva l'esclusiva ricetta originale, aveva lanciato la sua proposta:” Caro ingegnere........io la ho convocata qui per metterla a capo di una impresa di cui sono il primo promotore. Vede, come lei sa benissimo,........la situazione internazionale si sta deteriorando sempre di più e le piccole nazioni irresponsabili sono sul punto di scatenare deleteri e distruttivi conflitti locali che, con le armi a loro disposizione, potrebbero facilmente provocare su tutta la terra un effetto domino, in pratica un qualche cosa di veramente mostruoso ed irreparabile per tutta la razza umana. Ciò purtroppo si verificherà di certo prima o poi, resta solo da vedere il quando ciò accadrà. Lei sa benissimo che un conflitto globale lascerebbe il nostro mondo praticamente deserto e tutto quello che abbiamo ottenuto in migliaia di anni di storia andrebbe irrimediabilmente perduto per sempre. Ebbene ingegnere, caro Vik......mio fedele amico da sempre............io non posso permettere che questo si verifichi, io voglio evitare che tutto ciò che l'uomo ha creato negli anni e l'uomo stesso, svaniscano nell'oblio: la storia, la medicina, l'arte.......la stessa razza umana......tutto quanto insomma! E voglio trovare il modo di preservare sia la razza umana, sia tutto quanto di buono ha fatto da quando è comparsa sulla Terra. Ho riunito accanto a me, per questo motivo, politici e scienziati e assieme abbiamo cercato di risolvere questo annoso problema e.......ci siamo riusciti, almeno lo speriamo. Vedi Vik, in un primo momento si era anche pensato di costruire una gigantesca astronave e di mandare nello spazio un certo numero di uomini e donne alla ricerca di un mondo nuovo da abitare e colonizzare ma purtroppo la nostra tecnologia non ci permette assolutamente ancora di compiere un simile passo così ardito.........lo spazio è troppo vasto e sconosciuto per poterlo percorrere con i mezzi a nostra disposizione non abbiamo assolutamente ancora nemmeno lontanamente la capacità di intraprendere una impresa del genere. La stessa propulsione a ioni, pur aumentando enormemente la velocità delle nostre navette, vedi........non ho nemmeno il coraggio di chiamarle ancora “astronavi”, non ci garantisce affatto la possibilità di raggiungere in tempi ragionevoli qualche altro pianeta al di fuori del nostro Sistema Solare. Ma queste cose tu le conosci certamente meglio di me...... E allora abbiamo deciso di ripiegare su qualche cosa di molto più modesto e fattibile e di questo progetto voglio che tu ne sia a capo”” Caro Presidente, Tad.......amico mio, mi fa un piacere immenso che tu abbia pensato a me per compiere una impresa di cui non so ancora nulla. So solo che tu hai bisogno di me, o forse mi vuoi gratificare in nome della nostra inossidabile amicizia o forse hai pensato a tutte e due le cose nello stesso tempo. Io di quello che ti frulla in testa non so ancora niente ma penso di avere compreso ugualmente dove vuoi andare a parare, anche perchè le soluzioni a nostra disposizione, soluzioni compatibili con il livello della nostra civiltà e non astronavi che noi non siamo ancora in grado di concepire, in verità non è che siamo purtroppo molte. E' ormai da anni che anch'io penso nel mio piccolo a come risolvere il problema della sopravvivenza in caso di una catastrofe globale e sono arrivato dopo tanto pensare, a concludere che la soluzione non può essere che una....... Dimmi se sbaglio, se si vuol dire che sono un “fesso” e non il genio dell'ingegneria che tu mi consideri. Tu ti sei messo in testa di scavare da qualche parte un gigantesco “buco” sotto terra o meglio ancora sotto una montagna, lo vuoi dotare di un reattore nucleare che fornisca indefinitamente energia e forza motrice, ci vuoi schiaffare dentro viveri e quant'altro per far sopravvivere per un numero indefinito di anni un certo numero di esseri umani. E ti dico anche che questa enorme “cazzata” la vorresti edificare sulle Montagne Rocciose, proprio a fianco delle gallerie del N.O.R.A.D.”” Io non devo più parlare con te.......MALEDIZIONE!!!! a cosa serve cercare di dirti qualcosa quando tu sai tutto ancora prima che io apra la bocca! Tu sei quasi peggio di mia moglie! Tu hai sempre avuto, come lei, questo maledetto “vizio” di riuscire quasi a leggermi nel pensiero e di prevedere qualsiasi cosa mi passi per la mente.........tu non cambierai mai!”” Ma cosa credi carissimo Tad....io sono un ingegnere con due, dico DUE lauree conseguite entrambe con il massimo dei voti......mica un semplice........Presidente degli Stati Uniti come te che si è laureato in ingegneria con la media del 24 e solo perchè era “capitano” della squadra di foot ball! ” E così, quasi scherzosamente, era iniziato tutto. Prima su indicazioni ricevute dalla “Casa Bianca” e dagli scienziati partecipanti al “Progetto”, Vik aveva visitato il sito scelto, poi lo scienziato aveva prodotto centinaia di disegni e di progetti eseguiti sulla carta e poi era finalmente passato alla fase realizzativa ed alla costruzione vera e propria.
CAPITOLO SECONDO.
Il lavoro di Vik era durato in tutto tre anni, tre anni di una fatica frenetica e con la continua ansia che qualcuno accendesse troppo presto la miccia dell'esplosione finale e rendesse vani i sui sforzi. Più di una volta si era arrivati sull'orlo del baratro ma fino ad allora gli ultimi residui di buon senso erano riusciti a bloccare quello che avrebbe potuto essere l'olocausto, all'ultimissimo momento. I lavori erano effettivamente iniziati di fianco alla struttura già esistente del N.O.R.A.D. con la quale una volta ultimati i lavori di scavo, la nuova struttura avrebbe costituito in un certo senso, un tutt'uno. Ufficialmente lo scavo serviva alla istallazione di un nuovo sistema difensivo antimissile sotterraneo legato al ben noto progetto delle “Guerre Stellari” ma il suo vero scopo segreto era invece stato accuratamente tenuto nascosto a tutti con la massima scrupolosità. I materiali, gli impianti, il modernissimo reattore nucleare, tutto veniva ordinato per mascherare il tutto, da ditte diverse e dovevano essere ufficialmente impiegati per il N.O.R.A.D. o per altri acquirenti fantasma che esistevano in realtà solo sulla carta. I moduli abitativi prefabbricati per esempio, erano stati ordinati fittiziamente per la costruzione di un nuovo transatlantico che non avrebbe in realtà mai preso il mare, esistendo solo sulla carta allo stato di progetto. In questa maniera nessuno sapeva nulla più di quanto doveva e non sospettava assolutamente nulla di quella che invece era la realtà delle cose. In tal modo, in tre anni di assillante lavoro, l'impresa era giunta finalmente a buon termine, con la copertura ufficiale di dover prima ristrutturare e poi rifornire una volta di più il N.O.R.A.D. Nella profondità della montagna si era in realtà stivato di tutto: viveri liofilizzati e scatolati, medicine e tutto quanto poteva essere utile per una comunità di cinquemila uomini e donne per la durata di trecento anni.
Il “Progetto”:
I locali sotterranei erano stati collegati all'esterno per l'accesso, con un tunnel lungo tre chilometri di cui gli ultimi due erano in ripida discesa verso il basso. Il tunnel poteva essere chiuso alle due estremità da porte in acciaio/cemento dello spessore di tre metri. Era inoltre previsto che alla messa in funzione dell'impianto, la parte centrale di questo tunnel sarebbe stata fatta crollare per una lunghezza di un chilometro, ostruendo una volta di più l'ingresso a chiunque provasse ad introdursi indebitamente dall'esterno. Esisteva anche uno strettissimo tunnel di servizio della lunghezza di un chilometro che collegava il “Progetto” vero e proprio al N.O.R.A.D. Anche questo tunnel era dotato alle sue estremità di porte in acciaio/cemento dello spessore di tre metri e sarebbe rimasto integro per permettere il passaggio da una struttura all'altra ma minato e pronto a crollare in caso di necessità. Alla fine del tunnel di ingresso, una serie di ascensori della capacità di cento persone l'uno, erano pronti ad effettuare il trasbordo degli “eletti” all'interno della struttura vera e propria che si trovava ad altri duecento metri di profondità. Un notevolissimo aiuto alla costruzione del “Progetto” era stata data dalla esistenza, precedente all'impresa, di una rete di enormi grotte naturali di cui da sempre si conosceva la presenza. La struttura che costituiva il “Progetto” richiamava il più possibile quella di una città vera e propria. I suoi abitanti era previsto che vi dovessero forzatamente risiedere per un minimo di trecento anni prima di poter riemergere alla superficie, per cui tutto era stato strutturato con la massima ampiezza concepibile, per dare il meno possibile l'impressione a chi doveva vivere la sotto, di trovarsi sepolto sotto centinaia di metri di terra e roccia e per durare il più ed il meglio possibile. L'aspetto psicologico era difatti considerato della massima importanza..........l'essere umano non era avvezzo a vivere sepolto nelle profondità del sottosuolo, non era stato creato per questo e per farlo resistere la sotto senza rischiare di poterlo fare impazzire, era necessario adottare alcuni accorgimenti ben precisi. La città sotterranea era situata ben in profondità e si stendeva su di un unico livello, mentre i “servizi” erano stati posti ad un piano inferiore. I magazzini, gli orti idroponici, le stalle, il centro medico, si trovavano invece al di la di un corridoio largo otto metri sulla destra del nucleo abitativo. Tra i cinquemila abitanti e il personale militare del N.O.R.A.D. la popolazione era stata “pensata” inizialmente in ottomila anime iniziali, numero che con il passare del tempo non avrebbe però assolutamente potuto superare i diecimila effettivi. La città era stata studiata come una vera e propria piccola metropoli assolutamente indipendente: lo spazio era la sua caratteristica principale, lo spazio e l'ariosità. Si trattava di una grande struttura completa di strade e piazze illuminate la notte, da una miriade di lampioni dotati di lampade a basso consumo energetico, percorsa da una rete di tram elettrici estremamente ramificata e dotata di una falsa volta celeste al culmine della quale splendeva un sole artificiale che di giorno illuminava il tutto dando a tutti gli abitanti una importantissima sensazione di normalità. Il giorno e la notte, con il cielo trapuntato da una miriade di lucine che ricordavano perfettamente una volta celeste notturna stellata, seguivano alternativamente l'uno all'altra dando a tutti l'illusione di trovarsi nella consueta normalità del mondo all'aperto. Non mancava nemmeno un ampio centro commerciale, una serie di locali di ritrovo e svago, il “Palazzo Comunale” dove risiedeva il “Sindaco” con la “Giunta Comunale”, un campo sportivo completo di palestre, il comprensorio scolastico/universitario. Tutto quanto era stato possibile ricreare da quello che era una città moderna del ventunesimo secolo......era stato fatto per dare ancora un volta agli abitanti, una parvenza di normalità. Ovviamente tutti dovevano contribuire con il loro lavoro al mantenimento ottimale del tenore di vita, tutti indistintamente dovevano svolgere un compito ben preciso per mandare avanti la vita di tutti i giorni e per perdere il meno possibile il ricordo di quello che era stato e le nozioni di cui ciascuno di loro era “portatore”. Nel livello inferiore era poi situato il complesso del reattore che doveva garantire l'indispensabile energia a tutto il “Progetto”, assieme al grande computer all'interno del quale era conservata la storia dell'uomo sapiens e tutte le sue conquiste, con le nozioni necessarie per poterle un giorno ricreare. Li erano situate anche le officine di riparazione ed i laboratori di ricerca. Si trattava di un'opera estremamente ambiziosa, destinata a durare nel tempo e soprattutto a permettere a chi fosse un giorno potuto riemergere dalla catastrofe, di poter ricominciare, non da zero ma portandosi appresso almeno le nozioni indispensabile per poter riprendere con il tempo il discorso interrotto.
Terminati i lavori, il “Progetto” era stato chiuso ed isolato dal resto del mondo come se non fosse mai esistito, anche il corridoio che lo collegava al N.O.R.A.D. era stato provvisoriamente sigillato. Solo un nucleo di trecento tra tecnici e scienziati erano rimasti la sotto per tenere acceso al minimo il reattore e per provvedere alla manutenzione degli impianti idroponici e all'allevamento del bestiame che dalla fine dei lavori era già stato portato all'interno. Nessuno conosceva l'esistenza della struttura, nessuno a parte il Presidente la aveva mai potuta visitare.....era come se mai fosse stata costruita........era assolutamente categorico ed indispensabile conservare il segreto, per impedire che al momento della catastrofe si potesse verificare un ovvio assalto di massa, assalto che avrebbe potuto compromettere la stessa sopravvivenza dell'impianto.
CAPITOLO TERZO.
