venerdì 3 giugno 2011

"SILE"......ricordi di un mondo perduto.

AVVERTIMENTO PER IL LETTORE:

In tutto questo mio racconto, si sussegue una serie di personaggi assolutamente reali ai quali il più delle volte non ho voluto nemmeno cambiare il nome. Ho infatti piacere che se qualcuno di loro avesse la ventura di leggere questa mia fatica, si possa riconoscere e individuare alla perfezione. Raramente invece, soprattutto se il personaggio in questione ha avuto un impatto sgradito con lo scrivente, ho preferito e scelto per rispetto nei suoi confronti di “cambiargli identità” in modo che non si possa sentire ne offeso ne sminuito da chi potesse eventualmente credere di poterlo riconoscere.


INTRODUZIONE:

Nella mia testa si agita una serie di pensieri e di ricordi, belli o brutti che siano, che per me sono estremamente cari e che rievocano uno dei periodi più belli e spensierati della mia vita.
Questa raccolta di memorie è senza dubbio in parte condivisa e comune ad altre persone, persone che con me hanno vissuto parte della mia vita e che tramite detti ricordi sono anch’esse entrate a far parte di me.
Ed è proprio a costoro che voglio dedicare quanto sto cercando di scrivere, in modo tale che quello che abbiamo fatto in quattordici anni della nostra vita, non vada perduto nell’oblio con il passare del tempo. Faccio presente che quanto mi accingo a narrare, fa parte di un periodo irripetibile che si riferisce al periodo della cosiddetta “naia”, quando cioè esisteva il servizio di leva. Ora, solo il pensare che una situazione come quella che si era verificata in quei luoghi e in quegli anni possa ripetersi, è assolutamente improponibile ed inaccettabile.
E’ difficile scrivere per la prima volta qualche cosa senza il pericolo di annoiare chi legge….a me piacerebbe tantissimo avere almeno un piccolo frammento della capacità di comunicazione e della freschezza di Giovannino Guareschi ma, ovviamente paragonare i ricordi che cercherò di mettere su carta con le avventure di “Mondo Piccolo”, è come voler mettere a confronto una vecchia cinquecento con la Ferrari campione del mondo!
Tutto ciò che mi accingo a narrare, riguarda un Battaglione unico nel suo genere nell’ambito delle “Forze Armate” italiane, il vecchio mitico “Battaglione Anfibio SILE”, facente parte, all’epoca della Sua esistenza delle “Truppe Anfibie SERENISSIMA”.
Al contrario di quello che succede ai giorni nostri, un tempo non tanto lontano, Lagunari si nasceva e non si diventava, per il semplice motivo che il reclutamento era coatto e soprattutto regionale per cui tutti i Lagunari erano, fin dall’inizio, “figli della nostra Terra Veneta”. Tutti eravamo obbligati a prestare “Servizio Militare”, c’era chi lo faceva volentieri (pochi), chi meno……ma tutti alla fine diventavamo orgogliosi di essere quello che eravamo e di fare ciò che facevamo, perché eravamo parte di qualche cosa di vivo e di nostro!

CAPITOLO PRIMO: il primo impatto

Quando noi poveri “Baffi”, chiedevamo al C.A.R. del Lido notizie su S. Andrea , i nostri Caporali Istruttori, che ci facevano da “balia”, non si sbilanciavano mai troppo….ci spiegavano, che si, nell’Isola al comando c’era un Tenente Colonnello, ma che non c’era da preoccuparsi, tanto si sapeva che per i permessi e per le licenze…..non c’era nessun problema, dato che tale personaggio, bontà sua,…firmava sempre tutto ……anche se gli presentavano un “escremento” ancora caldo! (scusate la volgarità del termine usato….ma è quasi la stessa espressione usata allora….solo un po’ purgata nel linguaggio). La vita sull’Isola era tutto sommato normale, il tempo passava tranquillo….c’era, è vero, il problema della “vecchia” e dei “nonni” che si sussurrava comandassero a bacchetta, ma….più di tanto non si riusciva proprio a sapere, tanto, ci veniva ripetuto in continuazione….avremmo visto tutto con i nostri occhi quando ci saremmo finalmente arrivati!
La curiosità, mano a mano che il tempo passava, era sempre più feroce….e al nostro arrivo a S. Andrea non stavamo più nella pelle per l’aspettativa! Era veramente una caserma al di fuori di tutte le regole: verde lussureggiante ovunque, la canaletta che dominava incontrastata il paesaggio prettamente lagunare, camerate e palazzine piccole, basse e graziose che davano al tutto un aspetto “casalingo” e…per niente militare. Non c’era l’impatto violento di trovarsi in una rigida struttura militare, ma l’impressione prevalente, almeno per me, era quella di sentirmi completamente a mio agio. Tutto ciò riguardava ovviamente la visuale esteriore di tutta la faccenda…certo avevo conosciuto l’Isola e mi era piaciuta subito molto…..ma NON avevo ancora conosciuto i suoi abitanti…e li stava proprio il nocciolo della questione…..auguri
“Baffone” !!

CAPITOLO SECONDO : il mototopo

Chi più di te ha diritto di iniziare la serie dei miei ricordi se non tu…..vecchio pezzo di legno con un diesel per cuore ed il leggendario “Topista” per fantino, tu che hai traghettato generazioni di Vecchie e Baffi su e giù per la mitica canaletta di S. Andrea, tu che sapevi tirare fuori dal tuo logoro motore una serie incredibile di “cavalli” che permetteva, in caso di pericolo di perdere l’autobus delle 17,10 al Lido, di compiere la traversata verso la libertà di qualche ora, in tempi incredibilmente ridotti, spremendo dalla tua anima di viti e bulloni (mamma mia come sono lirico!!!) anche la velocità che non era certamente patrimonio dei tuoi cromosomi! Tu che caricavi paziente come un mulo degli Alpini anche il doppio del personale consentito e lo portavi a destinazione con il rombo costante ed ipnotico del tuo motore e che facevi entrare nel tuo ventre capace le cose più incredibili, dal carico di frutta e verdura, alle lenzuola, alla Vecchia in fuga!…..Tu che venivi regolarmente “bestemmiato” ogni volta che, per la legge della impenetrabilità dei corpi, dovevi per forza di cose lasciare sul pontile il Baffo sfigato di turno che avrebbe voluto salire a bordo, o quando anche tu, per la manutenzione andata a quel paese per il poco tempo a disposizione per effettuarla, ad un certo punto dicevi :”BASTA”, e ti fermavi sul più bello, magari a cinquanta metri dal tanto agognato pontile del LIDO! Anche tu facevi i tuoi capricci….ma non da cavallo di razza come i “purosangue” dei motoscafi del Presidio, ma le bizze di un povero mulo testardo, che alla fine, a forza di botte, si imbizzarriva. Ma erano capricci passeggeri, e alla fine, tornavi a macinare miglia su miglia, su e giù per la canaletta con il caratteristico ronfare del motore che ti faceva riconoscere da lontano.!
Quante volte io, povero Baffo ansioso di andare a casa con l’ultimo turno, tendevo collo e orecchie per vederti spuntare da lontano, vederti avvicinare …..e finalmente…approdare….Tu eri veramente il vero cordone ombelicale verso la libertà!.

CAPITOLO TERZO : il Topista

Se il Comandante di Battaglione era colui che concedeva la licenza, chi poi la rendeva effettivamente esecutiva …era proprio Lui, il padrone del mototopo, re delle fughe……il nostro “TRAGHETTATORE DI ANIME!!! “ Se Lui non partiva….la licenza con tutti i nullaosta e le firme del mondo, restava un inutile “pezzo di carta”. Quante volte con il sudatissimo “Quarantotto” in tasca sono rimasto ore ad aspettare sul pontile per gli “sghiribizzi” del topista! ( C’ERA DA APRIRE,CHIUDERE E REGISTRARE IL MALEDETTO FOGLIO DI MARCIA; C’ERA DA FARE IL PIENO DI GASOLIO; ERA ARRIVATO IL SACRO ED IRRINUNCIABILE MOMENTO DELLA PAUSA SPACCIO; C’ERA UN IMPELLENTE BISOGNO DA SODDISFARE OVVIAMENTE CON LA DOVUTA CALMA E CONCENTRAZIONEE POSSIBILMENTE CON L’ACCOMPAGNAMENTO DI UN GIORNALE CHE AIUTAVA IL POVERO STITICO AD ULTIMARE “TANTO SERVIZIO”….e così via!!!!Lui era il “DIO” incontrastato della via verso la libertà, era colui che decideva quanti Baffi e quante Vecchie, anzi, scusate, quante Vecchie e quanti Baffi caricare in più del numero consentito, ed era sempre Lui che decideva se quel po’ di bruma autunnale potesse o no essere considerata nebbia e di conseguenza bloccare o no la libera uscita! Ma era anche sempre Lui che, rovescio della medaglia, per cercare di proteggersi un po’ dal feroce vento invernale, che soffiava dalla bocca di porto del Lido, attaccava sopra l’ingresso della cabina sfornita di porta, una logora coperta di casermaggio, ed era sempre Lui che dall’alba a mezzanotte andava ogni ora su e giù dal pontile del Lido alla caserma, con il caldo torrido o con la pioggia battente.
Il Topista , in genere, era nella vita civile un pescatore chioggiotto, rotto alle fatiche della pesca, ma che di solito, per la prima volta in vita sua, si trovava ad essere “gestore” di qualche cosa. Lui gestiva la nostra libertà….(scusa se è poco!!!) e lo sapeva bene….ECCOME SE LO SAPEVA!!! Lui per la prima volta in vita sua si sentiva “qualcuno” e se ne approfittava alla grande. A parte la famigerata “ settimana di Topo” durante la quale viveva in simbiosi con il suo mezzo, settimana dura e bestiale fin che si vuole!, Lui era esentato da qualsiasi altro tipo di servizio, armato e non, e alla fine della settimana aveva diritto oltre che al mitico “quarantotto”, a tre giorni supplementari di licenza. D’altro canto quando il suo scaglione non montava più di servizio e usufruiva finalmente, dopo mesi di sofferenza, di “quarantotto e pernotto FISSI” per anzianità raggiunta, Lui era ancora abbrancato al suo maledetto Topo a macinare miglia su e giù senza soluzione di continuità.