Ma, al contrario di quanto pronosticato, la fine stava arrivando in maniera completamente diversa da quella che era stata prevista. Proprio quando la situazione internazionale sembrava volgere finalmente a tempi migliori, quando ragionevolezza, pazienza e desiderio di collaborare gli uni con gli altri sembravano avere finalmente fatto breccia nelle coscienze e preso il sopravvento su odio e spirito di vendetta, tre anni dopo il termine dei lavori, una cometa era apparsa improvvisamente nell'obbiettivo del telescopio spaziale: Hubble aveva in realtà scoperto niente meno che............ l'arrivo della fine del mondo.......Si trattava di un grosso corpo celeste che in rapido avvicinamento con il nostro pianeta, minacciava di colpirlo in pieno. Purtroppo, trattandosi di una cometa e non di un asteroide, era stato scoperto troppo tardi per poter solo pensare di poter intervenire e di distruggerlo in qualche modo o di poterne deviare per lo meno la sua traiettoria, in modo da farlo passare al largo dalla Terra. Nel giro di un mese non sarebbe più stato nemmeno possibile tenere il tutto nascosto alla popolazione mondiale ed il panico sarebbe dilagato causando da solo l'inizio la fine della civiltà.......poi dopo un altro mese, ESATTAMENTE IL 21 DICEMBRE DEL 2012, sarebbe avvenuto l' inevitabile impatto che avrebbe distrutto sulla terra ogni forma di vita. Un estremo tentativo era stato fatto per la verità fatto per tentare di scongiurare la tragedia.......per dare all'umanità sconvolta per lo meno qualche briciola di speranza, per non rimanere insomma con le mani in mano assolutamente impotenti e rassegnati all'inevitabile: cinquanta missili intercontinentali tra russi ed americani erano stati lanciati nel disperato tentativo di frantumare la cometa ma molti purtroppo avevano mancato il bersaglio e gli altri erano esplosi nei pressi del corpo celeste senza aver creato effetti apparenti. Ma ancora ben prima dei lanci, all'insaputa di tutti tranne che degli interessati, era senza indugio stata messa in moto la “macchina” per portare sotto terra i così detti eletti: 3700 persone avrebbero dovuto essere selezionate tra la popolazione americana (trecento si trovavano già all'interno della struttura) e altre1000 ritenute indispensabili per la loro esperienza in vari campi, da tutto il resto del mondo civile. Nessuno però di età superiore a cinquant'anni sarebbe stato selezionato, come assolutamente nessuno di religione musulmana o nessuno appartenente ai paesi sottosviluppati dell'Africa e del Sud America. Nessuna preferenza sarebbe assolutamente stata data nello stesso tempo a politici o militari, solo quelli che il computer avrebbe scelto come indispensabili e nessun altro.........nessun raccomandato, nessun “signore della terra”! Gli altri appartenenti alla popolazione terrestre, ricchi, poveri, vip o perfetti sconosciuti non avrebbero fino all'ultimo nemmeno saputo dell'esistenza di quella sorta di “arca” di salvezza. Quasi tutti i predestinati erano stati invece prelevati nelle loro case o al loro posto di lavoro da funzionari governativi........tutti loro sapevano già da un anno, solamente che erano stati scelti dal Ministero Della Difesa per un progetto segretissimo e che in qualsiasi momento sarebbero potuti essere prelevati per essere trasportati in un luogo non specificato per un periodo di tempo indeterminato. Anche coloro che li stavano prelevando ignoravano del tutto il perchè. Si era infatti loro fatto credere che l'evacuazione delle persone ritenute importanti, faceva semplicemente parte di una delle tante esercitazioni legate all'addestramento della “Protezione Civile”. Tutti i fortunati prescelti,, a suo tempo, avevano accettato, a patto che la famiglia potesse essere prelevata assieme a loro. Nessuno con più di due figli però era stato scelto........madri, suocere, fidanzate fratelli e sorelle dei predestinati non avrebbero in nessun caso fatto parte degli eletti. Si trattava di una serie di decisioni ovviamente molto dolorose ma che si rendevano anche nello stesso tempo, purtroppo assolutamente necessarie. Accontentare tutti non sarebbe stato infatti possibile. Il Presidente, con i suoi quattro figli e la numerosa famiglia, per sua scelta avrebbe dato l'esempio rimanendo alla Casa Bianca e rinunciando a partire.
CAPITOLO QUARTO.
Terminati finalmente i lavori, Vik si era concesso un congruo periodo di riposo prima di riprendere le sue lezioni all'università. Il periodo passato alla faticosa progettazione dell'impianto sotterraneo gli era pesato parecchio sia per il continuo stress e per l'assillo di dovere fare presto, sia per la mancanza del consueto contatto con l'insegnamento ed i suoi adorati studenti. Fortunatamente quando il suo incarico presso il “Progetto” era terminato, la facoltà di ingegneria dove insegnava, era chiusa per le vacanze estive. Vik si era allora recato in montagna, unico luogo dove quando non era assorbito dal lavoro, riusciva veramente a rilassarsi........la pesca alla trota in laghetto montano, un bicchiere di Pinot grigio prima di pranzo in terrazza davanti al paesaggio incantato di cime innevate e le lunghe passeggiate nella pace incantata dei boschi, era tutto quanto lui aveva bisogno per potersi rilassare e ricaricare la sua mente esausta. Ma dopo una sola settimana, di relax purtroppo la bomba era scoppiata improvvisa e assolutamente imprevista. Prima c'era stato l'improvviso e drammatico colloquio con l'amico Presidente che gli comunicava l'arrivo della cometa e poi, subito dopo, gli era stato comunicato che lui avrebbe di diritto fatto parte del club degli eletti: non aveva difatti ancora compiuto la data fatidica del cinquantesimo anno di vita, era stato praticamente il creatore del “Progetto”e lo conosceva in ogni sua parte, e cosa non meno importante, proprio per questo fatto, unito alle due lauree di cui era in possesso, il computer lo aveva scelto come uno dei pochi fortunati che avrebbero avuto la possibilità di sopravvivere. Vik per fortuna era solo al mondo e a parte una sterminata quantità di conoscenze più o meno occasionali, non aveva veri amici di cui avrebbe potuto sentire la mancanza. La settimana seguente i 3700 prescelti negli Stati Uniti avevano cominciato alla chetichella ad affluire in quella che sarebbe diventata la loro “arca”, un po' alla volta per non dare troppo nell'occhio. Tutti venivano cautamente e con la massima discrezione, avvicinati da funzionari federali dell'F.B.I. e trasportati, con la massima discrezione possibile e con il mezzo più rapido presso una struttura di accoglienza situata poco fuori il N.O.R.A.D. Nessuno di loro conosceva il vero motivo del “rapimento” subito e solo li, subito dopo il loro arrivo, venivano informati dell'arrivo della catastrofe e del loro destino di fortunati. Anche se tutti loro “sapevano” che facevano parte da tempo, di un qualcosa di non ben definito, il ritrovarsi di colpo “prelevati” da funzionari governativi e portati via con la massima urgenza da casa e dalle proprie abitudini, era di sicuro uno shok. Un momento prima stavano svolgendo la loro vita consueta di tutti i giorni ed un attimo dopo si ritrovavano quasi “sequestrati” in una macchina nera dall'aspetto fin troppo ufficiale che li stava trasportando verso una destinazione assolutamente sconosciuta. Un certo numero, prima di entrare nel “rifugio” aveva anche rifiutato l'offerta di salvezza loro proposta e allora erano stati riaccompagnati a casa e altri “personaggi” tenuti per così dire di riserva, erano immediatamente affluiti al posto loro. Vik era arrivato invece da solo con la sua fedele Volvo fino all'ingresso della galleria, era stato fatto scendere dalla macchina, identificato con la più grande scrupolosità e solo dopo avviato con una jeep di servizio verso l'ingresso della struttura. Una settimana prima che la notizia dell'impatto della cometa trapelasse, tutto era stato compiuto: le porte di ingesso erano state già chiuse ermeticamente e la galleria fatta crollare come previsto per la distanza di un chilometro. Anche le porte di ingresso del N.O.R.A.D. erano state sigillate ed anche quelle di separazione tra la città e l'impianto militare ed era anche stata fatta crollare anche li una parte della galleria di separazione: le due unità risultavano per cui completamente separate ed indipendenti. Il momento di ingesso nella struttura era stato certamente il più difficile per tutti. Essendo entrati un poco alla volta, tutti avevano avuto il modo di sistemarsi al meglio, aiutati ed indirizzati dai trecento individui della manutenzione degli impianti delle stalle e delle serre, che in quei delicatissimi momenti avevano anche il difficile compito di sistemare a dovere i nuovi arrivati. Per prima cosa il nuovo ospite veniva accompagnato al suo alloggio, poi gli veniva consegnata una piantina della città e in fine a ciascuno di loro veniva data una busta chiusa in cui era contenuto su dei foglietti di diverso colore, l'incarico che ciascuno di loro avrebbe ricoperto all'interno della struttura. Vik era stato fatto accompagnare al suo alloggio da una ragazza sui vent'anni che indossava una minigonna vertiginosa e che non smetteva mai di guardarlo incuriosita:” Lo so che stai cercando di identificarmi, qui dentro la mia faccia non è certo nuova a molti di voi............io sono colui che questo posto lo ha progettato, ideato e fatto costruire!” “Mi scusi professore........adesso sono riuscita a mettere a fuoco che lei possa mai essere! E' vero, la ho vista spesso aggirarsi qua attorno.......adesso che so chi è, la posso tranquillamente lasciare, visto che questo posto certamente lei lo conosce meglio ancora di me che pure vivo qui sotto da tanto tempo” E Vik si era ritrovato da solo, con una busta in mano e con una strana ansia di aprirla. Del suo alloggio conosceva ogni angolo ed ogni particolare, sapeva benissimo che si trattava di una unica stanza prefabbricata delle dimensioni di un quadrato con il lato di cinque metri, all'interno del quale si trovava quasi miracolosamente una cucinetta, un bagno/doccia separato da una porta scorrevole, un comodo divano letto, due poltrone, una scrivania con sedia, un computer collegato a quello centrale e volendo ad una “rete” tipo Internet per comunicare con tutti gli altri presenti la sotto. Nulla d'altro, ne finestre ne porte.......solo muri insonorizzati che conferivano alla stanza un completo silenzio e la massima intimità. Vik allora, si era seduto sul divano e aveva aperto la busta estraendo non uno ma due cartellini colorati, uno rosso ed uno verde. Sul rosso era scritto in stampatello SINDACO, nell'altro, quello verde, DOCENTE. Come lui, altre 4499 persone avevano eseguito la medesima operazione, si trattava di 3000 donne e di 1499 uomini ed avevano trovato scritte del tipo: IDRAULICO, ADDETTO ALLA SICUREZZA, CUOCO, BIOLOGO, ADDETTO AL REATTORE e così via. Cinquecento oltre a loro erano i bambini, trecento femmine e duecento maschi, tutti in età scolare, scelti e portati li con le rispettive famiglie. Il giorno dopo l'arrivo i trecento addetti al ricevimento si erano impegnati a far fare il giro della città ai nuovi venuti. Tutti avevano potuto girare in lungo e in largo e rendersi soprattutto conto dove avrebbero dovuto presentarsi il giorno seguente per iniziare a lavorare. Certo l'inizio sarebbe stato un po' difficile e macchinoso per tutti, li tutto era nuovo, dal loro mestiere simile e compatibile il più possibile a quello che avevano svolto fino ad allora ma......non in tutti i casi, alla città stessa, ai suoi impianti e al suo funzionamento. Ogni cucina era stata preventivamente rifornita dei generi alimentari fondamentali per poter cucinare in quei primissimi giorni, visto che i ristoranti ed il Centro Commerciale non avevano ancora aperto e tutti avevano potuto almeno cucinarsi senza problemi la prima cena. Poi alle otto di sera una serie di altoparlanti avevano cominciato ad emettere prima una allegra marcetta e poi un disco pre registrato aveva incominciato a dare le informazioni di cui tutti avevano estrema necessità:” ATTENZIONE ATTENIONE: è il vostro primo SINDACO che vi parla. Prima di tutto do a tutti voi il più caldo benvenuto in città e vi auguro una felice permanenza. Voi siete gli eletti, coloro cioè che sono destinati a perpetuare la razza umana e le conquiste che essa ha raggiunto. Ognuno di voi riveste per il “Progetto” la massima importanza, nello stesso tempo, ognuno di voi ha un ben preciso compito a cui assolvere per contribuire al bene comune che qui è la cosa più importante per tutti noi. PRIMO: da domani mattina alle dieci precise tutti dovranno essere al proprio posto di lavoro per imparare al più presto quello che sarà il proprio compito. Per il primo giorno vi recherete al lavoro a piedi, visto che i servizi pubblici ancora non funzionano al cento per cento, difatti la quasi totalità degli autisti dei tram.......sono ancora tra voi e prenderanno possesso di loro mezzi solo domani una volta arrivati al deposito Solo i bambini saranno accompagnati da voi presso il campo sportivo, dove una parte delle trecento persone che vi hanno preceduto qui dentro si occuperà per oggi di intrattenerli, prima che scuole ed asili aprano i battenti. Già da dopodomani tutto dovrebbe cominciare piano piano ad entrare in funzione ma lunedì prossimo TUTTO dovrà funzionare come un orologio, i pulmini la mattina dovranno provvedere a portare i bambini a scuola, tutti dovranno recarsi automaticamente al proprio posto di lavoro, e tutti dovranno sempre dare il massimo di loro stessi per il bene comune che, ripeto nuovamente, qui dentro è la cosa fondamentale per il benessere di tutti. SECONDO: qui dentro NON esiste nessuna forma di denaro. Tutti voi potete prendere nei negozi quanto vi serve, tutti i giorni........vi faccio notare comunque che NON è affatto necessario fare scorte particolari e accumulare in cucina o negli armadi, più di quanto vi serve. Una cosa fondamentale è che NULLA di quanto avanza deve essere buttato, ne organico ne di plastica o vetro, TUTTO va assolutamente riciclato al cento per cento. Voi e i vostri discendenti dovrete come minimo rimanere confinati qui sotto per almeno un periodo quantificato in un lasso di tempo di 300 anni................per cui capirete da soli l'importanza di NON sprecare nulla. TERZO: Il “Progetto” è strutturato per una capienza di un massimo di diecimila anime. In origine i 3500 addetti al N.O.R.A.D. dovevano essere un tutto unico con voi, portando il vostro numero iniziale a 8500, ma poi si è deciso di chiudere una volta per tutte il collegamento tra voi e quella struttura difensiva, creandone così due di completamente indipendenti ed autonome. Voi siete stati per ovvi motivi ripartiti tra uomini e donne in proporzione iniziale favorevole naturalmente al gentil sesso, visto che l'obbiettivo finale, quando i vostri pronipoti usciranno all'aperto, sarà si spera quello di ripopolare il pianeta. All'inizio non verrà effettuato alcun controllo delle nascite, anzi la natalità sarà incoraggiata al massimo ma in seguito, quando la quota massima dei 10000 abitanti sarà vicina sappiate, per vostra sola informazione, che si dovrà porre un inevitabile freno alle nascite, almeno fino a quando non potrete uscire all'aperto. QUINTO da domani il vostro SINDACO non sarò più io ma colui che il computer ha ufficialmente nominato come il primo di una lunga serie. Il potere decisionale in città sarà esercitato dal consiglio dei dieci che si identifica nella “Giunta Comunale” di cui il SINDACO fa parte integrante. SINDACO e GIUNTA non sono stati studiati per essere cariche elettive, solo chi lascia il potere, per malattia, morte o per libera scelta, ha il diritto di scegliere il suo successore nel novero di tutta la popolazione. Per questa ragione, ci deve sempre essere pronta una lista di attesa segreta da cui attingere solo ed esclusivamente quando ce ne sarà necessità. Qui la democrazia non esiste, la democrazia qui sotto non ha senso........vi manca solo la politica per causare danni di cui non avete assolutamente bisogno e problemi di cui potete fare benissimo a meno. Qui sotto tra l'altro, nello stesso tempo, il “potere” non ha nessun significato, il SINDACO e i componenti del consiglio, lavoreranno al loro incarico come gli altri, anzi con l'aggravio di dover anche governare oltre che a fare gli insegnanti o i panettieri. Questo è quanto, ricordatevi solo della fortuna che avete avuto a venire qui............chi avete lasciato sulla superficie del vostro, del nostro pianeta.....è destinato presto a morire……per cui buon lavoro e........AUGURI A TUTTI!!!”
CAPITOLO QUINTO.
Vik era stato il primo, il giorno seguente, a recarsi al lavoro: alle sette di mattina era già li, al Palazzo Comunale e aveva scoperto che si trattava in realtà di una struttura estremamente semplice e assolutamente priva di fronzoli. Si trattava in effetti di uno dei pochi luoghi della struttura sotterranea che lui non avesse costruito o progettato. Si trattava in realtà di una costruzione per nulla pretenziosa, una porta di ingresso che dava in un grande atrio con le pareti in marmorino verde, sulla destra una serie di sportelli per il pubblico, a sinistra la “Sala del Consiglio”, l'ufficio riservato al SINDACO e nove stanze, uso ufficio, più piccole una per ciascun Consigliere. Dopo un po' aveva conosciuto i suoi collaboratori, sei donne e tre uomini, e con loro aveva avuto un primo scambio di idee su quanto sarebbe stato necessario fare in favore della comunità. Alle dieci di mattina gli autisti avevano come previsto preso possesso dei loro tram nella rimessa e nel pomeriggio avevano incominciato ad effettuare le prime corse di prova su e giù per le quattro linee urbane previste, i negozi avevano incominciato ad aprire e i bar e ristoranti ad entrare in funzione. Era stato tutto sommato facile mettere in moto la città.........i tecnici addetti al funzionamento e alla manutenzione del reattore sapevano benissimo come comportarsi, i tecnici riparatori degli impianti erano tutti del mestiere, gli addetti alle serre e agli impianti di smaltimento e produzione di generi alimentari formati da personale altamente specializzato. Per il primo mese e mezzo i contatti con l'esterno e con il N.O.R.A.D. erano stati tenuti regolarmente dal SINDACO nella saletta radio appositamente attrezzata. Si sapeva purtroppo, anche se ciò non veniva certamente divulgato agli abitanti, che il panico oramai era dilagato assolutamente incontrollabile ovunque e aveva portato inevitabilmente un po' da per tutto, alla progressiva disgregazione dell'ordine costituito. Il Presidente americano era morto in un folle assalto alla casa Bianca fatto da una Divisione di Marines che aveva tentato di rovesciare la “Repubblica” e la situazione in tutti gli Stati Uniti era drammaticamente diventata incontrollabile. Qualcuno aveva parlato poi dell'esistenza del “progetto” e della relativa sicurezza del N.O.R.A.D. e allora masse incontrollate di disperati avevano ovviamente cercato di accedervi all'interno cercando salvezza ma le misure di sicurezza preposte proprio ad evitare ciò, avevano ampiamente salvato l'integrità delle due strutture in questione. Poi la cometa aveva colpito, inesorabile e ogni comunicazione con l'esterno era cessata di colpo. L'impatto era avvenuto nell'Oceano Indiano ma altro non era dato sapere, a parte il fatto che in superficie ogni cosa apparentemente aveva trovato la sua inesorabile fine.
Adesso si che il “Progetto” ed il N.O.R.A.D. Erano veramente soli. Certo altre nazioni si erano comportate in maniera simile, costruendo rifugi più o meno sicuri a seconda delle loro possibilità, ma nessuno li sotto sapeva niente in proposito. Adesso si trattava veramente di cercare di sopravvivere in tutte le maniere, per loro stessi e soprattutto per la sopravvivenza stessa della civiltà dell’uomo sapiens e di tutto quanto era riuscito a creare in millenni di storia. Ma non era facile……non lo era per nulla. Nonostante si fosse cercato in tutti i modi di ricreare un ambiente il più ampio e il più simile possibile a quello del mondo all’aperto, li sotto esistevano per forza di cose dei limiti di spazio ben precisi Li sotto esistevano ovviamente dei confini invalicabili e se si camminava in una direzione o in un’altra ad un certo punto fatalmente si era destinati a “sbattere” su di un muro di roccia impenetrabile e ciò senza dubbio avrebbe provocato almeno alla prima generazione, quella che aveva da sempre vissuto all’aperto, dei pericolosi problemi psicologici. Certo……si era cercato di scartare qualsiasi soggetto che potesse risultare debole psicologicamente ma la mente umana per certi versi era ancora un mistero senza fine e nessuno poteva sapere al cento per cento come una singolo individuo avrebbe potuto reagire a lungo andare, in un mondo così ristretto. Il tempo intanto passava, inesorabile e dopo cinque anni, nella città sotterranea la vita continuava ancora a scorrere con la massima tranquillità. Dopo il primo inevitabile periodo di rodaggio, tutti svolgevano i compiti a loro assegnati con la più grande regolarità e il “Progetto” andava avanti per la sua strada senza essere soggetto a scossoni particolari. Vik assieme ai suoi collaboratori aveva istituito da subito un calendario di festività che potessero interrompere la monotonia della vita lavorativa di tutti i giorni: a parte il 4 Luglio, festa Nazionale da sempre, erano state mantenute ovviamente le festività Natalizie di fine anno, la Pasqua, il ferragosto e era stato introdotto il 5 settembre, data dell'ingresso nella struttura sotterranea, come ulteriore festa nazionale. Il numero dei residenti con le prime nascite e purtroppo con le prime inevitabili morti, era salito a 5301 anime. Certo la vita la sotto non consentiva certo “divertimenti” particolari..........tutti a casa avevano la televisione a circuito chiuso che trasmetteva film del bel mondo andato, assieme a documentari sulla Terra e a programmi di attualità realizzati la sotto, esisteva un certo numero di locali tra ristoranti, pizzerie bar e pub, parchi pubblici per i più piccoli e addirittura una spiaggetta con il mare e le onde. Era questo un vero piccolo capolavoro: era stato Vik a lanciare l'idea in fase di progettazione e poi a farla realizzare. Si era trattato in pratica di dotare di una grande quantità di sabbia dorata, trecento metri di pavimento. Davanti alla sabbia si era scavata una gigantesca fossa di profondità crescente che andava da dieci centimetri a otto metri e la si era riempita di acqua marina. Temperatura e salinità erano tenute a bada da un depuratore che garantiva il mantenimento delle condizioni ottimali di temperatura ed igiene. Il fondo era a sua volta stato riprodotto nelle maniera migliore possibile, con sabbia, rocce e finta fauna e flora marittima. Chi si immergeva aveva veramente l'impressione di avere davanti a se un orizzonte infinito ma se si fosse spinto nuotando alla distanza di trenta metri, avrebbe inevitabilmente cozzato contro una parete di roccia abilmente dipinta del colore del cielo. Sulla sabbia non mancavano certo gli ombrelloni, le sedie a sdraio, un bar ristorante ed una discoteca............in cielo la consueta riproduzione del sole riscaldava l'ambiente. L'altezza della struttura aveva anche consentito l'innalzamento di un paio di collinette di terra e rocce alte non più di una ottantina di metri. Vik all'inizio della costruzione dell'impianto, la aveva fatta ricoprire di finta vegetazione mescolata a quel poco che si riusciva a far crescere al di fuori delle serre idroponiche e a costruire una lunga pista da sci estivo che tra varie curve e saliscendi e falsopiani,aveva una lunghezza di quasi un chilometro. Difatti la massima cura era stata riservata nel limite del possibile al tempo libero degli abitanti la città sotterranea. Li la noia doveva essere bandita come il peggiore dei nemici. Fin dall'inizio dell'avventura si erano organizzate feste e gare sportive che ogni due anni culminavano poi nelle “Olimpiadi”, una serie di gare sportive tenute in piscina nel centro sportivo, sulle colline e nella grande piscina. Era fondamentale che il morale della popolazione imprigionata la sotto, si mantenesse sempre il più possibile elevato.
CAPITOLO SESTO.
Diciotto anni dopo, una grande festa era stata organizzata all'interno del “Progetto”. Il giorno della ricorrenza di Ferragosto i primi novanta “ragazzi” avrebbero terminato l'ultimo ciclo di studi e sarebbero stati introdotti nel mondo del lavoro come nuova linfa vitale, inoltre ci sarebbe stato il saluto di Vik che oramai stanco e malato avrebbe lasciato il posto al nuovo SINDACO. La cerimonia avrebbe avuto luogo al campo sportivo e tutta la popolazione non impegnata in lavori indispensabili vi avrebbe partecipato. L'unico a non essere di buon umore era proprio Vik.......non che il lasciare la carica gli dispiacesse, sperava che gli rimanesse ancora qualche anno da vivere e lo avrebbe dedicato, come aveva sempre fatto fino ad allora, all'insegnamento e poi lui era arcistufo di dover continuare a pensare in continuazione al benessere degli altri e voleva godersi quel poco di vita che gli sarebbe stato concesso di vivere. Era la situazione che si era venuta a creare al N.O.R.A.D. che continuava per la verità ad angustiarlo. Li fin dall'inizio le cose non erano andate affatto bene: la struttura non era certo stata pensata come quella del “Progetto”per una permanenza prolungata ma adattata alla meglio in un momento di emergenza. Ed era stato proprio per questo motivo che all’ultimo momento si era scelto con grande lungimiranza di tenere separate le due strutture. Il N.O.R.A.D. non era stato certo concepito per garantire una lunga permanenza del personale, era essenzialmente un posto di comando e basta. Oltre a tutto, nell'imminenza del disastro, era stato riempito al limite della capienza di gente disperata e non era stato possibile all'interno mantenere l'ordine necessario e fare in modo che potesse sopravvivere un simulacro di vita veramente organizzata. Tuttavia a prezzo di feroci lotte intestine si era riusciti ad arrivare comunque fino al compimento del diciottesimo anno dalla catastrofe ma poi proprio in quei giorni, ogni comunicazione dal centro di difesa aerea era venuto definitivamente a cessare. Il giorno della festa, la popolazione residente “contava” ben seimila anime, mille in più di diciotto anni prima e considerando i centocinquanta decessi avvenuti, tale incremento non era affatto male.
CAPITOLO OTTAVO.
Venticinque anni dopo, esattamente due anni dopo la morte di Vik, il primo grave inconveniente si era però venuto a verificare. Già da un paio di giorni uno degli indicatori di calore del reattore non segnava più la temperatura ottimale. O l'indicatore risultava guasto o il liquido di raffreddamento non eseguiva al cento per cento il suo dovere. Prima di tutto si era provveduto a sostituire lo strumento ma la situazione non era per nulla cambiata. Si era allora pensato ad una perdita di refrigerante radioattivo in qualche zona nascosta del reattore ma anche qui la ricerca si era dimostrata inutile.......non era presente alcuna perdita. Non restava purtroppo altra ipotesi se non quella dell'esaurimento delle barre di controllo. Non si trattava di un problema da poco o di un guasto di routine..........era si uno degli inconvenienti che si sapeva che prima o poi si sarebbe potuto, anzi...... dovuto per forza di cose verificare, esistevano fortunatamente i pezzi di ricambio ma la sostituzione delle barre avrebbe implicato il completo blocco del reattore per un periodo imprecisato e la sotto tutto o quasi dipendeva dal funzionamento ottimale del reattore stesso. L'operazione di sostituzione era poi particolarmente complessa a causa della presenza delle micidiali radiazioni che avrebbero comportato tutta una sere di precauzioni e di limitazioni dei movimenti degli abitanti durante la manovra di sostituzione delle barre con quelle nuove e di trasporto e smaltimento di quelle esaurite. Ma c'era poco da fare, la riparazione doveva essere fatta e con l'occasione si sarebbe anche approfittato per eseguire una accurata revisione dell'impianto dal quale dipendeva la loro stessa esistenza. I tecnici avevano calcolato che il tutto avrebbe avuto come conseguenza l'interruzione dell'energia per la durata di almeno tre giorni, sempre se tutto fosse andato bene ma per prudenza era stato stabilito che il reattore non sarebbe stato riacceso prima di un altro giorno ancora,. Con l'atomo non si poteva certo scherzare, era indispensabile fare ogni cosa con la massima cura ed attenzione. Il nuovo SINDACO, la signora Bolton, aveva deciso che la difficile operazione sarebbe iniziata il giorno seguente e aveva di conseguenza parlato alla popolazione tramite la televisione a circuito chiuso:”..................e per questa ragione consiglio a tutto il personale non impiegato nella operazione, di rimanere confinato a casa fino al termine delle operazioni. La spiaggia, con il provvisorio spegnimento del “sole” e dell'impianto di purificazione e ricircolo dell'acqua marina, rimarrà ovviamente chiusa e così indistintamente tutti i luoghi di ritrovo ma le strutture indispensabili al funzionamento della nostra amata città come ospedali, serre idroponiche e centri di smaltimento rifiuti dovranno continuare a funzionare con i generatori di emergenza a gasolio, mentre scuole e trasporti rimarranno a loro volta, totalmente fermi. Domando la collaborazione di tutti per superare questa prima crisi che ci ha colpito considerandola come in realtà è, cioè una ovvia e improcrastinabile operazione di routine, sgradevole, scocciante per le conseguenze temporanee che essa implica ma indispensabile per la nostra stessa sopravvivenza. Grazie a tutti!”. All'ora X una sirena aveva ululato per tre volte di seguito e una pesante semioscurità era piombava drammaticamente sulla struttura. Nelle case le luci rosse di emergenza illuminavano fiocamente gli ambienti, i tram si erano fermati nelle rimesse e nelle strade il buio era totale. Era la prima volta che la luce veniva a mancare ovunque e la gente rinchiusa nelle loro abitazioni pregava terrorizzata che tutto terminasse il più rapidamente possibile. Al SINDACO, accanito lettore di libri di fantascienza, era tornato prepotentemente alla memoria un romanzo:”Settimo livello o livello sette”.......non ricordava bene, che parlava di una situazione simile alla loro, ambientata però nei lontani anni sessanta, quando le bizze di un reattore recalcitrante, avevano colpito come era accaduto adesso a loro, gli abitanti di un rifugio antiatomico. Anche li erano state effettuate delle riparazioni al reattore che alla fine aveva si ripreso nuovamente a funzionare, uccidendo però tutti i suoi abitanti con una micidiale scarica di radiazioni. Non era certo un bel viatico per quei giorni così “oscuri” ma fortunatamente si trattava solo di un romanzo e la realtà attuale era ben diversa. L'attesa si era protratta per quasi cinque giorni, la sostituzione delle barre aveva implicato l'assoluta necessità di lavorare presso il reattore a turni lunghi non più di venti minuti ciascuno e sempre con con le tute protettive anti radiazioni perennemente indossate da chi lavorava a contatto con il materiale radioattivo e il lavoro si era prolungato più del previsto, mentre altri tecnici verificavano le reali condizioni dell'impianto. Era stato poi necessario introdurre le barre esaurite all'interno di appositi contenitori di piombo e trasportarli fuori della città in una zona sicura e appositamente preparata, lontano da possibili contaminazioni che potessero in qualche modo interessare la popolazione. Poi le nuove barre di regolazione erano entrate in funzione e finalmente luce, calore ed energia motrice erano ritornate dopo un altro giorno impiegato a riaccendere i reattore. L'incubo era terminato senza inconvenienti di sorta ma il SINDACO aveva adesso un altro difficile compito cui attendere.