CAPITOLO QUARTO : la Vecchia

Regina incontrastata, Dea regnante, Lex sine qua non……la Vecchia era l’istituzione ufficialmente inesistente, ma in realtà, onnipresente e ben reale nella vita nella nostra Isola. Se ne sentiva parlare, per chi non aveva mai avuto padri o fratelli lagunari, fin dal primo giorno del C.A.R. del Lido:” Quando voi Baffi sarete a s. Andrea….poveri voi !!! Saranno di sicuro CAVOLI AMARI da digerire e CAZ…..ACIDI da Cag…….!!!”. (scusate le mezze parolacce….ma anche questo “ gergo” fa parte della storia) .Io, e questa volta voglio raccontare proprio di me, divagando, divagando, di Vecchia, Baffi, e di vita di caserma non ne sapevo assolutamente nulla, e giacchè avevo ormai compiuto e superato i ventisette anni, pensavo che per esubero di personale probabilmente il militare non lo avrei mai fatto. Abitavo al Lido, facevo di malavoglia l’Università a Padova,….e, qualche volta, attendendo in fila di imbarcarmi sul ferryboat per la terraferma, avevo notato una banda di gente in mimetica, che si agitava nel famoso “campo dei militari”. Ricordo, come fosse adesso, che i primi della fila di costoro correvano come matti; il gruppone centrale scammellava compatto a ritmo di dopolavoro e….gli ultimi, mi pare ancora di vederli, camminavano con aria schifata….sfogliando la GAZZETTA DELLO SPORT. Non avevo mai realizzato che al Lido, dove abitavo da ventidue anni, esistessero dei militari, meno ancora che si chiamassero “Lagunari”……la consapevolezza di ciò arrivò un bel giorno, quando ricevetti la “ cartolina rosa che ormai non aspettavo più!!”. Destinazione: “TRUPPE ANFIBIE SERENISSIMA!!!“ Solo il nome “anfibie” mi dava il terrore anche se “Serenissima” avrebbe in teoria dovuto aprirmi gli occhi: ”Dove saranno mai ubicate ‘ste truppe anfibie……Bari, Brindisi…..a ‘sto punto almanco … speremo che sia Ancona………Dove cavolo (allora cazzo mi scappava di raro) mi avranno mai mandato???” Poi guardando ben bene il termine “Serenissima” e l’indirizzo, saltò fuori che ero stato destinato a S. Nicolò……a otto chilometri circa da casa mia! L’urlo di gioia scaturito dalla mia gola ha fatto di sicuro impallidire quello di Marco Tardelli, che allora tra l’altro doveva ancora emetterlo visto che stiamo parlando del 1979, quando nel 1982 fece il gol del due a zero alla Germania. Felice di tanta fortuna, mi presentai alle sette e trenta del mattino all’Ufficiale di picchetto (S.Ten Busetto Maurizio, anche lui del Lido) , buttandolo, data l’ora, praticamente giù dalla branda. Era l’undici settembre del 1979, il nono scaglione 1979 cominciava la sua avventura.
Chiudiamo qui la digressione che mi riguarda……e ritorniamo a noi. Per il nono scaglione il C.A.R., tutto sommato, compresa la sconvolgente novità di vederci vestiti tutti uguali in uniforme, risultò molto divertente e interessante. Tutto era novità…….l’addestramento di base, i servizi di caserma, il mangiare (tutto sommato …accettabile), il dormire in camerate da trenta persone. Tutto in generale filava via liscio, tranne, per me, una cosa….una sola ma tremenda : I SERVIZI IGIENICI, LE MALEDETTE TURCHE a cui non ero proprio abituato. Entravo….guardavo disgustato quel buco nero puzzolente….USCIVO!!! Una, due, tre volte al giorno, la pancia sempre più gonfia….ma…NIENTE!!! Ritentavo con lo stimolo impellente di “liberarmi”…..ma, appena accennavo a slacciare i pantaloni……tutto si bloccava……e niente si sbloccava!!! Fortuna volle, che dopo una settimana di passione, ci fecero finalmente andare per la prima volta in libera uscita, dove a casa mia, seduto sul mio trono….AHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!.
Ma sto divagando ancora….dovevo parlare della Vecchia .
Come avevo specificato in precedenza, per tutto il periodo del C.A.R. si era fatto un gran parlare di questo misterioso argomento, ma era solo al momento di partire per S. Andrea, che tutto ciò di cui avevamo sentito parlare diventava realtà.
Il giorno dell’arrivo dei Baffi sull’Isola dei pirati, cominciava il loro calvario….L’arrivo significava l’inizio dell’inferno per i Baffi Cancarosi, l’arrivo dall’inferno al purgatorio per gli scaglioni precedenti che soffrivano già da mesi sull’Isola, …..l’arrivo in paradiso per gli scaglioni che, con gli ultimi arrivi, si affrancavano dalla “Bafferia” per raggiungere l’olimpo degli anziani.
Per arrivare a destinazione, prima di salire per la prima volta sul mototopo di servizio, pilotato dal truce “Topista” di servizio (quasi sempre da….Ciosa!!) che guardava i malcapitati novellini con un’aria schifata di sopportazione, ai poveracci, che erano tanto orgogliosi della loro divisa, veniva imposto di levarsi IMMEDIATAMENTE il basco (oggetto del corredo che i Pirati usavano SOLO in certe LORO PARTICOLARI occasioni) e di strappare dalla manica il Mao rosso con il leone di S. Marco! E’ qui necessario fare un piccolo chiarimento sull’uso del basco: detto oggetto di corredo, non era considerato come facente parte del vestiario di un Pirata….ma, bensì come simbolo di un certo rango “raggiunto”. Veniva indossato SOLO da Congedanti e dalle Vecchie in tutti i momenti in cui l’anziano voleva dimostrare tutto il suo potere sulla povera “Bafferia”. Dal terzo mese di naia in poi, in gran segreto, di nascosto da tutti, il Pirata cominciava a decorare il suo copricapo con un numero di stelle corrispondente al numero di mesi di servizio militare effettuati. Più passavano i mesi, più aumentavano le stelle…..Le stelle c’era chi si accontentava per lo più di disegnarle, chi invece, sentendosi investito di sacro fuoco, arrivava al punto di intagliarne la forma con infinita pazienza nel tessuto, di coprirle di pellicola trasparente, di guarnirle di lampadine di colore diverso una dall’altra e di collegarle ad una batteria…….Tutto ciò per SFOGGIARE davanti agli ultimi arrivati LA PROPRIA COSTELLAZIONE!!!!!!

CAPITOLO QUINTO : lo Scaglione

Lui era la Legge, la Bibbia cui attenersi……Il Vangelo cui riferirsi, per cui gioire o bestemmiare….era sempre Lui il RE….il RE SCAGLIONE!!!! Tutto a S. Andrea funzionava in funzione Sua, sevizi, licenze, precedenze nella difficile opera quotidiana dell’imbarco per la libera uscita e per il rientro in base, precedenze per l’afflusso a mensa o per l’ingresso allo spaccio…..tutto insomma, assolutamente tutto, veniva regolato dalla anzianità di scaglione e dalla Sua naturale emanazione: la temutissima “VECCHIA”. Se il comando del Battaglione era, come logico, gestito da Ufficiali e Sottufficiali, la Vecchia aveva, con tacito assenso di tutti, il controllo e la “gestione” di tutto il personale di truppa: tutto veniva fatto per favorire sfacciatamente gli Anziani a discapito degli ultimi arrivati…….mano a mano che avanzava l’anzianità, con l’arrivo mensile dei nuovi scaglioni, aumentavano gradatamente i privilegi e diminuivano le incombenze. Tutto ciò accadeva all’inizio con una lentezza esasperante ma, giorno dopo giorno, mese dopo mese, con l’ineluttabilità più completa e più assoluta. Tutto era concepito per permettere agli Anziani, che da Baffi erano stati calpestati, umiliati e offesi in tutti i modi, di rifarsi e di rivalersi a loro volta a spese degli ultimi arrivati…..era una ruota che girava….oggi a me domani a te!!!!!




GERARCHIA DELL’ANZIANITA’ VIGENTE SULL’ISOLA :

BAFFO CANCAROSO: dall’arrivo sull’Isola, all’arrivo dello scaglione successivo.
Diritti: assolutamente NESSUNO!
Doveri: assolutamente TUTTI!
BAFFO: dall’arrivo dello scaglione successivo al suo, al compimento del terzo mese di naia:
Diritti: PICCOLE agevolazioni ai danni dei Baffi cancerosi.
Doveri: assolutamente TUTTI!
TUBO: dal compimento del terzo mese di naia, alla nomina a “Vecchia montante”.
Diritti: PICCOLE concessioni da parte della Vecchia, servizi più leggeri ai danni della “Bafferia”, qualche permesso in più, esenzione in linea di massima a “far brande” alla Vecchia.
Doveri: TUTTI quelli decisi dai “Nonni”!
VECCHIA MONTANTE: Dal settimo mese alla fine del nono mese di naia.
Diritti: esenzione, salvo casi di forza maggiore, da ogni tipo di servizio, quarantotto e pernotto fissi, possibilità di mettere in firma i primi cinque giorni di “licenza breve”, ovvia precedenza sui Baffi su ingresso a spaccio, mensa ed imbarco sul mototopo.
Doveri: fare tutti i pochi servizi che potrebbero essere assegnati ai Nonni, dare la precedenza SOLO a Congedanti e Vecchie.
VECCHIA: Dal decimo mese di naia alla fine dell’undicesimo.
Diritti: esenzione TOTALE da ogni tipo di servizio, diritto INALIENABILE al quarantotto ed al pernotto fisso, uso di TUTTA la licenza possibile tranne quella “ORDINARIA”, governo INCONTRASTATO della “Bafferia”.
Doveri: NESSUNO tranne quello di vegliare sul meritato riposo del CONGEDANTE.
CONGEDANTE: dodicesimo ed ULTIMO mese di naia.
Diritti: ASSOLUTAMENTE TUTTI tra i quali quello di essere considerato “FANTASMA”, quello di mettere in firma la licenza “ORDINARIA”, quello di “governare il mondo” ( per i pochissimi giorni che Lo si intravede ancora in caserma ), a Suo piacere, con l’aria schifata di c’è….ma NON c’è!!!!!
Doveri: OVVIAMENTE , ASSOLUTAMENTE NESSUNO!!!!!!!!

PRECISAZIONE:

Quando racconto del “potere” della Vecchia sui poveri Baffi, quando narro delle gioie degli uni e delle traversie degli altri, tengo a sottolineare una doverosa precisazione: noi Pirati, siamo sempre stati un Reparto atipico, soprattutto per la nostra dislocazione così decentrata, ma…..siamo sempre stati MILITARI a tutti gli effetti, certamente un po’ a modo nostro, però quando c’era da lavorare…e sull’Isola si sgobbava tutti i santi giorni, SI LAVORAVA E BASTA!!! Le distinzioni e le differenze di scaglione in addestramento si tramutavano nell’insegnamento del più anziano al meno esperto, quando c’era da soffrire…la sofferenza veniva a titolo spontaneo di esempio, prima affrontata dall’anziano e poi dal meno esperto. Così nasceva il rispetto e crescevano e si rafforzavano lo spirito di Corpo e quello di emulazione. Poi, ad acque ferme, l’anziano poteva tornare Vecchia e…..la recluta ….ripiombava nella “Bafferia “ più profonda.
Questo è un fatto che volevo chiarire subito, essere “PIRATI” voleva dire soprattutto essere sempre pronti e disponibili, per terra e per mare sempre e dovunque a fare il nostro dovere di soldati…….il resto, pur importante, è solo un simpatico contorno, il condimento ideale di una minestra già ben sostanziosa.