CAPITOLO NONO.
La saletta del consiglio era al completo: dieci persone sedevano sulle loro poltrone. Era trascorsa una settimana dalla riattivazione del reattore. Tutto era per fortuna andato nel migliore dei modi e tutti gli impianti erano nuovamente in funzione ma il SINDACO aveva avuto e aveva ancora per la testa un pensiero che la tormentava sempre di più e di questo “pericolo” voleva mettere a parte i consiglieri:” Cari amici, quello che recentemente ci è accaduto non è altro che il primo di tutta una serie di inconvenienti che inevitabilmente ci colpiranno sempre con maggiore frequenza, con l'invecchiare della struttura in cui viviamo. Ora voi sapete benissimo che come SINDACO sono depositaria di un segreto racchiuso nella cassaforte che vedete qui dietro di me. La dentro è spiegato dettagliatamente come si fa ad uscire da qui e ritornare alla superficie. Lo so.......sono passati solo venticinque dei trecento anni previsti, come sapete benissimo la caduta della cometa ha anche creato un campo magnetico come quello provocato dall'esplosione di migliaia di bombe nucleari, campo magnetico che ha distrutto tutti i satelliti che ci potevano dare una visione d'insieme delle condizioni della superficie del pianeta.. Per questo motivo io ora ritengo opportuno che noi ci possiamo rendere conto fin d'ora, della situazione che si è venuta a creare in superficie. Non voglio che i miei successori si vengano a trovare magari all'improvviso nella necessità di dover evacuare senza avere la più pallida idea di quello che li aspetta all'esterno. Intendo dunque mandare al più presto su, un piccolo nucleo di esploratori e di fare in modo di sapere quello che in questo momento ci aspetterebbe se per qualche imponderabile motivo, dovessimo andarcene da qui in tutta fretta. Il mio dovere, uno dei tanti in realtà è quello di essere pronta ad affrontare ogni evenienza” All'interno della struttura era da sempre presente un così detto “nucleo” addetto alla sicurezza Si trattava di venti uomini, armati solamente di radio portatile e manganello in gomma, capitanati da due “ispettori” e da un “commissario”. Nei venticinque anni precedenti si erano per lo più occupati di dirimere varie piccole liti e di calmare ubriachi, avevano indagato sui tre omicidi accaduti in quegli anni ed avevano assicurato alla giustizia locale i tre colpevoli che erano stati rinchiusi in una sorta di carcere. Il commissario era da un paio di anni Pat Simonsen ed essendo nato nel primo anno di vita della città aveva adesso ventiquattro anni appena compiuti; da un paio di anni aveva rilevato nell'incarico il suo predecessore e comandava con abilità i suoi diciannove uomini. A lui era stato conferito l'incarico di comandare la spedizione all'esterno: lui e altri due suoi compagni assieme ad uno scienziato, sarebbero usciti all'aperto. “ Vi raccomando solo alcune cose, poche ma fondamentali”” Aveva detto loro il SINDACO” Prima di tutto la prudenza e questo è ovvio, poi l'importanza del vostro ritorno qui da noi o per lo meno la possibilità di comunicarci i risultati delle vostre esperienze. Se poi vi renderete conto che non è possibile per noi ancora, come è altamente provabile, vivere all'aperto, mi aspetto il vostro immediato ritorno qui da noi. Ricordatevi bene, anzi BENISSIMO, che io non voglio assolutamente perdere NESSUNO dei miei.....amministrati, soprattutto se ciò non sia assolutamente necessario”. La mattina seguente i quattro componenti la spedizione si erano ritrovati nell'ufficio del SINDACO perfettamente equipaggiati ed armati per l'impresa che si apprestavano ad effettuare. Nella stanza a parte il SINDACO e loro quattro non c'era nessun altro. Il funzionario si era girata verso la cassaforte, la aveva aperta con l'accortezza di non far vedere a nessun altro la combinazione e aveva estratto una foglio scritto col computer che diceva:” Da leggere solo da parte del SINDACO in carica e SOLO in caso di totale evacuazione della città. Per eventuali altre “uscite”esplorative NON usare in nessun caso questo documento ma aprire la busta gialla contenuta all'interno della cassaforte. Il SINDACO aveva ubbidito e dopo aver riposto il foglio aveva preso la busta gialla e la aveva letta a voce alta in modo che gli altri quattro fossero in grado di comprendere:” Recarsi alla spiaggia. Prendere una barca e spingersi fino all'estremo limite dove incomincia il muro di roccia. Solo chi intende lasciare il “Progetto” può imbarcarsi, visto che il natante non tornerà indietro. Arrivati alla parete, premere con forza i sette sassi che si trovano li incastrati a cominciare da quello a destra e a finire con l 'ultimo a sinistra avendo l'accortezza di saltare il terzo e di premere per due volte l'ultimo.” Altro non c'era scritto e il SINDACO dopo essersi accertato che i quattro avessero compreso alla perfezione quanto dovevano fare, aveva riposto foglio e lettera in cassaforte e la aveva richiusa.
CAPITOLO DECIMO.
La notte stessa, per evitare la curiosità dei bagnanti, il quartetto si era imbarcato su di una robusta imbarcazione e si era avviato a forza di remi verso il punto indicato dalle istruzioni lette dal SINDACO. Il capo della missione era il commissario Simonsen coadiuvato dal professor Causio docente di storia che si era spontaneamente offerto per l'occasione. La barca era arrivata con grande facilità presso la parete e Simonsen aveva individuato subito i quattro “tasti” che avrebbero dovuto essere premuti nella giusta successione per poter procedere in avanti. L'onore di procedere era stato di comune accordo concesso al professore. Appena compiuta la manovra la barca era stata attirata irresistibilmente da una impetuosa corrente verso una galleria che si era aperta dinnanzi a lei per il tempo necessario ad inghiottirla per poi richiudersi immediatamente dietro le loro spalle. Per un po' avevano proceduto al buio per abbrivio ma subito dopo la barca aveva colpito il fondo sabbioso e si era arenata. Dietro di lei si stendeva uno specchio d'acqua nera che non faceva assolutamente intravvedere da dove loro quattro potessero essere provenuti e già questo era male. Innanzi a loro invece la spiaggetta dove si erano arenati terminava presso una scala di pietra che si innalzava vertiginosamente verso l'alto. In cima appariva una apertura che faceva intravvedere il cielo azzurro e che dava un po' di luce a quell'ambiente tanto tetro e deprimente. Ai piedi della scala era riposta una sorta di scatola metallica all'apparenza ben chiusa con stampigliate sopra queste chiarissime lettere:”PER IL RITORNO” Simonsen aveva preso in mano la scatola, la aveva aperta senza che il coperchio si opponesse in qualche modo ed aveva estratto un foglietto su cui era scritto:” SALIRE SULLA BARCA, RAGGIUNGERE L'ISOLETTA A DESTRA DEL PUNTO DI ARRIVO E PREMERE TRE VOLTE LA PIETRA ROSSA ALLA BASE DELLA PARETE DI GRANITO” Questo era quanto. Pat aveva riposto foglio e scatola esattamente dove li aveva trovati e i quattro si erano inerpicati su quella scalinata che pareva non avere mai fine. Mano a mano che l'ascesa proseguiva, la temperatura all'interno di quella gigantesca cavità diminuiva sempre di più. Alla fine dell'ascesa stalattiti di ghiaccio pendevano dalle pareti conferendo all'ambiente in cui si trovavano un aspetto quanto meno bizzarro. Ma quando arrivarono alla sommità della scalata lo spettacolo che si presentò ai loro occhi aveva dell'incredibile. Solo Simonsen era nato all'interno della struttura, gli altri tre avevano già conosciuto sole e stelle ma quello che impressionava gli esploratori non era tanto la volta celeste ma il mare di ghiaccio che ricopriva completamente e per ogni dove ogni cosa. Nulla del paesaggio originario era rimasto riconoscibile, li c'era solo il ghiaccio accompagnato da una temperatura polare, li nessuno avrebbe potuto solo pensare di sopravvivere o di superare quel mare gelato. La Terra era di sicuro preda di una grande glaciazione provocata dall'impatto della cometa. La grande nube di ceneri si era evidentemente già dissolta ma il gelo era rimasto.......in apparenza ovunque. Non c'era alcun posto dove andare, non c'era nessun posto dove l'uomo potesse solo sperare di poter sopravvivere, non ancora e non certamente li per lo meno! E se anche qualche isola di verde fosse esistita al di la di quel l'oceano ghiacciato, nessuno di loro sarebbe mai riuscito a individuarla e a raggiungerla. L'unica cosa giusta da fare era per cui ritornare al più presto possibile sui propri passi e riferire quanto si era trovato. Causio aveva anche filmato con la telecamera quel cielo azzurro e limpidissimo e tutto quel gelo, aveva fotografato loro quattro in tutte le pose possibili ma poi aveva rinunciato a continuare vista la assoluta mancanza di soggetti da immortalare. Non c'era null'altro da fare, non c'era null'altro da vedere.........si doveva ritornare a casa a e basta. Di conseguenza erano rientrati nell'anfratto, avevano sceso quella infinità di scalini e si erano diretti con la barca fino all'isoletta della quale era parlato nel foglio. Poi Sorensen aveva premuto come prescritto il masso rosso e la parete si era aperta facendoli entrare direttamente nell'ufficio di un SINDACO assolutamente sbalordito per la loro improvvisa comparsa dal nulla. Come nessuno a parte la Giunta Comunale, era stato informato della sortita, nessuno venne messo a parte del risultato ottenuto. Venne soltanto redatto un accuratissimo verbale che venne conservato agli atti tra le cose importanti da tramandare ai posteri. Nessuno, a parte i successori del SINDACO, seppe mai niente dell'accaduto.
CAPITOLO UNDICESIMO.
Alla fine dei trecento anni previsti ne mancavano oramai solo ancora dieci, ma ogni giorno che trascorreva, la situazione in città stava progressivamente diventando sempre più drammatica. Tutto aveva incominciato a deteriorarsi e a precipitare già una decina di anni prima, quando le barre di controllo erano state sostituite con le ultime disponibili. Il reattore sottoposto come al solito in tali occasioni ad un minuzioso controllo, aveva infatti incominciato a dare i primi inequivocabili evidenti segni di usura e di conseguenza di possibile prossimo cedimento. Non c'era per la verità qualche rottura particolare che desse da pensare ma piuttosto un generale stato di degrado dovuto all'inevitabile usura che ne metteva in dubbio la futura affidabilità. Come prima contromisura, l'impianto era stato fatto funzionare da quel momento per prudenza solo al sessanta per cento della potenza nominale consueta, con il risultato che l'energia disponibile in città si era notevolmente ridotta: Per mantenere inalterato il fondamentale ed indispensabile funzionamento delle serre e degli impianti di smaltimento scorie e produzione di aria pulita e di indispensabili materie prime, si era dovuto forzatamente rinunciare ai tram e alla spiaggia e nelle case la riduzione della potenza dell'energia aveva come risultato privato i cittadini anche della televisione. E questo purtroppo era solo l'inizio. Il generatore di corrente collegato al reattore aveva poi incominciato a sua volta a guastarsi sempre più spesso e le interruzioni di corrente erano purtroppo diventate sempre più lunghe e frequenti. Dopo tanti anni le parti di ricambio oramai stavano drammaticamente scarseggiando, l'usura si faceva sentire ovunque e tutto funzionava purtroppo oramai in maniera saltuaria ed approssimativa. Per duecento ottanta anni tutto era andato alla perfezione, rendendo onore ai costruttori ma poi, l'usura dei materiali aveva inesorabilmente incominciato a prendere piede. Oltre a tutto le scorte di medicinali erano quasi esaurite e le serre idroponiche oramai esauste, non fornivano che una frazione dei cibi freschi necessari al sostentamento e alla buona salute degli abitanti della città. Ovviamente il morale della popolazione era subito sceso sotto i tacchi: se nei primi anni la natalità relativamente elevata aveva permesso di sfiorare la quota ottimale delle 10000 presenze, nell'ultimo decennio il crollo delle nascite lo aveva ridotto sotto la soglia di settemila e questo era indubbiamente un fattore di estrema gravità per il futuro. Erano iniziati i primi suicidi che se non si faceva subito qualcosa, sarebbero stati fatalmente destinati ad aumentare. Il SINDACO aveva deciso di tenere una riunione con tutti i consiglieri della Giunta e di prendere una volta per tutte, una drastica decisione. Così non si poteva andare avanti...........il “Progetto”, dopo aver fatto tanto per farlo progredire nel tempo, rischiava adesso di naufragare miseramente. Proprio il giorno prima oltre a tutto, era arrivata una terribile notizia: dopo una interruzione di corrente più lunga delle altre, il SINDACO era stato avvertito dal team di tecnici ed ingegneri,che il generatore avrebbe si ripreso a funzionare anche questa volta ma solo per al massimo tre mesi e non di più. Mancavano oramai del tutto i pezzi di ricambio necessari e il macchinario alla prossima grave avaria, si sarebbe fermato per sempre, condannando tutti quanti al buio eterno e di conseguenza ad una lenta terribile morte per fame nella più completa oscurità. Si era anche pensato per un attimo, di scavare le rovine fatte crollare all'inizio dei trecento anni, rovine che ostruendo la galleria, impedivano il passaggio dal N.O.R.A.D., dove nessuno era rimasto in vita e il “Progetto”. I tecnici pensavano di poter anche riuscire a “cannibalizzare” i resti delle attrezzature dell'impianto militare e di riutilizzarle per il generatore del “Progetto” Ma alla fine si era dovuto rinunciare: prima di tutto non era detto che le parti usurate del generatore fossero compatibili con quelle presenti al N.O.R.A.D., e poi scavare nel tunnel avrebbe implicato un grande spreco di forze, tempo e risorse che la sotto nessuno si poteva permettere. La riunione dunque in se, era durata pochissimo...........c'era solo una decisione da prendere e una sola, in anticipo di qualche anno ma che adesso doveva essere presa comunque.
CAPITOLO DODICESIMO.
Ma quando il Presidente aveva detto a Tad che l'uomo non era ancora in grado di costruire un' ”arca” spaziale in grado di contenere esseri umani, non era stato del tutto sincero. Certo quando si parlava di velocità sufficiente per far raggiungere ad una astronave altri ipotetici pianeti da colonizzare, aveva perfettamente ragione, non era certo con una astronave lanciata nello spazio alla ricerca di un nuovo pianeta da colonizzare, che l'uomo poteva salvare la sua specie ma c'era un'altra possibilità per cercare di mantenere per lo meno, il più a lungo possibile la vita umana nello spazio: la Stazione Spaziale Internazionale. Di nascosto da tutti, altri moduli erano stati montati in fretta e furia al grande agglomerato che ruotava già in orbita con il lancio contemporaneo delle navette spaziali ed ora ben cento astronauti avrebbero potuto sopravvivere nello spazio per almeno un certo lasso di tempo, almeno così si era sperato. Il programma ovviamente era radicalmente diverso da quello del “Progetto”, e purtroppo anche improvvisato. Qui per esempio la natalità doveva essere assolutamente legata ai decessi.......cento erano gli abitanti della stazione e cento dovevano assolutamente rimanere a causa della scarsezza delle risorse a disposizione. Poi ovviamente le comodità di cui gli ospiti del “Progetto” potevano disporre, per gli astronauti confinati nel poco spazio della stazione nello spazio, erano ovviamente pura utopia. Per cui si era programmato per gli ospiti della Stazione, una permanenza assolutamente non superiore ai venti anni. Si trattava in definitiva di una missione un po’ per così dire “abborracciata”, nata dalla disperazione solo all'ultimo momento e destinata a durare provabilmente troppo poco per poter sortire a qualche effetto.........si trattava in effetti soltanto e non di più di una speranza, remota ed aleatoria e nulla di più ma era sempre meglio di niente.
A parte i due progetti americani, nessun altra nazione aveva avuto una lungimiranza tale per poter intraprendere iniziative di questo genere. Russia e Cina erano troppo intente ad espandersi in tutto il mondo tramite le loro esportazioni, l'India si trovava anch'essa in piena espansione economica, mentre l'Europa continuava la sua vita di sempre un po' al di sopra e al di fuori di contrasti e conflitti vari. Solo l'Italia possedeva stranamente un qualcosa di simile al “Progetto”, si trattava di una struttura di dimensioni molto più ridotte certo, ma ugualmente comoda e funzionale. Tutto era iniziato con la costruzione presso la grande galleria ferroviaria del “Gran Sasso” di un laboratorio di fisica nucleare scavato nella roccia. Negli anni sessanta, in piena Guerra Fredda, si era pensato di costruire a fianco dei laboratori, un rifugio antiatomico per l'elite politica del Paese e per il Papa ed il suo seguito, un insieme di caverne scavate a grande profondità che avrebbero potuto alloggiare e vettovagliare per almeno un paio di anni una popolazione di cinquecento individui. Poi arrivata prima la “Distensione” e poi caduto il Comunismo, l'impianto non era però stato abbandonato come relitto di un'epoca che non esisteva più ma, visto che c'era e che poteva un giorno anche tornare utile magari per una situazione diversa, come poi si era effettivamente verificato, era stato enormemente ingrandito e modificato in modo tale da poter garantire la vita per un periodo non quantificato, a mille esseri umani. Invece del reattore nucleare, troppo costoso e dotato di una tecnologia troppo esasperata per gli scarsi mezzi dell'Italia, si era intelligentemente sfruttato un corso d'acqua nel sottosuolo e si era costruita una potente centrale idroelettrica sotterranea che dava energia elettrica a tutto l'impianto senza richiedere ne combustibile nucleare ne carburante fossile. Alcune grotte naturali erano state dedicate alle serre idroponiche, mentre altre all'allevamento di mucche, polli e suini. Anche qui grandissima importanza era stata data agli impianti di riciclaggio dei rifiuti e alla maniacale abitudine di non gettare mai assolutamente nulla. Qui ovviamente date le dimensioni dell'opera, non si poteva assolutamente parlare di città con tanto di trasporti pubblici e spiaggia........all'interno della struttura tutti avevano semplicemente una stanza singola o a due o quattro letti in caso di famiglie con o senza figli, stanze complete di servizi, televisione con programmi strutturati nello stesso modo di quelli del “Programma” americano ma prive di cucina e di dimensioni ancora più ridotte, visto che i pasti venivano consumati esclusivamente nelle mense comuni chiamate pomposamente “ristoranti”. Dunque niente piazze e strade, cielo azzurro e finto sole ma piuttosto solo corridoi più o meno ampi e l'impressione continua di trovarsi all'interno di un gigantesco “centro commerciale” Le nude pareti erano intelligentemente state decorate con gigantografie di boschi, prati e paesaggi sia marini che montani, piante di ogni genere erano state poste ovunque rallegrando un po' l'ambiente, alcuni piccoli parchi erano stati posti nei pressi degli incroci più importanti.....quel poco che si era potuto fare per rallegrare l'ambiente era stato fatto...... per la verità non mancava nulla, almeno per la mera sopravvivenza,........c'erano appunto tre mense, un piccolo centro commerciale che esponeva tristemente un po' di tutto a parte alimentari ed elettronica. Si potevano trovare semplici vestiti e biancheria intima, alcoolici a bassa gradazione prodotti dal laboratorio chimico dell'impianto, prodotti di toilette e poco d'altro ancora Non c'era certo la soddisfazione di fare la spesa e nemmeno quella di sognare l'acquisto dell'ultimo grido in fatto di oggetti di consumo. Anche qui il denaro non aveva senso e non esisteva e tutti potevano servirsi indistintamente di quel poco di cui avevano bisogno. Il Centro Medico era dotato delle migliori apparecchiature e funzionava anche una piccola scuola divisa in tre diversi livelli di apprendimento a seconda dell'età degli studenti. L'unica possibilità di “divertimento” e di “evasione”erano i bar, la discoteca, le tre palestre, il teatro e le pizzerie. Un piccolo mondo indipendente che si sperava sarebbe durato per il tempo strettamente necessario alla rinascita della vita sulla superficie dopo un eventuale futuro olocausto.
Ma mentre lo spazio troppo ristretto a bordo della Stazione Spaziale Internazionale era l'handicap più grande per gli astronauti, per il rifugio nelle profondità degli Appennini c'era stato invece fin da subito un problema eminentemente di carattere psicologico. Per gli astronauti ben presto il problema che si stava dimostrando irrisolvibile, era quello delle risorse in se stesse e dello spazio assolutamente insufficiente. Dopo solo sei anni mancava praticamente tutto.........i viveri anche riciclando l'impossibile scarseggiavano sempre di più, mancava la possibilità di avere un minimo di intimità e le ore di lavoro seguivano immancabilmente a quelle dedicate al riposo. E poi si sapeva che dopo la missione non si sarebbe affatto ritornati a terra, la missione dopo un anno sarebbe fatalmente ricominciata un'altra volta senza poter abbandonare la base nemmeno per un attimo e questo sarebbe accaduto all'infinito per chissà quanto tempo. Non si poteva continuare con questo ritmo di vita: già tre astronauti nel primo anno si erano lasciati morire per la disperazione e molti altri di certo li avrebbero seguiti. Non era questa vita per gli esseri umani. Nel mondo sotterraneo del Gran Sasso invece era la noia che rischiava di far impazzire gli abitanti del piccolo nucleo abitativo. Se è vero che tutti indistintamente lavoravano costantemente per mandare avanti il loro habitat, era il dopo lavoro che rischiava di far impazzire la gente: la pizzeria, la birreria, il bar discoteca, la televisione.......e basta! Per un po' era stato anche sufficiente ma il tempo passava inesorabile e non si sapeva più come impiegare il tempo libero Non c'era assolutamente altro da vedere se non i soliti corridoi e i negozi dove però non si vendeva nulla di interessante. Mancava un parco che non avesse le dimensioni di trenta metri quadrati, una spiaggia un posto insomma dove poter avere l'illusione di trovarsi ancora all'aperto e potersi rilassare. Mancava poi anche la speranza in un futuro migliore. I responsabili del programma avevano tentato allora di coinvolgere tutti in gare e giochi nello spiazzo più grande davanti all'ingresso del piccolo centro commerciale e per un breve periodo avevano anche ottenuto un certo successo ma il fatto di riuscire a creare altre novità in cui coinvolgere la popolazione risultava ora sempre più difficile. Certo, tutti sapevano benissimo che dove si trovavano adesso era il luogo che aveva salvato la vita a loro e ai loro figli, però tutti si rendevano nello stesso tempo conto che il prezzo da pagare era per tutti particolarmente alto.
CAPITOLO TREDICESIMO.