CAPITOLO SESTO: la guardia

Montare di guardia a S. Andrea, era una incombenza il cui peso variava come il tempo a marzo. Le difficoltà ed il peso di questo quanto mai ingrato servizio, dipendevano, in gran parte, da chi si trovava a montare di “Picchetto “, Ufficiale o Sottufficiale che fosse: si andava infatti da una muta montata con tutto l’armamentario previsto dal regolamento…..anfibi di cuoio extralucidi, mimetica impeccabile, basco, fazzolettone rosso e il maledetto e pesantissimo Garand, anche se si schiattava di caldo, ad una guardia, che se….. montava…e, ripeto…se, d’estate indossava solo il costume da bagno guarnito da cinturone e baionetta, e, al posto del fucilone…la canna da pesca!. Si andava da una muta montata con il colpo in canna, RV2 al seguito e parola d’ordine sempre pronta…..ad un’altra che invece di presidiare la caserma…..se la dormiva bellamente per tutta la notte, lasciando come unico responsabile il povero Baffo di turno a fare il Piantone al telefono, casomai a qualcuno fosse venuto in mente di “scocciare” tanto giusto sonno!! Tutto dipendeva da chi doveva gestire il servizio….a me è capitato, per esempio, montato di guardia in armeria, di aver abbandonato il fucile ben nascosto sotto un mucchio di travi…..e di essere “scappato” a fare un giro di “ombre” e cicheti con il motoscafo del Comandante, senza che di ciò fosse importato qualcosa a qualcuno. Altri Baffi, invece, molto più sfortunati di me, si sono visti rifilare dei bei giorni di “consegna di rigore” solo per non aver pronunciato al momento giusto l’Altolà !……..Dipendeva…….Ovviamente si sapeva sempre in anticipo con quale “Steccone” si doveva montare di servizio, per cui ci si regolava di conseguenza. Resta il fatto che il servizio di guardia nell’Isola…era sempre una rogna non da poco, visto che nell’arco di otto, nove mesi di naia, il Baffo di tali servizi, se ne doveva cuccare dai trenta ai cinquanta! Freddo boia in inverno con la nebbia ghiacciata che si dava il cambio con vento e pioggia, (la bora che soffia dalla bocca di porto del lido è quanto di più gelido si possa immaginare) in estate, invece, caldo torrido e sciami di zanzare affamate come un Biafrano digiuno da mesi! Ricordo, per lo sfigato Baffo che montava il venerdì, i dileggi rivolti dal mototopo in partenza, che portava i fortunati in quarantotto, al poveraccio col fucile che doveva rimanere la a soffrire. Ricordo le acerrime lotte tra “poveri” appartenenti al medesimo scaglione, per accaparrarsi i turni di guardia e le postazioni ritenuti più favorevoli (ambitissimo era il terzo turno vicino all’armeria a due passi dalla branda del corpo di guardia). Ricordo con piacere le dormite ininterrotte dalle nove di sera alle otto di mattina in corpo di guardia (quando andava bene), ma anche forzati e bruschi risvegli notturni per andare a montare al gelo della notte invernale, gelo da cui non c’era modo di proteggersi! Mi tornano in mente, con un groppo alla gola che sento ancora adesso, la pena, la rabbia e lo sconforto che mi assalivano in quei momenti. Per prendere sonno in corpo di guardia ci voleva sempre un bel po’ di tempo: d’estate il caldo..…e la rottura delle onnipresenti zanzare, d’inverno, con le finestre rotte, il riscaldamento spesso guasto e le magre coperte sempre troppo sottili, il sonno tardava ad arrivare……e quando il povero Baffo crollava finalmente tra le accoglienti braccia di Morfeo…..subito arrivavano gli scossoni di chi ti svegliava per avere il cambio! ….Pena, rabbia….sconforto! In estate, tuttavia, caldo e zanzare a parte, la situazione era sempre meno pesante: se non si riusciva a dormire, e se gli “Stecconi” di servizio non erano troppo “ROMPI”, si potevano passare le due ore canoniche a pescare le seppie con lampada, fiocina e retino, o ad entrare ed uscire dallo spaccio truppa a vedere la tv (erano gli anni ruggenti dei primi spogliarelli trasmessi ad ora tarda) se lo spacciata compiacente ti aveva lasciato le chiavi del locale….o nel peggiore dei casi, se si era sfortunati, a passeggiare su e giù al chiaro di luna cercando di non farsi divorare dalle zanzare.
Più passavano i mesi, più montare di guardia, oltre che un peso, poteva diventare un disonore: in particolarissime occasioni, quando per mancanza improvvisa di personale, qualche “Vecchia montante” era costretta, suo malgrado, a cuccarsi un servizio armato….. Mmmmmammmmmamia!!
Si aveva a che fare con una verginità violata e con un semiDio incazzatissimo!!!! Tutte le attenzioni ed i privilegi erano ovviamente per Lui, povero anziano offeso nell’onore e privato, per una volta, dei suoi sudatissimi “diritti acquisiti”!! Il turno migliore (il terzo in armeria) era ovviamente Suo, il rancio in tutte le sue varietà veniva per Lui amorevolmente tenuto in caldo a Sua disposizione, il servizio (gratuito) di ristoro era assicurato dalla Bafferia compiacente, le sigarette offerte gentilmente dal corpo di guardia riconoscente…..concessione, per concludere, di tutto quanto potesse servire al malcapitato anziano…..per trascorrere con tutta la comodità possibile le ventiquattro ore di servizio. Poi, tanta giusta irritazione del Nonno, si sarebbe come naturale, sfogata la sera successiva, in camerata o peggio ancora in “cavana”………..sui poveri novellini con una devastante “ADUNATA BAFFI”!!!

CAPITOLO SETTIMO: “Baffi, Baffoni e…baffate”!!!

Come in precedenza avevo accennato, il mio primo giorno da militare era cominciato alle sette e trenta del mattino. Abitando a pochissimi chilometri dalla caserma “Pepe”, mi ero presentato così di buon’ora senza fatica, pur avendo tempo per farlo, fino alla mezzanotte, roso dalla curiosità. Avevo così costretto il povero S.Ten. Busetto, Ufficiale di picchetto, ad affidarmi a qualcuno in attesa che cominciasse l’attività della giornata. Il qualcuno in questione, era un Lagunare che, dandosi un sacco di arie d’importanza, mi fece fare il giro della caserma spiegandomi a grandi linee, che cosa significasse essere militare nel Corpo dei mitici “Lagunari”. ( dei quali io prima d’ora non avevo mai sentito parlare).
Nella mia ingenuità di recluta appena arrivata, pensavo che questo tizio rivestisse un qualche incarico di responsabilità presso il Reparto, non sapendo che la sua anzianità di “vita militare” era di ben….ventidue giorni, appartenendo ad un solo scaglione incorporato prima del mio…. Per me , comunque, Lui era sempre più anziano di me (per forza…ero arrivato solo in quel momento), per cui degno di rispetto. Con questo “elemento” ebbi a che fare anche un paio di settimane dopo quando feci il mio primo servizio di “piantone alle camerate”. Il mio primo servizio al C.A.R del Lido…….era la novità delle novità: finalmente, dopo una settimana di attesa, ci avevano fornito il vestiario militare e, vestito con mimetica ed anfibi di cuoio mi sentivo un novello Rambo! L’unica nota discordante erano i maledetti anfibi di cuoio……quelli di una volta, pesantissimi, scomodi in una maniera pazzesca, ma soprattutto terribilmente rigidi e duri. Usciti dalla scatola non si potevano proprio indossare……bisognava, come ci avevano spiegato i Caporali Istruttori, prima SBATTERLI con violenza e costanza sui supporti metallici della branda fino a rendere il cuoio della scarpa più morbido e poroso, poi, tenerli per almeno tre notti di seguito….udite, udite…immersi in un secchio contenente la propria “plsciatura” per macerare ben bene il tutto ! Di “rovinare” un paio di scarpe nuove, e all’apparenza bellissime, …..non ci pensavo proprio, il fatto di immergerle poi in tale liquido puzzolente mi sembrava una sciocca schifezza….per cui orgoglioso e testardo calzai i maledetti anfibi così com’erano, convinto che camminando si sarebbero “adeguati” ai miei piedi. Prima di divagare come al solito, stavo parlando del mio primo Servizio di Piantone: vestito di tutto punto, con basco e fazzolettone rosso….mi sentivo investito di sacra autorità……avevo avuto l’ordine di vigilare su tutto quanto contenuto nella camerata in assenza dei colleghi Baffi in libera uscita. A parte il micidiale mal di piedi che dopo un’ora di anfibi cominciava a farsi sentire con una insistenza crescente, tutto andava per il meglio…….fino a quando, insieme a due Anziani, tra cui un Caporale ( grado che per me novellino era considerato “stellare”), si presentò da me il tizio che il primo giorno di caserma mi aveva indottrinato ben bene: Tale “personaggio” mi ingiunse di farmi da parte e di far entrare in camerata ..…la “delegazione” perché avevano un “compito” da svolgere……..Non sapevo proprio cosa fare…..la consegna era di NON fare entrare assolutamente nessuno, ma c’erano un Anziano ed un Caporale che scalpitavano. Alla fine cedetti, mi feci da parte, chiusi gli occhi……..e lasciai fare……A missione conclusa, la “delegazione” si allontanò con una borsa……ingiungendomi di NON riferire a nessuno della “visita” effettuata……pena una non ben definita punizione. Quanto successo mi uscì ben presto di mente, visto che la mia attenzione era sempre più calamitata verso i dolori ai piedi, dolori che stavano diventando così lancinanti da non permettermi di poter pensare ad altro, ma mi tornò prepotentemente alla memoria, quando, il giorno dopo, un povero Baffo come me, si ritrovò con una mimetica ed un paio di scarpe da ginnastica in meno……Per fortuna la “delegazione” che mi aveva visitato il giorno prima era formata da gente “onesta”….visto che NULLA di valore, a parte i due oggetti di corredo era stato trafugato. Per ulteriore fatalità fortunata il Baffo a cui mancava quello che era stato “sequestrato” era talmente Baffo che non fece rapporto a nessuno e se la “mangiò” elegantemente..…e così quella volta me la cavai per il “rotto della cuffia”! S. Marco, però, la punizione me la inviò ugualmente…..sotto forma di terrificanti vesciche ai piedi con suppurazione infetta che mi impedirono di partecipare alla cerimonia del Giuramento del mio scaglione, cerimonia cui tenevo tantissimo!……A proposito, mi ero dimenticare di fare il nome del tizio che mi aveva causato “tanti casini” facendosi forte della Sua cosiddetta “anzianità”…….Ciao EMANUELE!!!! è così, BAFFO MALEFICO che ci siamo conosciuti……….. ti ricordi????? Già dai primi giorni di caserma abbiamo cominciato a far casino!! Chi ben comincia………
Per concludere il tutto, nel periodo passato indossando forzatamente scarpette ginniche, gli anfibi di cuoio, dopo forsennati sbatacchiamenti su ogni parete dura potessi trovare…..passarono notti su notti immersi nel liquido puzzolente che tanto boriosamente avevo in precedenza scartato a priori!…Il Baffo aveva finalmente imparato a sue spese, come era giusto e sacrosanto,la sua prima lezione di vita militare!!