La decisione che si era stati costretti a prendere era irrevocabile. A bordo della Stazione Spaziale Internazionale la vita solo dopo dieci anni dalla catastrofe che aveva decimato il genere umano, la vita era diventata impossibile. Impossibile o quasi veramente lo era sempre stata ed era un vero miracolo se gli astronauti erano sopravvissuti fino ad allora. Dopo dieci anni c'erano state tra malattie, suicidi e morti naturali ben venticinque decessi e nessuna nascita era venuta a rallegrare gli scienziati che orbitavano in continuazione attorno alla Terra. C'erano stati per la verità una ventina di aborti spontanei e mai nessuna gravidanza era arrivata al di la del terzo mese. Era lo spazio vitale che mancava, non era possibile far vivere l'uomo rinchiuso dalla mattina alla sera dentro un guscio metallico di dimensioni tanto ridotte per un periodo tanto prolungato. Per cui i settantacinque superstiti si sarebbero imbarcati nelle quattro navette e sarebbero tornati sulla superficie del pianeta.........e sarebbe stato quello che Dio avrebbe voluto, piuttosto che morire nello spazio avrebbero preferito farla finita........a casa loro, sulla vecchia Terra. La Terra dall'alto appariva ancora in gran parte in preda ad una grande glaciazione: l' impatto della cometa con il suolo, anzi con l'oceano, aveva avuto come risultato il risveglio di tutti i vulcani del pianeta e oltre ai danni provocati dalle onde di maree, ai terremoti devastanti, allo spostamento dei poli, una gigantesca nube di polvere tossica e di detriti, avevano oscurato la luce ed il calore del sole, provocando un repentino raffreddamento del pianeta ed una conseguente glaciazione. Solo adesso dopo dieci anni alcuni squarci avevano incominciato ad aprirsi in cielo e luce e calore avevano incominciato timidamente a riscaldare alcune limitate zone del pianeta. Gli astronauti dall'alto avevano individuato tre di queste zone, due più o meno al centro di una grande isola delle dimensioni del “Madagascar” in cui si poteva vedere dal cielo, la vegetazione che rifioriva sempre di più e una terza in un continente di ridotte dimensioni che era quanto rimaneva di quello americano. Purtroppo però il solo fatto di ridiscendere sul pianeta in quelle condizioni era un azzardo assoluto: prima di tutto le navette per atterrare avevano avuto in passato un notevole supporto da terra, con computer e scienziati sempre pronti a supportare il rientro e ad ovviare ad ogni possibile difficoltà, e poi per atterrare le navette avevano assoluto bisogno della pista di un aeroporto o per lo meno di qualche cosa che le assomigliasse. Ora di tutti i manufatti umani degli anni prima della catastrofe, dall'alto non si vedeva più traccia e trovare durante l'avvicinamento al suolo, nei pochi momenti che sarebbero rimasti in aria, un posto dove poter atterrare in sicurezza era una azzardo senza logica alcuna. Dall'orbita bassa in cui la stazione spaziale ruotava, gli astronauti a forza di cercare, avevano tuttavia alla fine notato i resti di quella che sembrava una pista di atterraggio di quello che era stato un tempo un aeroporto poco a nord di uno dei punti dove cresceva la vegetazione e una zona desertica assolutamente piatta e sgombra di ostacoli presso l'area rigogliosa più grande e promettente. C'era poco da fare.......invece di tentare l'atterraggio su tre aree, ci si sarebbe limitati a scendere solo su due di esse, due navette per ogni obbiettivo. Il giorno prefissato si era provveduto a chiudere per sempre la stazione spaziale e le quattro navette avevano iniziato la delicata manovra di rientro. All'inizio tutto era andato bene ma ad un certo punto il motore dell' ”Atlantis” si era spento, poi riacceso e poi spento di nuovo: la navetta aveva così mancato di conseguenza il corridoio di rientro e invece di continuare a scendere era rimbalzata sugli strati più alti dell'atmosfera e si era persa nello spazio in una rotta che la allontanava inesorabilmente sempre di più dal pianeta. Le altre tre per fortuna continuavano invece a scendere come previsto e sperato nel loro avvicinamento al suolo, due si erano indirizzate verso la pista dell'aeroporto dimenticato e l'altra invece verso la zona desertica che si sperava avrebbe consentito l'atterraggio. Dall'alto, a bordo dell'”Endeavour” e del “ Discovery”, si poteva vedere il ghiaccio che ricopriva il suolo ovunque ma ad un certo punto ci si poteva rendere conto, che poco alla volta il gelo lasciava il posto a zone sempre più ampie di verde. Poi ecco comparire all'improvviso quella che era veramente una pista di atterraggio, circondata ancora da tutta una serie di costruzioni. Le navette si erano allora allineate a un chilometro di distanza la prima dalla seconda e si erano dunque preparate alla manovra di atterraggio.........sarebbero infatti scese immediatamente l'una dopo l'altra, non potevano rimanere in volo quanto volevano non essendo provviste di motori, non erano altro che giganteschi e pesantissimi alianti che non avevano assolutamente un grande spazio di manovra. L'”Endeavour” aveva toccato il suolo in un atterraggio perfetto ma il “Discovery” che la seguiva da presso, invece di toccare a sua volta il suolo, aveva impattato il terreno prima dell'inizio della pista in cemento e sprofondando con il carrello sulla terra resa morbida e cedevole dal disgelo, aveva incominciato una infinita serie di cappottamenti che la avevano praticamente fatta a pezzi senza lasciare scampo alcuno per equipaggio e passeggeri. La “California” si era avvicinata con cautela al suolo, si era abbassata con la più grande dolcezza, aveva toccato il suolo sabbioso ma per nulla cedevole e si era arrestata in una nuvola di polvere a cinquanta metri da dove il deserto lasciava il posto ad una fitta foresta di conifere. La “Texas” invece continuava la rotta che la allontanava purtroppo sempre più dal pianeta. Il Comandante, il secondo pilota e il capo scienziato si trovavano a rapporto nella cabina di comando, senza altri testimoni presenti:” Comandante Clark, secondo lei, siamo tutti morti è vero?” “ Purtroppo dottor Peters non vedo nulla che noi possiamo fare, tentare o solo pensare di mettere in pratica per cercare di tornare a Terra.........Potremmo è vero usare il poco carburante che ci resta per invertire la rotta e rientrare in orbita ma poi non ne avremo fatalmente più da impiegare per la manovra di rientro. Altre soluzioni da proporre non ne ho, so solo che con il consumo attuale di ossigeno noi abbiamo più o meno dieci ore di vita a nostra disposizione, che possono diventare anche quindici riducendo i consumi al minimo possibile, diciotto considerando poi le bombole delle tute.........ma non, assolutamente NON di più!” “ Allora caro comandante mi sa che ci resta solo resta da scegliere se aprire all'improvviso il vano di carico e far concludere il tutto in un attimo o continuare a respirare fino all'ultima molecola di ossigeno” “ Proprio così Dottore.......le uniche alternative che ci rimangono sono sfortunatamente solo queste!” “ Ma scusi Comandante, tanto per non lasciare nulla di intentato, sarà senz'altro una idea sballata dettata dalla disperazione ma a questo punto......mi ascolti la prego: noi abbiamo adesso la velocità di fuga che ci allontana sempre più dal nostro pianeta e non possiamo usare il motore principale, ammesso che funzioni ancora, per invertire la rotta se non vogliamo restare senza carburante per il rientro. Questo è un fatto assodato. Ma se usassimo solo ed esclusivamente i motori secondari di dritta, quelli di manovra intendo, per impegnare la navetta in un cambiamento di rotta a semicerchio che ci permetta in tempi ragionevoli di invertire la rotta di 180 gradi mantenendo sempre inalterata la velocità.......non avremmo forse allora il carburante sufficiente da utilizzare per la manovra di rientro?””Vede dottore.......in verità ci avevo pensato anch'io ma il problema, anzi...........i problemi che ci impediscono di fare ciò sono due e secondo me irrisolvibili. Il primo è quello che a noi restano solo poche ore di aria, assolutamente insufficienti a tenere in vita per tanto tempo venti anime, il secondo è quello legato al malfunzionamento del motore principale, malfunzionamento che ci ha provocato i problemi che ora stiamo disperatamente cercando di risolvere.””Certo Comandante lei ha senz'altro ragione ma prendendo un problema per volta forse vale la pena per lo meno di tentare, almeno, se non altro, avremmo qualcosa per tenerci impegnati” “Va bene......forse lei ha ragione, ecco adesso imposto sul computer la modifica di rotta da eseguire esclusivamente con i motori di manovra e lei per favore faccia comprendere a tutti che è assolutamente necessario ridurre drasticamente il consumo di ossigeno e questo incarico lo conferisco a lei. Si muova per favore, ogni attimo perso è ossigeno che sprechiamo!........” Il dottor Peters era subito tornato nel vano di carico e aveva chiesto la parola:” Cari colleghi.......forse uno spiraglio di salvezza si è aperto anche per noi, non sto a spiegarvi cosa abbiamo deciso per la salvezza di tutti noi, perderemmo solo tempo e ossigeno prezioso. É assolutamente indispensabile ed improrogabile risparmiare ossigeno, visto che le riserve a disposizione sono sul punto di esaurirsi. Vi devo mettere tutti “a nanna” con una dose massiccia di sonnifero in modo che il vostro consumo di ossigeno si riduca il più possibile mentre noi in cabina di comando provvederemo al resto respirando, ve lo assicuro,......il meno possibile. Non abbiate paura che a qualcuno di noi sia venuto in mente un qualcosa di “malsano di drastico e di terribile”......se avessimo voluto pensare solo alla nostra salvezza in cabina di comando ci sarebbe bastato aprire il portellone di carico e nessuno di voi sarebbe adesso qui ad ascoltarmi. Non siamo gente capace di un gesto simile e voi lo sapete benissimo, sono dieci anni che viviamo assieme in condizioni tanto difficili. DOVETE FIDARVI DI NOI ADESSO, fra un altro po' potrebbe essere già troppo tardi! Questo è quanto”. Intanto in cabina di comando il Comandante Clark aveva azionato i motori di manovra e lentamente, con esasperante lentezza la navetta aveva incominciato a ruotare sulla sinistra in un semicerchio larghissimo, fino ad invertire alla fine completamente la rotta mantenendo però invariata la velocità. Aveva anche inserito i nuovi dati di consumo dell'ossigeno nel computer di bordo e aveva ottenuto che, con le precauzioni prese, si sarebbe potuto sopravvivere per non più di ventiquattro ore, sopravvivere perchè le ultime quattro, cinque ore non sarebbero state........vita ma un progressivo e sempre più patetico annaspare alla ricerca disperata di aria. “Ventiquattro ore caro dottore..........sono davvero poche, troppo poche: avvicinamento, entrata in orbita e poi la discesa, magari con la mente offuscata dalla mancanza di ossigeno se poi non saremo già morti......Dottore, io questo glielo devo dire, non posso esimermi dal farlo. Noi non ce la possiamo fare a sopravvivere tutti, non si tratta più di ridurre i consumi, di risparmiare ogni molecola di ossigeno......SEMPLICEMENTE NON CE NE E' Per tutti! E' questa l'amara verità!”” Se le cose stanno così dovremo per forza di cose prendere una decisione........lei di sicuro ha calcolato quanti compagni dovremo eventualmente sacrificare per dare una possibilità di salvezza a tutti gli altri, mi faccia sapere il numero esatto e al resto ci penserò io, sempre che trovi la forza per farlo e di ciò non ne sono troppo sicuro!” Ma proprio in quel momento, proprio mentre il Comandante stava per comunicare a Peters il numero di compagni da addormentare per sempre, l'allarme del radar di prossimità si mise a gracchiare con insistenza:” Che succede Comandante” Disse il secondo pilota” Non so Victor.......c'è qualcosa davanti a noi che si avvicina sempre di più a noi, un qualcosa evidentemente sfuggito a sua volta dall'attrazione della gravità terrestre, un qualcosa che ci viene incontro e che passerà rasente a noi alla distanza di trenta metri di distanza. Ecco, adesso lo vedo bene ingrandito dal telescopio.....Cazzo! Sapete che cosa è? Si tratta niente meno che della prima Stazione Spaziale della Cina Popolare, quella che non riusciva proprio a funzionare come i cinesi speravano, quella pronta a ricevere un equipaggio di sette uomini che però non è mai arrivato, QUELLA STRACARICA DI OSSIGENO E CARBURANTE CHE POTREBBERO ASSICURARE A NOI LA SOPRAVVIVENZA!!! Evidentemente l'ultima cazzata che questo catorcio “Made in China”ha commesso, è stata quella di andarsene a spasso per lo spazio per i fatti suoi, per fortuna, per nostra somma fortuna! Adesso ASCOLTAMI VICTOR E DOTTORE...... STIA BENE ATTENTO ANCHE LEI! Ora intendo adeguare la nostra velocità alla sua usando il nostro motore principale, sempre sperando che si accenda, uscire in una passeggiata spaziale e collegarla con la nostra navetta asportando quanto ci serve per sopravvivere e per tornare a casa. Non sarà facile.......ma vale bene la pena per lo meno di tentare. Al lavoro!” Fortunatamente il motore questa volta aveva fatto il suo dovere al cento per cento, la navetta aveva ugualiato la sua velocità a quella della piccola stazione spaziale e il secondo pilota assieme ad un paio di astronauti risvegliati a bella posta dal dottor Peters, erano usciti nello spazio e stavano cercando il modo di entrare all'interno del veicolo spaziale cinese. Alla fine avevano scoperto il portellone di ingresso ed era stato sufficiente premere il bottone di ingresso che si trovava li in bella evidenza per poter accedere all'interno. Non si trattava certo di una struttura grande e complessa come quella in cui avevano vissuto per anni, la stazione spaziale aveva più o meno le stesse dimensioni del vecchio “Skilab” americano ed era dotata di una tecnologia anche troppo all'avanguardia, tecnologia che fin dall'inizio aveva però dato adito ad una infinita serie di problemi ed inconvenienti. Ma questo adesso non interessava per nulla. Il problema era solo quello di trovare il modo di rifornire di ossigeno e carburante la navetta americana. Per fortuna a bordo della struttura cinese c'era tutto l'occorrente, tubi e valvole di collegamento per fortuna di misura standard e tutti i necessari raccordi. Dopo tre ore di intenso lavoro, la navetta americana risultava completamente rifornita del necessario e pronta al rientro in orbita e alla manovra di rientro. Con il pieno di ossigeno effettuato, il secondo pilota aveva avuto anche il tempo e l'occasione di controllare dall'esterno le bizze del motore principale e aveva scoperto che il malfunzionamento che a volte si verificava, era dovuto al guasto di una valvola che faceva arrivare il carburante nella camera di combustione. La sostituzione aveva portato via un'altra ora ma adesso il rientro a terra era per lo meno assicurato. L'”Atlantis” dunque era alla fine atterrata con il suo carico di vite umane sulla pista dove già era atterrata la “Endeavour”. Tre su quattro.......una media non da buttare via: sessanta nuovi abitanti di un pianeta da colonizzare nelle sue ancora poche zone apparentemente abitabili.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO.
Dopo vent'anni di forzata convivenza sotto la montagna la popolazione invece di aumentare si era mantenuta costante, le nuove vite erano riuscite a mala pena a contrastare le morti. Era arrivato il momento di provare ad uscire all'aperto e a vedere se nei dintorni dell'ingresso, fosse possibile vivere. Esattamente il ventesimo anno dall'ingresso nella struttura dieci Carabinieri si erano recati nella grande sala dove si apriva la gigantesca porta di ingresso che separava l'impianto dall'esterno. Gli altri abitanti seguivano l'apertura della porta alla televisione, chi al proprio posto di lavoro, chi al bar, chi a casa. La tensione era palpabile, tutti agognavano di poter tornare a vedere il bel sole d'Italia e di ricominciare finalmente a vivere.........a vivere veramente. La squadra di dieci uomini si trovava adesso davanti al portale in acciaio temperato che sigillava l'interno della struttura. Il Comandante dei Carabinieri, dieci in tutto che lo seguivano da presso, aveva premuto i pulsanti di apertura con il codice previsto e il portale aveva incominciato a scorrere sulle sue guide aprendosi all'esterno:” Ecco, come potete tutti vedere sullo schermo, la porta si è aperta. Ora la oltrepassiamo ed entriamo nella grande caverna che da su quella più piccola che porta direttamente ai binari della ferrovia. Il buio è completo e solo le luci delle torce illuminano il nostro cammino. Ecco il corridoio ed ecco la piccola stazione ferroviaria, il raccordo che porta alla linea principale. Siamo arrivati, guardate c'è ancora il treno che ci ha portati fino a qui venti anni or sono. Ovviamente è deserto, adesso lo oltrepassiamo e ci incamminiamo verso l'esterno. Per uscire ci vorranno almeno tre ore, la strada da fare è tanta. Ci rimetteremo in contatto con voi all'uscita della galleria.” Solo il poter vedere quel poco di mondo all'esterno della loro struttura aveva emozionato tutti in maniera incredibile. Si trattava in verità di poche immagini di un mondo semibuio ma comunque DIVERSE da quelle che gli abitanti della struttura sotterranea conoscevano a memoria e potevano vedere tutti i giorni.....e ciò era già tanto Tre ore e mezza dopo il Comandante dei Carabinieri si era rimesso in contatto e l'attesa aveva raggiunto livelli spasmodici:” Ecco, vediamo finalmente la luce del sole alla fine del tunnel........ci stiamo avvicinando sempre di più. Da quello che mi posso ricordare dovremmo sbucare in mezzo all'Appennino, in una piccola valle con un'altra galleria più corta in fondo. Ma ecco ci siamo, stiamo sbucando all'aperto ma CAZZO! Dove sono finite le montagne, i binari.......la terra ferma? Qui siamo sull'orlo di un dirupo.............. ad una altezza di tre, quattro cento metri..........e in basso e fino all'orizzonte c'è solo......il mare, acqua, acqua acqua da per tutto, acqua che si infrange sulla montagna dalla quale noi siamo appena usciti. Qui è cambiato tutto e qui non c'è altro da vedere se non il mare, l'oceano o quel cavolo che è! Maledizione, non ci resta altro da fare se non ritornare indietro nel tunnel, oltrepassare il punto di ingresso della nostra comunità e cercare di uscire dalla parte opposta del tunnel, sempre sperando che si possa farlo. Da questa parte il mondo che noi tutti conoscevamo.......non esiste più. Non ci resta altro da fare, ci risentiamo diciamo tra un sei sette ore, il tempo necessario per uscire dall'altro lato della galleria.” La cometa aveva veramente cambiato la geografia del pianeta, e tutti si rendevano conto che con cambiamenti così traumatici difficilmente qualche essere umano avrebbe potuto essere sopravvissuto all'esterno. C'era il fondato pericolo che loro, i segregati del gran Sasso, potessero essere addirittura gli ultimi rappresentanti del genere umano sulla vecchia Terra. Adesso tutti sapevano che dalla parte di Bologna tutta l'Italia era scomparsa sotto acqua. Chissà se almeno più a nord, almeno le Dolomiti erano rimaste a svettare alte nel cielo! Sette ore dopo Le comunicazioni con il drappello di esploratori erano finalmente riprese:” E' con un misto di ansia, paura e speranza che ci accingiamo a superare adesso l'ingresso della galleria e a scrutare l'esterno.......vedete, la luce dl sole è sempre più viva ed eccoci finalmente fuori. Maledizione........trecento metri, cinquecento al massimo di terreno verde davanti a noi, dietro la montagna che sale lentamente in bellissime terrazze e........dopo di nuovo, dopo la collina che degrada dolcemente verso il basso, ecco una grande bellissima spiaggia e poi di nuovo, ovunque il mare, acqua, acqua ed ancora e solo.....ACQUA!” Tutto sommato non era però poi andata tanto male........il cielo era di nuovo azzurro, il sole splendeva in alto come sempre riscaldando piacevolmente l'ambiente circostante e tutto intorno per chilometri la montagna si inframezzava a prati che avrebbero potuto essere coltivati e sfruttati per la pastorizia. C'era anche lo spazio per costruire case e fattorie e finalmente ricominciare a vivere all'aperto. Il territorio, anzi la grande isola in mezzo a tutta quell'acqua, aveva più o meno l'estensione della vecchia Valle D'Aosta e avrebbe consentito la vita ed il suo sviluppo per un certo numero di anni. Poi, con il crescere inevitabile della popolazione sarebbe arrivato il momento di cercare di costruire delle imbarcazioni e di avventurarsi nell'ignoto alla ricerca di nuovi territori da sfruttare. La solita antica storia dell'umanità......tutto avrebbe potuto ricominciare almeno fino alla prossima catastrofe.
CAPITOLO QUINDICESIMO.
Restava adesso solo scegliere se effettuare una nuova ricognizione all'esterno della struttura o dare l'ordine del “fuori tutti”. Il SINDACO e i nove consiglieri alla fine, avevano riconosciuto il fatto incontrovertibile che la sotto la permanenza stava oramai per diventare insostenibile, per cui alla fine era stato deciso che l'uscita dal “Progetto” sarebbe stata non solo possibile ma inevitabile per tutti: tutti indistintamente avrebbero potuto verificare in prima persona se all'esterno sarebbe stato possibile ricominciare una nuova vita. Alle dieci di mattina del giorno di ferragosto del duecentonovantesimo anno di permanenza nella struttura sotterranea, il SINDACO aveva aperto la cassaforte ed estratto la fatidica busta che conteneva le istruzioni per l'uscita in massa di tutta la popolazione. Una sirena aveva fatto sentire per tre volte la sua voce e tutto si era fermato in attesa degli eventi. Il SINDACO alla presenza dei nove consiglieri aveva aperto la busta, aveva letto quanto vi era scritto ed aveva incominciato la procedura di uscita: si era avvicinato alla scrivania che per otto anni aveva occupato, la aveva spostata dalla sua sede e aveva inserito in una scanalatura del pavimento il fermacarte in metallo che da sempre aveva fatto parte dell'arredamento della stanza. Poi aveva ruotato il fermacarte verso destra e poi dopo lo scatto metallico che aveva percepito benissimo, ancora verso sinistra fino ad arrivare a fine corsa. Immediatamente tutta l'acqua del finto mare era stata risucchiata verso il basso, lasciando il fondo della grande vasca completamente asciutto, mentre la parete su cui era disegnato lo sfondo scorreva lasciando intravvedere l'ingresso di un ampio tunnel che saliva rapidamente verso l'alto. Era un chiaro invito per tutti a percorrere quella che sembrava proprio essere una via di fuga e tutti gli abitanti si misero ordinatamente in marcia per raggiungere la superficie. La salita era durata una ventina di minuti e alla fine la popolazione del “Progetto” con in testa SINDACO e consiglieri era sbucata all'esterno. Il mondo di ghiaccio che il primo drappello di esploratori aveva trovato la prima volta, si era per fortuna completamente sciolto e un magnifico cielo azzurro, solcato da candide nuvole, era illuminato dai caldi raggi del Sole. Tutto attorno si stendevano all'infinito prati, colline e corsi d'acqua.........in fondo ad una cinquantina di chilometri si ergevano delle alte vette innevate. Il paesaggio non aveva assolutamente niente da vedere con quello delle “Montagne Rocciose” di un tempo, tutta la geografia del luogo appariva completamente cambiata. Ma quello che era importante era il fatto che li la vita non solo era possibile ma che quello che si poteva vedere era un vero paradiso terrestre adattissimo alla sopravvivenza prima ed allo sviluppo poi della vita umana.
CAPITOLO SEDICESIMO.
I due siti dove le navette erano riuscite ad atterrare erano lontani gli uni dagli altri almeno tremila chilometri e non c'era ovviamente possibilità alcuna di una eventuale ricongiungimento. Nella zona desertica erano atterrati con la “California” solo venti astronauti, mentre sulla pista di atterraggio gli occupanti delle altre due erano ben quaranta. Purtroppo altri quindici erano periti nel disastro del “Discovery” e quindici esseri umani in più o in meno in quella situazione potevano fare anche la differenza. La zona silvestre che si trovava dietro al deserto era per fortuna adattissima allo sviluppo di un insediamento umano: non mancava certo l'acqua e il territorio risultava adatto alle coltivazioni. Non era un territorio vastissimo, visto che la zona coltivabile era una specie di gigantesca oasi nel deserto delle dimensioni più o meno della Francia di un tempo ma più che sufficiente per un eventuale sviluppo futuro. Ma i problemi da risolvere erano ugualmente tantissimi. Prima di tutto i dieci uomini e le dieci donne erano maledettamente pochi per poter sopravvivere partendo da zero e soprattutto per poter dare inizio ad una nuova civiltà: presto la navetta avrebbe cessato di funzionare e nel giro di un paio di generazioni nulla sarebbe rimasto della civiltà dell'uomo se non qualche pallido ricordo da trasmettere alle generazioni future. Mancavano le sementi per coltivare i campi di grano, cereali, riso....... gli animali che si trovavano in zona erano selvatici e cacciarli non era per nulla semplice, mancavano inoltre in quella zona da ripopolare le mandrie di bestiame da utilizzare come forza lavoro o come produttori caseari e di latte. Ai margini del territorio potenzialmente produttivo c'erano si delle mandrie inselvatichite di bovini allo stato brado ma solo il poterli raggiungere a tanti chilometri di distanza non era certo una impresa semplice. Per cui, per ora ci si doveva basare sulla frutta degli alberi, su poche piante commestibili e sulla caccia e pesca nel fiume che bagnava quella zona rigogliosa ma selvaggia. Erano tempi duri e la situazione che si prospettava non era per nulla favorevole ad una promettente evoluzione, anzi! Dopo tre anni, trascorsi a lottare per la pura sopravvivenza, i venti superstiti invece di aumentare di numero erano rimasti solo in sei. Prima la carenza di cibo durante il primo inverno aveva fatto morire di freddo e di stenti tre donne, poi, erano incominciate le lotte intestine per il “possesso” delle femmine rimanenti fino ad arrivare al punto che di venti superstiti..........ne erano rimasti solo sei divisi in tre coppie. Prima di allora, ii figli che erano nati non erano mai sopravvissuti, parti difficili in assenza di strutture adeguate, la mancanza di un medico, l'esposizione alle intemperie non avevano consentito alcuna nascita fino a quando non erano appunto rimasti in sei..........fino a quando si era fatalmente giunti al “punto zero” dopo il quale o i superstiti avrebbero finalmente incominciato la lunga, difficile e dolorosa strada di una nuova evoluzione partendo appunto da....zero o si sarebbero semplicemente estinti. Allora tutte e tre le donne erano rimaste incinte e finalmente avevano portato a termine la loro gravidanza. Dopo un secolo la popolazione era faticosamente cresciuta ad una cinquantina di individui, dopo duecentosettanta anni rasentava oramai le settecento anime. Certo oramai dopo tanto tempo i discendenti dei venti astronauti erano diventati dei veri e propri selvaggi. Prima di tutto le loro origini erano state completamente dimenticate, perse nei meandri del tempo e solo qualche blando ricordo rimaneva ancora nelle favole che le madri a volte narravano ai piccoli ma nulla di più. Piano piano l'agricoltura aveva affiancato la caccia e la pesca ma la comunità era ancora troppo piccola per poter sperare di poter fare un salto di qualità decisivo che la potesse fare decisamente evolvere. La situazione era invece stata decisamente migliore per gli astronauti atterrati sulla pista del vecchio aeroporto: prima di tutto si trattava di ben trenta donne e dieci uomini e poi i nuovi arrivati avevano a loro disposizione le strutture del vecchio impianto come supporto logistico e valido riparo contro le intemperie. L'aeroporto era l'unica struttura rimasta in piedi in quella zona a dieci anni dalla catastrofe. Si era salvata solo per il fatto che le montagne circostanti prima di crollare, avevano protetto la zona dall'ondata di piena proveniente dall'oceano e perchè quella zona era la più lontana in assoluto dai vulcani che avevano devastato il pianeta. Anche le nuvole di polvere a causa del gioco dei venti non avevano li ricoperto mai totalmente il cielo e non avevano mai oscurato del tutto luce e calore solare. Si trattava di una zona non particolarmente vasta ma fortunatamente un luogo che aveva conservato i preziosissimi campi di grano e di altre specie di piante coltivabili indispensabili alla sopravvivenza dell'uomo. Le mandrie di bovini e i greggi di ovini prosperavano tutt'ora e non sarebbe stato per nulla difficile poterle riunire in stalle organizzate. Accanto all'aeroporto sorgeva infatti una struttura sperimentale del Ministero dell'Agricoltura e l'aeroporto era stato edificato proprio in funzione di tale struttura. Dopo dieci anni dalla catastrofe tutti gli edifici erano ancora in piedi, anche se stranamente nessuno era rimasto ad occuparli: la popolazione originaria era provabilmente fuggita altrove ed era perita lontano da li. Per cui gli astronauti qui erano per così dire “caduti in piedi” e avevano potuto incominciare la loro vita in quella zona in maniera ben molto meno traumatica di quella che avevano dovuto condurre i colleghi a tremila chilometri di distanza. Nello stesso periodo in cui gli abitanti del “Progetto” erano sul punto di riemergere alla superficie, i discendenti degli astronauti avevano costituto una sorta di civiltà perfettamente organizzata, basata su agricoltura artigianato e allevamento del bestiame. Inoltre erano riusciti a mantenere almeno in parte, il ricordo di quello che era stata ala grandezza di un tempo dell'uomo, l'organizzazione della società si era mantenuta quasi inalterata e fin da subito, grazie alle relativamente favorevoli condizioni di vita, la popolazione era potuta aumentare in modo esponenziale. Ora nella zona di atterraggio e nei dintorni vivevano ben diecimila anime, suddivise in un centro principale sui resti dell'aeroporto, e in due altri villaggi edificati nelle vicinanze. Ma mano a mano che ci si allontanava dal così detto “centro” altre case e fattorie sorgevano con l'aumentare della popolazione, sempre più in la, sempre più lontano. Dopo duecento anni, il ghiaccio aveva poi incominciato a ritirarsi in tutto il pianeta, il sole era tornato a scaldare la Terra e nuove zone libere dal gelo avevano incominciato ad emergere, pronte ad ospitare nuovamente la vita. La popolazione di questa zona aveva da subito assunto il nome di “Arcadia” e, con le strutture presenti era riuscita a non dimenticare le proprie origini e soprattutto almeno parte delle conquiste che l'umanità aveva raggiunto in secoli di evoluzione. Con le nuove nascite il più presto possibile era stata costruita una scuola, era stata riaperta l'infermeria della struttura originaria approfittando del fatto che due degli astronauti erano medici, e l'organizzazione propria di un paese civile era stata così in qualche modo mantenuta. Da qui l'uomo non sarebbe certo ripartito dal nulla e preziosissimi anni sarebbero stati risparmiati dalla razza umana verso una nuova grande evoluzione.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO.