CAPITOLO OTTAVO: la nebbia

La nebbia sulla piatta isola piovviginando cala……..
Nella bocca di porto, nella stagione fredda, la nebbia è di casa; non è la solita impalpabile nebbia di città ma una cosa grigiastra e gelida che avviluppa uomini e cose come un gelido sudario. Ho visto, in certe serate di novembre, scomparire nel nulla oggetti situati a non più di tre, quattro metri da me….Nebbia a S. Andrea voleva dire che nulla di navigante si poteva muovere. Ai miei tempi, i natanti del vecchio “Sile” erano come le corazzate italiane della seconda guerra mondiale…..CIECHI, non avendo ancora le nostre imbarcazioni il Radar, per cui, quando la nebbia decideva di “farla da padrona”, l’unico modo per uscire dalla trappola, era quello di affidarsi al “MARY”, natante di una ditta civile, dotato (Lui si!) di Radar, che veniva puntualmente noleggiato a caro prezzo per l’occasione. Non era certamente per noi, povera truppa, che lo Stato spendeva dei bei soldi per portarci in libera uscita, ma essendoci Ufficiali e Sottufficiali che alle diciassette avevano concluso l’orario di servizio e dovevano andare a casa…….anche noi derelitti potevamo approfittare di tanta grazia , soprattutto perché il “MARY” non effettuava il viaggio di rientro dalla libera uscita e per cui….SI POTEVA DORMIRE NEL PROPRIO LETTO!!!!
Nebbia voleva anche dire montare di guardia nella più completa solitudine…..tu, il Garand (maledetto!), la bustina di cordiale lungamente scaldata tra le mani prima di berla, e….il silenzio più completo, assoluto….anche gli uccelli notturni tacevano ! Di notte, quando il buio era completo, subentrava un vago e non ben definito senso di paura….non c’era ovviamente alcunché da temere, l’epoca del terrorismo era ancora a di la da venire, ma ombre misteriose si agitavano ugualmente tra la bruma facendo a volte vedere quello che non c’era e non vedere quello che c’era veramente !! Si rimaneva veramente soli con se stessi…… io, in tali occasioni , ho imparato a calcolare con grande esattezza il tempo che passava senza l’ausilio dell’orologio, mentre aspettavo un cambio che non arrivava mai.
Quando la stagione delle nebbie cominciava, pareva non voler avere mai fine: sette, otto, dieci giorni di fila….si rimaneva per più di una settimana avvolti in un plumbeo mondo irreale senza colori …….ed è per questo che la gente si riuniva in Circolo o in Spaccio in gruppetti eterogenei. Allora era il momento in cui fioriva il vero cameratismo e si coltivavano amicizie nel tempo che non passava mai.

CAPITOLO NONO: il “furiere”

Personaggio essenziale nella vita dei Lagunari del “Sile”, lunga mano del Comandante la Compagnia e soprattutto lunga mano della “Vecchia” era Lui….il Furiere! Lui aveva campo libero nella organizzazione dei Servizi di Compagnia, aveva carta bianca nella concessione di qualsiasi tipo di licenza da proporre al Comandante la Compagnia e nella compilazione e tenuta della famigerata “lista dei presenti in base” da aggiornare giorno per giorno. Aveva praticamente le chiavi di entrata e, soprattutto, di USCITA della Caserma! Non importava a quale scaglione appartenesse….aveva però il difficile compito DI SOLLEVARE DA OUALSIASI INCOMBENZA FASTIDIOSA VECCHIE E, SPECIALMENTE, GLI INTOCCABILI CONGEDANTI!!! Negli ultimi tre mesi di naia NULLA doveva turbare il giusto riposo di chi tanto aveva patito nei primi mesi di servizio. A sgobbare di guardia, P.A.O. ed a morire di “piantone”……doveva essere solo ed esclusivamente la “Bafferia”! A dire il vero, TUTTI a S. Andrea potevano andare in licenza ed in libera uscita…….bastava solo che i Servizi, TUTTI, fossero “coperti”, ma…….purtroppo, i servizi da coprire erano sempre tanti e….i Baffi da utilizzare, sempre troppo pochi!!!
A Lui erano costantemente chieste una serie infinite di agevolazioni del tipo : “Visto ch’el Comandante no vol firmar parmesi parchè el se incasà co’ ‘a mugier, che sta note no gha vossuo darghea…..ti me cavaresi da ‘a lista dei presenti in base cussì posso dormir casa co’ me morosa che, poareta….mi me ‘a da quando che vogio!” Oppure del tipo : “Visto che fra un mese me congedo….TACHIME ‘a licensa ordinaria a quea premio e ai do quarantaoto, cussì rientro solo par tirar el Congedo!” O ancora : “Siccome me ciapo sinque giorni de “breve”, metime in firma anca i do quarantaoto tacai che me “ciavo” nove giorni casa al posto de sinque!”….E via su questo tono! Tutto era possibile per Lui, era sempre Lui che gestiva tutto quello che poteva interessare al Lagunare per poter stare a casa il più possibile……e scansare tutti i servizi che poteva. La sua era, senza dubbio, una posizione di prestigio, a cui non tutti potevano aspirare. Per concludere, il Furiere, dopo aver ovviamente accontentato le sacre esigenze dei Nonni, cercava sempre di esaudire le esigenze di tutti, scervellandosi ogni santo giorno, per ricomporre i pezzi del PUZZLE che si ritrovava per le mani.

CAPITOLO DECIMO: “pompare”

Far “pompare” i Baffi, far cioè eseguire una serie di flessioni sulle braccia, era prerogativa irrinunciabile della Vecchia, Ogni volta che lo riteneva necessario, per far valere la Sua autorità, per infliggere una leggera punizione al Baffo recalcitrante, o per un semplice “sghiribizzo” del momento, l’anziano, a mensa, allo spaccio, in camerata o dove gli garbasse di più……..pronunciava la fatidica frase. “BAFFI A TERRA!!!” E i Baffi, grati di tanta attenzione, mollavano tutto quello che stavano facendo……e si lanciavano in una serie di flessioni, scandite dalla numerazione effettuata ad alta voce, serie la cui fine era a completa, totale, assoluta discrezione della Vecchia che l’aveva comandata. Mai interrompere una Pompata per stanchezza……il Nonno si poteva indispettire e, per rinfrancare lo stanco Baffo, lo poteva “ristorare” con un bel secchio di acqua fresca! Ma di solito, chi comandava la Pompata, sapeva molto bene fin dove i suoi Baffi potevano arrivare….e non infieriva mai più di tanto.
Pompare ti rimaneva nel sangue anche dopo aver terminato il servizio militare….mi è capitato, infatti, durante il Rogito per l’acquisto della mia casa, di aver accennato al funzionario di banca che mi stava consegnando i soldi per il mutuo, di aver fatto il militare di leva a S. Andrea con il mitico nono scaglione 1979…..: “ Ma, anch’io ero un Pirata” Disse il funzionario: “Solo che ero del dodicesimo scaglione 1981!!!” E….supremo onore alla Vecchia e alla tradizione, davanti a mia moglie ed ad un notaio sbalordito……dicendo:”Onore allo Scaglione”, accennò ad una pompata! Accennò solo, ma intanto lo fece!!!! Potenza delle Nostre tradizioni! Bellezza di un mondo che non esiste più!!!!

CAPITOLO UNDICESIMO: dedicato ad un “rompiscatole”

Quanto voglio scrivere adesso…è dedicato a Te; non voglio fare il Tuo nome….ma certamente Tu ti riconoscerai subito!
Mi hai perseguitato per anni, condannandomi, sergentino appena fatto, a lavorare tra le stramaledette lenzuola che tanto odiavo ( anche perché, come ricorderai benissimo, me ne mancavano circa quattrocento!) e chiamandomi trenta volte al giorno nel Tuo ufficio per “cazziarmi”! Mi hai coinvolto, mio malgrado, in imprese impossibili…….dal restauro di mobili decrepiti che non ne volevano più sapere di vivere, al recupero di suppellettili che ci potevano “essere utili” in giro per Venezia (ricordi, accidenti a te, i mobili vecchi rimediati all’ Arsenale???), allo spostamento continuo dei maledetti armadietti monoposto fuori uso da una zona all’altra dell’Isola! Quanto e quante volte Ti ho mandato a………!!!!
Ma, con il Tuo carattere burbero, mi hai insegnato tante cose, Tu si che eri, anzi sei, un vero Lagunare, Tu che sei partito dalla gavetta e sei riuscito con le tue capacità, i Tuoi titoli e la Tua incredibile testardaggine (perdonami!), a comandare il Battaglione che amavi tanto! Mi hai soprattutto detto, in uno dei rari momenti in cui non eri il Capoufficio ma l’ANZIANO CHE INSEGNA al Baffo con pazienza…..che quello che avevamo noi di S. Andrea NON CE L’AVEVA NESSUNO!!…e, come al solito, avevi ragione! Ciao “Peneessa!”