Gli ex abitanti del “Progetto” erano in assoluto quelli che erano senza ombra di dubbio i più fortunati e questo per svariate ragioni. Prima di tutto disponevano del territorio, che avevano da subito battezzato “America”, più vasto rimasto in tutta la Terra. Avevano infatti la fortuna di trovarsi sull'unico continente vero e proprio rimasto fuori dall'acqua: si trattava di un continente che aveva le dimensioni dei vecchi “ Stati Uniti D'America” più il “Canada” ma confini e conformazione geografica e idrogeologica non avevano assolutamente nulla a che vedere con le vecchie e conosciute terre emerse. Poi essendo “riemersi” dopo trecento anni dalla catastrofe, avevano avuto la fortuna di trovare un territorio già tornato fertile e geologicamente assestato: flora e fauna avevano già da tempo ricominciato ad espandersi e tutto era pronto ad accogliere di nuovo la vita e la civiltà umana. Ma soprattutto i settemila sopravvissuti avevano come punto di riferimento tutta la tecnologia contenuta all'interno della struttura che li aveva ospitati fino al momento dell'esodo. Non sarebbe ovviamente stato mai assolutamente possibile “ricostruire” il vecchio mondo com'era prima della catastrofe ma creare nel tempo un qualcosa di diverso e forse migliore questo certamente si.
CAPITOLO DICIOTTESIMO.
Altri duecento anni erano oramai trascorsi: il sito presso il deserto non era mai riuscito ad evolversi e la progenie dei sei astronauti rimasti si era trasformata in una serie di tribù barbariche che vivevano da nomadi nella zona delimitata dal deserto. Mai nessuno di loro aveva tentato di attraversare quel mare di sabbia rossa .“Arcadia” invece a cinquecento anni dalla catastrofe si era notevolmente ingrandita ed evoluta. Con l'aumento costante della popolazione si era praticamente espansa in tutta la grande isola circondata dall'oceano sconfinato e aveva edificato ovunque piccole cittadine collegate da comode strade. Alcune spedizioni erano state mandate appena era stato possibile alla ricerca degli eventuali superstiti della navetta atterrata ai margini del deserto e avendovi trovato solo dei selvaggi, i responsabili del governo avevano saggiamente deciso di lasciarli almeno per ora vivere in pace per i fatti loro. Ci sarebbe stato certamente tempo e modo per riportare anche loro alla civiltà. Ad Arcadia il ricordo di quello che era stato, delle loro origini e delle meraviglie di un tempo, era ormai rimasto solo il ricordo.......tutto quel poco che era stato possibile mettere in pratica delle antiche conoscenze di un tempo era stato fatto e una civiltà enormemente diversa da quella dell'uomo del ventunesimo secolo era indubbiamente sorta, salda e destinata ad una ulteriore futura evoluzione. Stessa sorte aveva avuto la “colonia” che si stava espandendo alle pendici del “Gran Sasso”, sull'isola che si era formata su quello che un tempo era il mare Adriatico. Anche qui c'era una favorevole base tecnologica di partenza costituita dal vecchio habitat sotterraneo accompagnata da un territorio piccolo ma favorevole all'evoluzione. Anche qui il ricordo di quello che era stato era mantenuto sempre vivo e l'insediamento era stato chiamato, in ricordo dei vecchi tempi, “Italia” . Anche qui ormai si era pronti ad una nuova grande evoluzione, con la decisione presa di intraprendere i primi viaggi di esplorazione. Già da tempo parte della popolazione si era dedicata alla pesca con la conseguente costruzione di pescherecci, prima a vela e poi con l'inizio della produzione artigianale di metalli, a vapore. Cinquecento anni dopo l'anno zero, anno della catastrofe da cui tutti i nuovi siti umani avevano incominciato a contare il tempo che passava, si era deciso di costruire una grande nave destinata all'esplorazione del grande mare che circondava quella piccola isola di civiltà, alla ricerca di nuove civiltà e forme di vita, verso l'infinito e.....oltre. La nave era interamente costruita in legno di quercia e aveva una stazza di seicento tonnellate, un vero gigante per una popolazione ancora così ridotta, uno sforzo di costruzione immane. Ma ciò era stato fatto non solo per cercare di vedere se al mondo qualcun altro a parte loro potesse essere sopravvissuto ma soprattutto per la ricerca di nuovo spazio vitale per le generazioni future, visto che il territorio della grande isola era si abbastanza vasto ma anche per gran parte impervio e montagnoso e dunque inadatto a dar da mangiare ad un numero elevato di individui. La nave era dotata di una ampia velatura ma per la propulsione meccanica si era ricorsi non al vapore come si era fatto per i più moderni pescherecci ma all'unico motore diesel rimasto efficiente all'interno del vecchio impianto sotto la montagna. I discendenti degli ingegneri di un tempo, che avevano tramandato di padre in figlio le loro conoscenze, erano riusciti ad adattare il motore che un tempo faceva parte di un carrello ferroviario parcheggiato nella galleria, alle necessità dell'imbarcazione in costruzione. La nave era stata di comune accordo battezzata “Italia” ed era stata pitturata in azzurro. La partenza era stata fissata per l'indomani, il primo di gennaio dell'anno 501 dopo la catastrofe. Il Comandante Bianchi si aggirava nervosamente su e giù per la nave per gli ultimi controlli prima della partenza prevista per le otto del giorno seguente. Si era fermato a parlare con il suo “secondo” il Tenente Riva e di comune accordo avevano deciso la rotta che avrebbero seguito il giorno dopo. Il programma era quello di risalire quello che un tempo era l'Adriatico per vedere se per caso esistesse ancora la costa Veneta. Si sapeva dai viaggi fatti dai pescherecci, che la costa della regione Balcanica dall'Istria alla Grecia e più in basso ancora non esisteva più e adesso tutto era solo.....mare. Anche tutto il sud della penisola appariva sprofondato e con lui Sicilia, Sardegna e Corsica. Più in la nessuno si era mai spinto.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO.
Dopo tre giorni di navigazione, gli esploratori avevano scoperto che tutta l'Italia era praticamente scomparsa sotto il mare. Dove una volta le Alpi si ergevano maestose c'era solo acqua e a parte alcune piccole brulle isolette che altro non erano se non le cime più alte, altro non c'era......acqua, acqua e solo acqua. Ma era tutta l'Europa che non esisteva assolutamente più, oltre ad Asia, Africa ed Oceania, anche se loro questo non potevano saperlo. Il nuovo mondo si limitava adesso al nuovo Continente Americano, alla grande isola dove erano atterrate le tre navette e a quello che era rimasto del Massiccio del “Gran Sasso” Solo questo.......e nulla più a parte i due poli, i Polo Sud fatto solo di ghiaccio e i Polo Nord con il ghiaccio che ricopriva quello che un tempo era stata Londra e parte dell'Inghilterra. Non sapendo quale direzione prendere l'”Italia” si era diretta verso nord ovest e aveva continuato a navigare in un mare che pareva non voler finire mai. Una mattina si erano imbattuti in qualche cosa di assolutamente imprevisto: all'orizzonte si era stagliato un qualche cosa di assolutamente mostruoso: prima era apparsa una sovrastruttura formata da degli stranissimi tralicci, poi era apparsa una gigantesca imbarcazione che procedeva chiaramente alla deriva in balia delle correnti. Si trattava veramente di un qualcosa di enorme..........avvicinandosi con la più grande cautela, Il Comandante Bianchi si era reso conto che si trattava ovviamente di un relitto dei tempi passati e lo aveva immediatamente riconosciuto per quello che effettivamente era per averlo visto su dei vecchi libri che erano sopravvissuti all'olocausto. Si trattava di una portaerei Americana. L'occasione era troppo ghiotta per poter essere ignorata e Bianchi fece cautamente avvicinare la sua imbarcazione a quel gigante dei mari, riuscendo ad attraccare accanto a lei e a lasciarsi trasportare dalla corrente a fianco di quel gigante addormentato. Se non ci fosse stato un portello aperto a pelo d'acqua, entrare all'interno sarebbe stata una impresa vera e propria se non addirittura impossibile ma evidentemente la fortuna era questa volta dalla loro parte. A bordo in esplorazione, erano entrati solo Bianchi e il Tenente Riva che, scavalcando con un balzo la distanza che separava il gigante dal microbo, si erano avventurati all'interno. Per “visitare” da capo a piedi l'”America”, così infatti si chiamava la nave da guerra, ci sarebbe voluta una vita. I due esploratori per prima cosa avevano cercato di recarsi sul ponte di volo e per farlo avevano dovuto salire lentamente un piano per volta. A BORDO NON C'ERA ASSOLUTAMENTE NESSUNO. Sembrava che l'equipaggio avesse abbandonato nel massimo ordine la nave..........tutto appariva corroso dal tempo ma ancora al proprio posto, sotto coperta nel gigantesco hangar si allineavano ancora elicotteri a fianco degli “F18” con le ali accuratamente ripiegate, i magazzini delle munizioni erano assolutamente intatti con missili, bombe e siluri perfettamente in sicurezza al loro posto. A poppa della nave si erano imbattuti in alcune porte sigillate che portavano disegnati dei simboli che il Comandante aveva riconosciuto come quelli che un tempo indicavano aree radioattive e ovviamente i due si erano subito diretti nella direzione opposta. Era un gigantesco monumento ad una civiltà che oramai esisteva solo nei ricordi dell'uomo di adesso, ad uno sbalorditivo progresso tecnologico che l'uomo aveva almeno per ora definitivamente perduto. Quando poi erano arrivati sul ponte di volo, oramai perfettamente sgombro di aerei e che per questo motivo appariva ancora più grande di quello che era, avevano visto dall'alto la loro imbarcazione che a loro fino a ieri sembrava tanto grande e la avevano adesso paragonata ad un guscio di noce. Si trattava di una scoperta troppo grande e troppo importante per il futuro dell'umanità e l'”America” se si fosse riusciti in qualche modo a riportarla a terra sarebbe stata di una enorme utilità per ritrovare almeno in piccola parte quello che si era perduto con la catastrofe. Per ora non c'era nulla che loro potessero fare se non annotare con la più grande precisione possibile la posizione attuale della portaerei in modo da poterla un giorno ritrovare e chissà.........forse trainare in qualche maniera fino alla costa. Dopo un altro mese di navigazione nel nulla, quando ormai per l'esaurimento di viveri e carburante già si pensava che era arrivato il momento di tornare a casa, finalmente l'”Italia” era stata avvistata da un'altra imbarcazione. Si trattava questa volta di una grossa nave partita da “America” che aveva il medesimo compito di quella di Bianchi e Riva. Si chiamava “Enterprise”era molto più grande di quella partita dal “Gran Sasso”, era spinta esclusivamente da due motori diesel ricavati dagli ascensori che un tempo avevano fatto scendere gli “eletti” all'interno della struttura del “Progetto” e batteva la vecchia gloriosa bandiera a stelle e strisce. A vedere il Tricolore che garriva a poppa dell'”Italia” un urlo di gioia aveva pervaso l'imbarcazione “americana” e ad abbordaggio avvenuto i due equipaggi si erano letteralmente lanciati gli uni tra le braccia degli altri. Tutti a bordo delle due navi avevano studiato a scuola la storia e tutti sapevano quanto in passato le due nazioni di cui ora loro erano i diretti discendenti, fossero state legate l'una all'altra.
CONCLUSIONE.
Altri cinquecento anni erano trascorsi...........grazie al recupero della portaerei con la sua tecnologia avanzata fatto dall'Italia e dall'America di comune accordo e con mezzi messi a disposizione da entrambe le due piccole Nazioni, alle nozioni contenute nel gigantesco computer sepolto sotto quelle che un tempo erano state le “Montagne Rocciose” e alla grande volontà di tutti di voler progredire, il sapere dell'uomo “Sapiens” non era andato perduto. Con il continuare delle esplorazioni, a forza di navigare su e giù per lo sconfinato oceano, si era scoperta alla fine anche l'esistenza dell'altra isola di civiltà chiamata “Arcadia” che a sua volta era subito entrata a fare parte di quel nuovo mondo che stava incominciando a sorgere. Certo che per poter riuscire a tornare al livello di vita e di conoscenza di una volta, sarebbe stato necessario un tempo indefinibile ma di sicuro lunghissimo e certamente tutto sarebbe ovviamente comunque stato diverso da quei tempi oramai tanto lontani. Non esisteva per fortuna più la guerra, la fame nel nuovo mondo non c'era più e tutti gli sforzi venivano ora finalmente incanalati verso nuove e sempre più ambite conquiste sempre nel rispetto della vita e della natura. Era la rinascita di un mondo nuovo, nato dalle ceneri di una umanità che rimanendo così come era, non aveva più nulla da dire se non mirare ad una inevitabile autodistruzione a causa di guerre o di cambiamenti climatici da lei provocati in nome di un malcelato progresso. Era stata come al solito la lungimiranza del Creatore a volere tutto questo, a porre fine ad un mondo destinato prima o poi ad una inevitabile autodistruzione e a fare in modo che le sue creature predilette potessero finalmente condurre una vita serena che le potesse preparare in pace, armonia e serenità a quello che con l'inevitabile passaggio della morte avrebbero trovato in seguito di meraviglioso, quello per cui un tempo lontano erano state da Lui create.
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giovedì 2 giugno 2011
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