CAPITOLO DODICESIMO: paura in laguna

Del giorno che quasi affondai veramente con l’EI.G.42, racconterò più avanti quando parlerò del mio grande amore: il Vaporetto. Questa volta voglio invece narrare di come rischiai di far finire a mollo, in laguna, i componenti della Scuola di Guerra Francese, i suoi bagagli e… le famiglie al seguito. Ero stato comandato, sergentino appena fatto, di caricare al pontile di S.Marco con il vecchissimo motoscafo EI.G:3, detto anche “ferro da stiro” o “sommergibile”, I BAGAGLI dei componenti la Scuola di Guerra francese che, terminata la visita di studio a Venezia, dovevano prendere il treno a S.Lucia con le rispettive famiglie ed andare a “rompere le scatole” altrove. Arrivato al pontile di Calle Vallaresso e caricati i bagagli, mi resi conto che anche le persone (una quarantina) pretendevano di essere imbarcate. I miei ordini erano ben precisi : ”Caricare SOLO i bagagli” anche perchè il “ferro da stiro” di persone ne poteva caricare ventidue al massimo. Ma sentendo “porconare” in francese, lingua che conoscevo in maniera sufficiente per rendermi conto che si parlava sgradevolmente della solita disorganizzazione e inefficienza degli Italiani, punto da un improvviso ed insensato raptus patriottico, caricai all’improvviso tutti….…armi e bagagli! Santa incoscienza…..il povero natante, vecchio e rattoppato, portava oltre alle valige il doppio del personale previsto, basso sulla linea di galleggiamento in maniera abnorme, arrancava faticosamente nel trafficatissimo Canale della Giudecca. Solo allora mi resi conto della incredibile “cappella” che avevo commesso: Maledetto orgoglio ferito, maledetti Francesi “cagoni e presuntuosi”……..MALEDETTE SOPRRATTUTTO LE ONDE SOLLEVATE DA UNA NAVE DI PASSAGGIO che stavano rischiando di tracimare a bordo e di causare l’affondamento del “TITANIC 2”!!! Avevo creato un bel casino: stavo per causare, con la mia beata incoscienza e superficialità, un “caso internazionale” :” Scuola di guerra Francese fatta affondare in laguna da un sergente pazzo!!!” L’onda, per mia fortuna passò innocua….e, piano piano, con lentezza esasperante, il pontile della stazione si avvicinò, e, alla fine, gli ospiti, mai così indesiderati, sbarcarono asciutti, indenni, allegri e sorridenti e, soprattutto assolutamente ignari del pericolo che avevano corso con la loro ultima gita in motoscafo. Lo STELLONE di S. Andrea, mi aveva ancora una volta protetto…..ma non potè, o giustamente NON volle, proteggermi dalle sacrosante urla del Comandante di Battaglione, che venuto casualmente a sapere della mia “avventura”…..prima sbiancò in volto, poi…..! lasciamo perdere per carità di Patria! Venni a sapere, in seguito, per vie traverse, che il Battaglione aveva ricevuto un “elogio” per la cortesia dimostrata da un giovane sergente, nei riguardi di “tanti personaggi”……ma la paura di quella mezz’ora di viaggio da S. Marco alla stazione……quando ci penso me la sento ancora sulla pelle!




CAPITOLO TREDICESIMO: la dura realtà

Al termine del C.A.R. ero stato tra i più sfortunati per il fatto che il permesso più consistente di cui avevo potuto usufruire, era stata un misero “trentasei” il giorno del giuramento. Arrivato sull’Isola infatti era subito inevitabilmente cominciata la lunga, interminabile “trafila” dei “Servizi Armati” e non. Come ho già spiegato in precedenza, i Sevizi di Compagnia erano gestiti in toto dal Furiere più anziano che ovviamente tutelava in maniera sfacciata gli Anziani a completo e totale discapito dei Baffi. Non che mettesse i Baffi di servizio se non era necessario……chiunque a S. Andrea, se libero da servizio, il fine settimana poteva andarsene a casa…….bastava che i servizi previsti fossero più o meno coperti! Era ovvio, però, che i servizi chi li doveva coprire erano, indovina un po’….i poveri Baffi!
Cominciai perciò con una settimana “di passione” : Lunedì mercoledì e venerdì : GUARDIA; domenica: P.A.O.; il sabato….PIANTONE!
La settimana successiva invece mi toccarono: lunedì e sabato: RAMAZZA; martedì, venerdì e la domenica….ovviamente: GUARDIA! La terza settimana era, per così dire finalmente un po’, in discesa…..anche perché toccandomi in teoria il primo sospiratissimo “quarantotto”, avrei SOLO dovuto cuccarmi la guardia del giovedì, condita da una insalata mista di servizi minori. Ma, come spesso succede, il diavolo ci mise la coda……anzi la gara di motoscafi: era infatti in programma, per il fine settimana, una gara internazionale di motoscafi d’altura nelle acque del mare di fronte alle spiagge del Lido……e, servivano dei gommoni con personale a bordo munito di radio (io, per mia sfortuna, ero radiofonista d’incarico) per tenere sgombro il tratto di mare interessato dalla manifestazione. Perciò….addio quarantotto e….buon divertimento! La gara fu per me “un completo marasma fantozziano” oltre a non riuscire a digerire l’ingiustizia patita, ben sapendo che il lunedì avrei dovuto ricominciare a montare di guardia, avendo usufruito in teoria con la “gita” che stavo effettuando, del turno del meritato riposo, mi ritrovai in balia delle onde, con il gommone e la radio in avaria e tormentato da un feroce mal di mare a causa delle onde lente e lunghe, lunghe e lente che si alternavano ritmicamente una dopo l’altra! COSI’ ERA LA VITA DA Baffo!Morire matto…..così si diceva allora!

CAPITOLO QUATTORDICESIMO: esordio…di una testa dura.

Il giorno che “Capecernia”, freschissimo Tenentino d’Accademia appena arrivato tra i Pirati, si mise in testa, come vicecomandante della C.M.N., di far marciare Vecchie e Baffi dal pontile di legno prospiciente le camerate vecchie fino al Comando di Battaglione…..incappò nella prima delle magre figure a cui si sarebbe esposto nella sua travagliata carriera al “Sile”.
Mentre i nostri fratelli Lagunari di Malcontenta erano da sempre abituati a sfilare in perfetto ordine di parata anche per andare ….a pisciare, noi Pirati del marciare avevamo solo alcune reminescenze dei lontani tempo del C.A.R.
Il marciare NON era proprio nella nostra indole……..alle adunate, quando ci andavamo, all’Alza Bandiera, a mensa, ed alle altre attività della giornata ci arrivavamo si, ma …in ordine sparso, ciascuno per i fatti suoi. Comunque, rispettando l’ordine impartito, la C.M.N. si apprestò a muovere con il povero “Capecernia” tutto impettito alla Sua testa. Alla partenza il passo era giustamente cadenzato…..dopo qualche metro…..cominciava ad essere strascicato, all’altezza della palazzina del N.O.S. tutti i baschi erano spariti, davanti al magazzino gommoni, senza che il baldo Tenentino se ne fosse reso conto, Congedanti, Vecchie, Tubi e persino Baffi……si erano silenziosamente defilati, lasciando il malcapitato Ufficiale solo con una decina di “Cancarosi” appena arrivati sull’Isola. Disgraziatamente per Lui, si stava appressando il Comandante di Battaglione ed il Nostro Eroe, avrebbe voluto, orgoglioso del suo rango, presentargli la forza della Compagnia per fargli vedere quanto fosse bravo…….ma, giratosi una buona volta per dare l’ordine, si rese finalmente conto di essere rimasto con i classici “quattro gatti” tra l’altro imbranati come solo dei Baffi Cancarosi potevano esserlo!- Fu il “ DIETROFRONT” più comico della storia di S. Andrea….seguito da un immediato e pietoso “ROMPETELERIGHE” che salvò almeno in parte la situazione! Il povero Tenentino, avvilito come un pulcino bagnato, era incappato in una delle sue storiche…..figure da cioccolatini!, solo la prima di una lunga serie che avrebbe allietato noi Pirati per un po’ di mesi almeno.

CAPITOLO QUINDICESIMO: “campo” a Ca’ Savio

L’unica volta che mi toccò andare al campo nei miei quattordici anni da Pirata, andai a piantare le tende, anzi….scusate…la tenda me la piantarono visto che di tende militari o civili che fossero non ne avevo mai montate vita mia essendo io un fanatico della vita comoda e acerrimo nemico di campeggi con annessi e connessi, nel…..lontanissimo litorale del “Cavallino” presso il Lido di Jesolo. Si trattava di un “CAMPETTO” di due giorni (non certamente un megacampo di un mese e passa magari in Sardegna come erano usi a fare quegli “STACANOVISTI” di Malcontenta) con la clausola che partendo di giovedì mattina presto…..il venerdì alle diciassette si doveva prendere tutti il mototopo….per andare a casa per il fine settimana!
Si trattava in pratica, di passare una sola notte sotto tenda, solo il tempo necessario per supportare una delle tante bellissime esercitazione anfibie che si tenevano in quegli anni.
Non ricordo se fosse autunno o primavera, rammento solo che c’era un bel caldo e ….che è stata la volta che, per errore, ho usato come saponetta per lavarmi …..…la saponetta astringente di mia sorella Bianca, ma, questo è un discorso che non c’entra nulla con quello che devo raccontare. Veniamo alle cose importanti….Di “campi” non ne avevo mai fatti, di campeggio, come accennato, non avevo esperienza alcuna. e, dunque, per non sbagliare, mi ero portato al seguito uno zainetto pieno di ogni “ben di Dio”, tra vettovaglie e bottiglie “de Quel bon!”. L’incarico che mi era stato affidato…..era quello di presidiare la cosiddetta “infermeria” da campo : avevo perciò in carico e in consegna : uno zainetto di sanità di quelli di una volta, una barella, una cassa che come da etichetta avrebbe dovuto contenere, se ricordo bene, un DEFIBRILLATORE, ma che risultava ….vuota e, per finire, un giovanissimo Sottotenente medico, che però, essendo della zona, si faceva vedere solo ….quasi mai, per non dire per nulla, comunque, pure lui, in teoria era…..della partita. Faceva anche bella mostra di se una megabottiglia da due litri di “cordiale” dell’Istituto farmaceutico militare, quello, per intenderci, che puzzava di medicina e…ti torceva le budelle in modo atroce al solo assaggiarlo. Per uno stranissimo destino, per una fortunatissima combinazione, la mia tenda, piazzata nei pressi di una duna di sabbia, sembrava totalmente isolata dal mondo civile……ma in realtà era ubicata a non più di una cinquantina di metri dal “bar ristorante Al Ponte” di cui ero cliente di vecchia data.
Soldi a disposizione in quell’epoca beata ne avevo..…da “gettare al vento”, ristorante confinante al mio sito, rifornimenti portati da casa….mancava solo la compagnia…….Detto…fatto: A circa un chilometro di distanza, era attendato il mio migliore amico, Emanuele, sergentino anche Lui e ansioso più di me di passare il tempo nel miglior modo possibile. Tra parentesi, si trattava del medesimo tizio di cui avevo parlato all’inizio, al C.A.R del Lido, quello stesso della “delegazione” in camerata. Facemmo comunella tutto il giorno, mangia, bevi, ridi, ….scherza……facemmo in pratica l’antipasto di quello che, qualche anno dopo, avremmo combinato ad una gara topografica sul Montello, ma questa è un’altra storia! Tornando a noi, si presentava impellente il problema….di cosa fare la sera! Emanuele (quante volte sentirete questo nome nei miei racconti) era responsabile, non so a che titolo, di un vecchissimo camion ACM.52, quello, per intenderci senza il servosterzo, pesantissimo da guidare, che era un tempo il cavallo di battaglia dell’Esercito Italiano.
L’ordine che il mio compare aveva ricevuto dal Tenente da cui dipendeva….era di NON guidare tale mezzo per nessun motivo. Siamo sempre stati militari ed abbiamo sempre ubbidito agli ordini impartitici…..difatti, per aggirare tale ostacolo, Emanuele NON lo guidò mica quel camion……lo fece semplicemente guidare ad un autiere che come noi aveva solo voglia di divertirsi. Fino a qui….nulla di straordinario….…nemmeno il Buon Dio, nelle leggi delle dodici tavole, Ha proibito alle Sue pecorelle di farsi una passeggiata in camion su e giù per i viali di una zona balneare! Il casino cominciò, però, quando cominciammo a caricare nel cassone del mezzo, gruppi di Lagunari della Compagnia Comando, in libera uscita, che allegri come e più di noi cominciarono a cantare e a schiamazzare a più non posso. Nulla di strano, in verità…..che male poteva mai fare un po’ di gioventù che canta……Il casino vero e proprio cominciò però, quando al camion carico di allegria……si accodò un codazzo di autovetture di ex Lagunari che ci seguì strombazzando su e giù per via “Bafile” ………Sembrava di aver vinto il “MUNDIAL”…..ma eravamo ancora nel 1981!. Non rammento come rientrammo in tenda…….so solo che alle due di notte, anzi del mattino, Emanuele ed io avemmo ancora il coraggio, essendo ormai chiuso il vicino ristorante, di sciropparci un bel po’ di strada a piedi, nel buio più profondo e con il solo ausilio di una torcia elettrica mezza scarica, per trovare un bar aperto che ci potesse vendere una bottiglia di “VODCALEMON” (ti ricordi Lele ???) per accompagnare l’ultimo salame rimastomi. Emanuele, a tutt’oggi non rammenta come riuscì a finire a dormire sotto la mia barella…ne io rammento come feci ad arrampicarmici sopra!

DUBBI DI UN “NON SCRITTORE”

Non ci siamo, non ci siamo proprio………Quanto ho scritto fino ad ora può forse andar bene, secondo me, per i contenuti espressi, ma non riesco a legare come vorrei un argomento all’altro. Probabilmente ciò che racconto non vale granchè, di sicuro NON sono certo uno scrittore….quasi quasi la pianto li….tanto a chi potrà interessare mai ciò che sto mettendo su carta con immane fatica!
Nello stesso tempo, però, mi dispiacerebbe tanto che tutto quanto c’è dentro di me, questa massa di ricordi comuni a tanti vecchi Pirati andasse perduta…..in definitiva non sto certo scrivendo con la pretesa di “vendere un prodotto”, ma sto solo cercando di tramandare qualcosa a qualcuno e niente più. Sia come sia allora e………che S. Marco e S. Andrea mi ispirino e mi aiutino!

CAPITOLO SEDICESIMO: congedo del….scaglione

Dopo dodici mesi…..finalmente il grande giorno è arrivato! Fatte le ultime visite mediche, effettuata la “schermofinita” , consegnato o riposto nello zaino valigia l’equipaggiamento che ha seguito il Lagunare nella Sua vita militare……il Congedante “passeggia” in borghese per l’Isola aspettando il tanto sospirato momento del distacco. E’ un semiDio da ammirare ed ossequiare in tutto il Suo fulgore! Cammina tronfio ed impettito su e giù per la Base, dividendo il tempo che gli resta da trascorrere al Battaglione………. tra libagioni in spaccio (offerte OVVIAMENTE dai Baffi) per la truppa ed in Circolo per coloro che l’ultimo giorno di naia, hanno ricevuto la nomina a Sergenti di complemento ( grado da sfoggiare adesso e nel giorno di un quanto mai improbabile richiamo sotto le armi! )……….saluti e “passaggio di consegne” alla vecchiaia che resterà ancora per un altro mese. Cori incessanti in cui la frase :”E’ FINITA!!” e la parola : “BORGESI!!” la fanno da padrone!!! Per un giorno il mondo è ai Suoi piedi….la libertà tanto agognata è li, ad un passo pronta per essere colta!! Ecco il Comandante di Battaglione che consegna il CONGEDO….ecco….è fatta!!! Adesso è’ veramente FINITA!!!
Il momento degli ultimi saluti è arrivato; si sale, tutti i congedanti, insieme, per l’ultima volta a bordo del mototopo e si parte cantando tutti in coro le glorie del proprio scaglione che se ne va. Ad un certo punto succede però una cosa veramente commovente :
all’improvviso…..le leggi della Vecchiaia svaniscono come per incanto, ci sono solo dei compagni e degli amici che restano o se ne vanno , e TUTTI sentono un vuoto che diventa sempre più grande nel cuore di tutti. Chi resterà tenderà ad aspettare di vivere, anche lui un giorno così…..chi è partito ha già vissuto il suo “sabato del villaggio”……ed ha anche già assaporato la struggente tristezza della sera della domenica. Da domani ……..si farà sul serio, altro che Vecchie e Baffi….la vita, quella vera, comincia solo adesso! BUONA FORTUNA “LAGUNARE”, CIAO “PIRATA!!!”

CAPITOLO DICIASETTESIMO: tempesta in bocca di porto

Spesso, scrivendo queste righe, ho raccontato della mia anzi, della nostra esperienza di vita vissuta a S. Andrea in modo scherzoso……ma non è, come ho già accennato, sempre stata una avventura goliardica anzi! Quando si lavorava….si lavorava e basta, o almeno quasi tutti cercavano di farlo. Certo……con le dovute eccezioni: mi viene in mente, per esempio, il Maresciallo dell’officina, di cui per carità di Patria non voglio fare il nome, Napoletano ovviamente…….che non faceva niente dalla mattina alla sera e che quando vedeva avvicinarsi qualche “pezzo grosso” all’officina, immergeva immancabilmente le mani nell’olio motore esausto….per far vedere al mondo quanto ci si sporcava lavorando sodo! Quando però gli impegni incalzavano tutti davano sempre il meglio di loro stessi. Io stesso, che come “capobarca” ero considerato, a torto o a ragione, come una sorta di “pericolo pubblico”, mi sono trovato in una notte di dicembre a trasportare con il mio fedele M.T.M.n°28, una cinquantina di Lagunari da S. Andrea a Punta Sabbioni. Era in atto una di quelle notti da incubo in cui lo scirocco l’acqua alta e la pioggia davano prova, in bocca di porto, di tutta la loro violenza. Era necessario traghettare detto personale in terraferma per far rinforzare con sacchetti di sabbia i fragili argini del litorale del Cavallino che, puntualmente ogni anno in autunno alla prima tempesta minacciavano di cedere. Tra il dire e il fare c’era proprio, non solo in senso letterale, il mare….per di più infuriato. Uscito con il mezzo da sbarco dalla relativa calma della canaletta…..ecco arrivare le prime onde sormontate da bianca spuma…….non so dire quanto fossero alte, però vi assicuro che se non proprio paura, facevano almeno molta impressione……quella si! L’M.T.M. rimbalzava letteralmente da un’onda all’altra e, sento ancora sulla pelle del viso, le acutissime puntura delle gocce d’acqua che mi colpivano la faccia con estrema violenza con la forza del vento unita a quella della velocità. Nonostante il buio, per l’impeto della pioggia, non essendo ancora stati inventati i tergicristalli per gli occhiali, ero stato costretto a toglierli per sperare di vedere meglio dove mi stessi dirigendo. Per fortuna la rotta da seguire era quella che facevo tutti i santi giorni, per cui orientandomi sui vari fanali situati in cima alle briccole, dopo una serie infinita di sballottamenti, arrivai in vista della spiaggetta di Punta Sabbioni. Il difficile adesso era di riuscire ad insabbiare di prua il mezzo tenendolo nello stesso tempo diritto e soprattutto fermo, calare il portellone e far sbarcare alla svelta il personale senza peraltro farsi trasportare via dalla forza combinata di vento e corrente. In quelle condizioni di maltempo una manovra così non l’avevo MAI effettuata e, c’era da considerare bene che ero l’unico responsabile della incolumità dell’equipaggio, di una cinquantina di Lagunari imbarcati e di far arrivare al più presto i soccorsi la dove erano attesi . Se solo avessi fallito avrei come minimo fatto la figura dell’incapace, e ciò non mi stava proprio bene! Per fortuna avevo bene in mente gli insegnamenti ed i consigli che Roberto, il nostro Maresciallo istruttore, ci aveva impartito con infinita pazienza quando ci aveva insegnato i ”rudimenti della navigazione”, per cui, confortato dal fatto che sapevo cosa dovevo fare e come…...lo feci e bene! Tutto andò fortunatamente come doveva, sbarcai quel plotone di poveri infreddoliti….e me ne tornai in grazia di Dio da dove ero venuto.
Quello che avevo fatto, in definitiva, non era certo stato assolutamente nulla di straordinario, la laguna prospiciente la bocca di porto non è certo l’oceano Atlantico……..però quello che dovevo fare, lo avevo fatto bene….e questo fatto mi bastava.

CAPITOLO DICIOTTESIMO: avventure con “Ballarin”

Al di la del muro di cinta della caserma, cominciava l’impero dei “Ballarin”. Contadini da sempre possedevano campi a perdita d’occhio, coltivati con le famose verdure delle “Vignole” ed un certo numero di case di loro proprietà. Noi avevamo con uno dei “Ballarin”, tutti avevano lo stesso cognome, un rapporto privilegiato, in quanto questo “figuro” entrava ed usciva dalla caserma per asportare i rifiuti alimentari scartati dalla cucina, che riutilizzava per nutrire i suoi grassissimi maiali e per effettuare per noi lo spurgo periodico di alcune fognature. Lui, i suoi maiali, il suo carretto e la cisterna che usava per tale servizio……AVEVANO TUTTI QUANTI LO STESSO ODORE! Quando entrava nel nostro bellissimo Circolo a bersi una grappa….intorno a Lui si formava il vuoto!…….Ma tutto sommato si trattava di una persona cordiale che era entrata ormai a far parte anche Lui del nostro mondo, faceva parte del “folclore dell’Isola” . Si imbestialiva solo quando i Lagunari in fuga, nella fretta di arrivare al pontile dell’A.C.T.V. delle Vignole, invece di seguire la stradina sterrata che si snodava tortuosa tra i campi amorevolmente coltivati, passavano SOPRA FRUTTA E VERDURA FACENDONE SCEMPIO. Succedeva allora che, forte di un fucilone caricato a sale e accompagnato da un cane lupo che a solo guardarlo incuteva paura, si assisteva alla tragicomica scena dei poveri “fugaioli” riaccompagnati dal nostro figuro olezzante in corpo di guardia……per la dovuta e sacrosanta “espiazione”. Con Ballarin si poteva scherzare…..con la sua verdura NO!

CAPITOLO DICIANNOVESIMO: andare in fuga!

Era senza dubbio lo sport preferito di tutti i Lagunari. Essere obbligati a fare il Servizio Militare era una faccenda che riusciva indigesta a tutti quanti noi!……era difficile rimanere segregati su un’isola quando fuori la vita esplodeva. Dormire in camerata, montare di piantone o di ramazza quando poco più in la c’era la ragazza ad aspettarti (con il dubbio atroce che si stancasse di attendere!)……no, non andava bene per nulla!!!!…e allora….ANDEMO IN FUGA!!! Da S. Andrea si scappava da tutte le parti e a tutte le ore…….tutti i giorni della settimana. Ci si nascondeva nello stretto scompartimento di prua del mototopo destinato a contenere i salvagenti; si scavalcava il muro…..verso i campi di Ballarin; ci si imbarcava, di nascosto, perfino sulla bettolina che asportava i rifiuti..….tra un sacco nero e l’altro….c’era chi nascondeva la sua barca a Puntamarina per andarsene indisturbato quando più gli aggradava……tutto andava bene pur di poter tagliare la corda! Il metodo più comune poi per poter dormire a casa era quello di farsi levare dal Furiere compiacente dalla LISTA DEI PRESENTI IN BASE che doveva essere redatta tutti i pomeriggi per il controllo serale (quando qualche “pignolo” decideva di farlo!). Se ti andava male in fureria, si cercava allora di circuire il Caporale di Giornata che, se adeguatamente ricompensato, ti metteva presente anche se non c’eri. I controlli erano quello che erano, tanto prima o poi….tutti rientravano. L’unica cosa che poteva fregare il Fugaiolo notturno era la nebbia della mattina, nebbia che lo costringeva a rientrare il giorno dopo con lo stesso mototopo degli “Stecconi” che naturalmente gli facevano…….la festa a suon di giorni di consegna. Quante volte il pomeriggio ho sentito pronunciare queste frasi tra due lagunari con la più grande naturalezza : “ Cossa ti fa ‘sta sera? “ “ Mi…vado in fuga, casso!” “ Ma se i ta punio geri!!” “ E chi se ne ciava…..vedemo chi che se stufa prima , ‘ori de ficarme dentro ……o mi de andar in fuga!!!”
Naturalmente non era solo la truppa a tagliare la corda……da sergente, oltre che con la bettolina della nettezza urbana, sono scappato con il primo gommone che si recava al Lido, con il motoscafo della banca che ci portava gli stipendi, con la barca del fruttivendolo, all’interno di quella frigorifera della CocaCola,e, per finire, a bordo di una barca di una coppia di turisti tedeschi che per errore erano attraccati al nostro pontile!

CAPITOLO VENTESIMO: primo impatto con “Malcontenta”

Le “Truppe Anfibie Serenissima”, oltre al Mio “SILE” e al “Comando Truppe Anfibie” comprendeva anche il “Primo Battaglione Lagunari Serenissima” situato in terraferma a Malcontenta. Tanto noi Pirati eravamo anticonformisti, quanto loro erano disciplinati e formali. Le loro adunate erano pennellate di perfezione, marciavano inquadrati in modo impeccabile, mimetiche sempre in ordine, BASCO SEMPRE BEN CALZATO….tutto insomma al contrario di noi. Loro facevano pure i “Campi d’arma”….quelli seri…..stavano fuori anche un mese…..tutto organizzato, tutto previsto Bravi……BRAVISSIMI! A noi abituati ad un ben diverso stile di vita…..il loro modo di essere appariva strano e, per certi versi, incomprensibile, come ovviamente per loro sentire parlare di Noi Pirati voleva dire parlare di una banda di pazzi sbragati!
Eravamo diversi in tutto. Mi capitò un giorno, poco dopo essermi raffermato, di dover accompagnare a Malcontenta un gruppo di Bafferia che doveva effettuare la prova di nuoto. Malcontenta, miracolo dei miracoli, aveva oltre alle camerate nuove di pallino, camerette anzi, composte da sole sei brande, sei armadi a muro, due bagni, una doccia e uno sgabuzzino, anche una piscina coperta appena inaugurata. Delle camerette nuove e bellissime ce ne importava fino ad un certo punto, visto e considerato che noi del Sile in un modo o nell’altro dormivamo spessissimo a casa……..però la piscina, cazzo! Era proprio una sciccheria. Ma quello che mi colpì era la mostruosa organizzazione militare che permeava il tutto. Vivere li dentro per me sarebbe stato un incubo che mi avrebbe portato rapidissimamente….al congedo! Tutto era totalmente diverso da come ero stato abituato sull’Isola. Ad un certo punto, curiosando qua e la, mi trovai a pochi metri di distanza dal Comandante del “Primo Battaglione” che stava urlando come un pazzo, e cosa allucinante, insultando un povero Tenente, fermo immobile…….impietrito sull’ATTENTI, reo di non so quale inimmaginabile e terribile colpa. Improvvisamente il furibondo Ufficiale si volse verso di me che alla chetichella passavo allibito li accanto….e mi chiese sbraitando : “E Lei chi cazzo è? E’ forse un nuovo assegnato al mio Reparto????” Al che qualcosa dovevo pur rispondere…..ma l’unica cosa che riuscii a proferire fu testualmente : “ NO, NO….PER CARITA’ DI DIO!!!!” Ma lui tutto preso dal sacro furore….per fortuna non mi calcolava più riprendendo subito la tirata verso quel tenente colpevole di……….BOH ! Per rimettere piede a Malcontenta un ‘altra volta aspettai per ben cinque anni! …All’epoca NON faceva proprio per me!

CAPITOLO VENTUNESIMO: su e giù per il Montello….

Facciamo ora un piccolo balzo in avanti nel tempo……gli anni sono passati da quando Baffo Cancaroso sono sbarcato sull’Isola, sono arrivati i gradi da Sergente e…anche quelli da Sergente Maggiore. Ormai verso la fine degli anni ottanta tante cose sono cambiate: si gira con il “MAO” rosso attaccato alla manica, si fanno (qualche volta) le adunate…..la legge della Vecchia è ormai morta e sepolta. Ma il nostro spirito…NON è cero cambiato!
Un bel giorno di autunno venne organizzata, per noi in Servizio Permanente, una gara topografica sul Montello con partenza alle sette del mattino. La gara era a coppie, così finì come era ovvio, che facessi coppia con il mio compare Emanuele. Già al Lido, dove abitavo, alle sei di mattina erano partiti i primi “giri de ombre”….tanto per allenarsi e partire gasati e in pressione al punto giusto. Io, povero raffermato, conoscevo la topografia come la lingua dei Bantù…..in compenso avevo, e ho ancora adesso, un fiuto incredibile per trovare, anche bendato, qualsiasi traccia di baccaro, trattoria o osteria presente nella zona. Emanuele invece, meno intuitivo di me per certi argomenti, qualche rudimento di topografia, bene o male, lo aveva assimilato. Era una coppia perfetta…..c’era chi cercava la retta via….(quella dei punti topografici da raggiungere) e chi, alla ricerca di interessi più goderecci, faceva di tutto per fargliela perdere!
Primo e secondo punto di controllo raggiunti, esercizi eseguiti (da lui ma non certo da me che pensavo a tutt’altro), quando alla fine spinti dalla fame e dalla sete…..:” Franco…pensaci tu!. Mi ricordo come se fosse successo adesso…..fiutai l’aria…puntai il dito e dissi :” DI LA SI MANGIA! ” Difatti, dietro ad una altura, a non più di cinquanta metri di distanza da noi, era situata la più appetitosa osteria che avessi mai visto! Mangiammo e bevemmo come non mai, con la soddisfazione di vedere sotto di noi il sentiero sterrato dove i nostri colleghi sudati ed impolverati, correvano a più non posso per la fregola di arrivare primi. Beati gli ultimi….aveva detto un tempo Qualcuno…...e aveva ragione da vendere!!! Non contenti, pagato il conto, finimmo invitati a casa di alcuni contadini della zona, che ci vollero a tutti i costi far assaggiare “ vin e salado ”. Questo almeno è quello che sostiene il mio compare quando rievochiamo quella giornata…..perché io, stranamente, certi particolari della giornata gli ho dimenticati …..sarà stato senza dubbio qualche vuoto di memoria dovuto ad un eccessivo accumulo di ombre! Deve essere certamente come l’amnesia che perseguita ancora adesso Emanuele che non riesce ancora a capire come in quella gara possa mai essersi classificato al secondo posto! Lui la coppa che quel giorno lontano ha vinto, ogni tanto se la guarda ancora…..come fosse una cosa non sua……più ci pensa e meno si ricorda. E pensare che c’e qualcuno che dice : “ In vino veritas!” Proverbi del cavolo!

CAPITOLO VENTIDUESIMO: la nostra isola

Come Sandokan re dei pirati malesi aveva la sua Monpracem, come il Corsaro nero si rifugiava alla Tortuga….i Pirati del mitico Sile (cime suona dolce questo nome!) avevano la loro roccaforte nell’isola di S. Andrea, meglio conosciuta come isola delle Vignole. Non so cosa abbia rappresentato per altre persone che con me hanno condiviso le mie esperienze la forzata presenza sulla nostra Isola……….Per qualcuno può essere stata una prigione, per qualcun altro l’avventura e l’esperienza di undici mesi, per qualcun altro forse un incubo…….per me, invece, oltre ad un po’ di tutto ciò……la mia permanenza a S. Andrea è stato un qualche cosa che mi è entrato dentro, un qualche cosa che mi ha dato tanto….e che a parte la mia giovinezza…..non si è presa nulla. Ancora adesso quando rivedo la registrazione, fatta da me, dell’ultima “Alzabandiera” in “cavana”, quando rivedo le immagini da me registrate di tutta la Base…..mi viene un groppo alla gola. La morte del Mio Battaglione, che gli prenda un ACCIDENTE a quella “ CANOA ” che l’ ha voluta!, ha fatto morire dentro di me un qualcosa che non potrà mai risorgere. Non mi risulta che in Italia esista un’altra caserma situata in mezzo all’acqua, priva di mezzi di comunicazione con l’esterno che non siano i propri, lontana dalla civiltà giacchè gli unici abitanti dell’ isola (pochi) oltre ai Lagunari, sono alcuni contadini, che isolati dal mondo pure loro, di civile, mi scuseranno…..hanno ben poco!
Il posto più vicino dotato di mezzi pubblici è il Lido, che d’inverno ha la stessa vitalità di …un camposanto. Ed è proprio grazie a questo forzato isolamento che è nata la leggenda dei “ Pirati del Sile “….i veri, soli, autentici Lagunari.



CAPITOLO VENTITREESIMO: lagunari….e armadietti

Uno degli incarichi più rognosi che mi sono stati appioppati in tanti anni….è stato senza dubbio quello del “ Casermaggio “. Avere a che fare con lenzuola, coperte ed arredi vari proprio non faceva per me, oltre a tutto responsabile di tale servizio era l’Aiutante Maggiore…..quello stesso personaggio cui, in precedenza ho dedicato alcune righe. Avere a che fare con tale persona, in gambissima per tantissimi versi…..ma da prendere con le molle come carattere ed inoltre svolgere un lavoro malvolentieri, mi resero la vita più dura del normale per un paio di anni.
Comunque un bel giorno, mi trovavo alla Caserma Piave di Mestre, per ritirare due camionate di armadietti metallici nuovi. Dovevano in tutto essere una ottantina. Con me, Sergente anziano, c’erano sei Lagunari di manovalanza ed i due autisti, schifati e sbragati come al solito. Accanto a noi pascolavano una decina di “ Canoe “ (tutti i non lagunari venivano da noi in senso dispregiativo definiti con tale appellativo) che la tiravano in lungo in modo allucinante per caricare su di un camion ……la bellezza di trenta armadietti esattamente uguali a quelli che dovevamo caricare noi :” Paisà…io autista sugno e non posso fare fatica!” diceva uno; un altro, in un idioma incomprensibile faceva capire che il lavoro uccideva chi lo praticava; l’ anziano del gruppo sbraitava orgoglioso del suo dialetto africano : “ Nun me scassate ‘a mmmmenchia!”…e avanti così. Nel vedere tanto schifo….saltò su improvvisamente il mio Caporale, congedante, de Cavarsere, con una faccia tra lo schifato e il furibondo…..: “ Bafi…..femo veder a ‘sti teroni del casso cossa se boni de far i Lagunari!!!”. Detto…Fatto!!! I miei ragazzi balzarono in piedi e con una organizzazione mostruosa (pareva che in vita loro avessero fatto solo quello), con i metodo di una catena di montaggio, nel giro di dieci minuti, con una furia da invasati, avevano caricato tutti gli armadietti nostri ( ogni armadietto caricato gridavano : “ S. Marco ! “) e….anche quelli delle allibite Canoe, solo che quei trenta armadietti di quel reparto di sfigati……..poi li avevano scaricati di nuovo. Mai portare via il lavoro a qualcuno!!! Ecco chi erano i vecchi Lagunari…..ecco a cosa servivano gli Anziani….., già perché quel Caporale, Congedante “de Cavarsare”….era quello che in questa occasione, per dare l’esempio ai Baffi……aveva lavorato più di tutti!

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO: “ Bafferia “….pestata

Quando qualche Baffo incosciente provava a rialzare la testa in un modo che alla Vecchia non comodava….ahi…ahi…ahi….erano DOLORI. Le “ punizioni “ inflitte al Baffo recalcitrante, variavano a seconda della colpa commessa e secondo lo sghiribizzo di chi le infliggeva. Tali punizioni erano quanto di più vario e fantasioso si potesse immaginare : si andava dall’ innocente “ SECIO “ di acqua pura lanciato con tutto il contenitore in testa del malcapitato dal tetto dello spacco o della mensa…….a quelli, molto più micidiali “ conditi “, fatti durante la notte al Baffo addormentato. Il “ condimento “ era di una varietà estrema.: andava dall’aggiunta all’acqua di detersivi misti, all’aggiunta, che non mancava mai, di pisciate miste di alcuni volonterosi componenti della Vecchia…….a quello, peggiore di tutti, di acqua mista a olio di motore del mototopo e, ovviamente a pisciate miste dei topisti.
C’era veramente poco da scherzare, tanto gli anziani dicevano sempre al povero condannato .” E’ tutto fatto….in amicizia, senza rancore! Non stare a preoccuparti! “. Il Baffo che aveva sgarrato, riceveva i suddetti “regali“…….i suoi compagni di scaglione …si dovevano alzare e asciugare e ripulire il tutto…..meditate Baffi…MEDITATE!
Le punizioni per i peccati più gravi venivano preparate con cura perché di difficile esecuzione. Mentre il malcapitato dormiva nel pieno della notte, i Nonni bagnavano ben bene il pavimento della camerata dei Baffi, alzavano con infinita dolcezza la branda completa di Baffo, inserivano sotto i piedini della branda stessa quattro saponette naia ben bagnate a loro volta e spingevano “ il convoglio “ fino alle scale, alzavano piano piano il tutto……..e con uno scatto improvviso scaraventavano branda materasso …e Baffo in canaletta !!!
Quando poi i Baffi da plasmare erano tanti….si ricorreva alla famigerata “ ADUNATA BAFFI “.
Le Adunate Baffi tenute da Congedanti e Vecchie, potevano essere chiamate, nei casi di particolare benevolenza, in camerata…..in condizione di grave nervosismo di qualche Nonno si tenevano sopra la cavana. L’abbigliamento di rigore era: anfibi di cuoio, calzati sopra i mutandoni di lana, cinturone e elmetto calzato……la Vecchia esibiva ostentatamente i baschi con lo splendore delle loro galassie di stelle. Se si era in camerata, le prestazioni richieste alla Bafferia erano sempre quelle…..il “cucu“, la poesiola beneaugurate per i nonni da recitare in ginocchi e così via; ma se il tutto si svolgeva in cavana….erano dolori, soprattutto in inverno! Si cominciava con il tirar su la Bandiera nera dei pirati e si poteva andare da un numero imprecisato di Pompate…..alla temutissima ricerca e conta degli anelli della catena.
C’era infatti, al di fuori della caserma, a S. Andrea in certi punti mancava anche il muro di cinta, verso Punta Marina, una vecchissima catena di ancora semisepolta dal terriccio…….lunga alcune decine di metri. Solo i Congedanti conoscevano il numero esatto degli anelli…….non solo perché il numero esatto veniva tramandato da Vecchia a Vecchia, me perché ogni Vecchia , da Baffo, era stato, questo numero, a determinarlo di persona! Questo era il bello ed il succo di tutto….oggi a me…domani a te! E il povero Baffo, anche con neve o ghiaccio, si doveva rassegnare ad uscire, armarsi di qualche cosa per scavare e…..contare, SENZA ERRORI, per non dover ricominciare daccapo. QUESTA ERA LA DURA LEGGE DELL VECCHIA. Dura e crudele fin che si vuole ma…..che non ha mai fatto male a nessuno, perchè alla fine, tutti quanti sapevamo che dopo l’inferno dei primi mesi da vittime si sarebbe passati “ carnefici “ con tutte le agevolazioni del caso.



CAPITOLO VENTICINQUESIMO: domenica d’estate

Quando mi capitava di montare d’ispezione o di vaporetto alla domenica nel periodo estivo…..non era certo una festa ma, tutto sommato non era certo una cosa sgradevole…anzi. L’Isola era quasi deserta….tra licenze, libera uscita e….fughe in atto non c’era quasi nessuno. Cosa c’era di meglio da fare se non cercare di rilassarsi e….mettersi comodi. L’abbigliamento ideale era maglietta verde e pantaloncini corti naia, per il relax c’era solo l’imbarazzo della scelta: mattinata a prendere il sole sulla prua del mototopo ormeggiato al pontile; aperitivo al circolo verso le undici; allestimento di una grigliatina sul barbecue; pranzo in compagnia dei pochi colleghi presenti; pennichella sul prato al fresco…..stereo, tv, bar sempre aperto, cenetta con amiche e amici fatti arrivare dal Lido con il topo di sevizio….e passeggiata notturna su e giù per il pontile di legno a pesca di seppie o di cefali.
Chi mai nell’Esercito Italiano poteva permettersi tutto ciò? Non certamente gli impeccabili LAGUNARI di Malcontenta!!! Oltre a ciò bisognava considerare la incredibile bellezza del posto in cui ci trovavamo. Siamo nella laguna di Venezia, ragazzi, uno dei posti più belli del mondo! Di giorno si vedeva e si sentiva l’esplosione della natura….verde dappertutto, concerti di cicale da far invidia alla Sicilia, una canaletta piena di pesci dispostissimi a farsi pescare ed arrostire. Di notte, si assisteva in un silenzio irreale, allo sciabordio delle onde che si infrangevano sulle rive, e al canto degli uccelli notturni. Come non si poteva amare un posto così bello! In quei momenti, ci si dimenticava delle tensioni accumulate durante la settimana andando su e giù con i mezzi da sbarco, o della noia di contare lenzuola, coperte e materassi, o infine non si pensava più almeno, per l’arco di un giorno, alla responsabilità di mandare avanti la contabilità di centinaia di milioni di un magazzino. Ci si dimenticava di tutto…si era in pace con se stessi.

IN RICORDO DI MATTEO……….

Sono, fino a qui, tutti bei ricordi………allegria, dispiaceri, litigate difficoltà, imprevisti spiacevoli anche….ma sempre un insieme di situazioni vissute con il pensiero e la certezza di vivere in un mondo, un “piccolo mondo antico”, in cui la parola GUERRA era solo sinonimo di “affari di un mondo da noi molto lontano”. Si, certamente eravamo militari……si, eravamo più volte stati impiegati in emergenze nazionali come alluvioni e terremoti…….ma mai e poi mai avevamo solo potuto pensare di poter essere mobilitati per qualche cosa di diverso della nostra ormai creduta immutabile routine. Oggi, mentre mi accingo a tentar di scrivere questi miei ricordi, mi trovo a constatare una volta di più che tutto è ormai cambiato dai “ vecchi tempi ”……I vecchi Lagunari, figli delle nostre terre venete….non esistono più, sostituiti da una marea di “ terroni mercenari “. Sono aggettivi questi intesi, per carità, in senso buono e non cero dispregiativo: terroni, perché la leva regionale non c’è più e i cosiddetti Lagunari di oggi provengono tutti dal profondo sud d’Italia……..mercenari solo perché sono così diversi da noi vecchi militari di leva….proprio perché ben pagati …….. e non poveri costritti come noi. Terroni, e lo ripeto assolutamente in tono non dispregiativo, perché di Venezia e del Suo territorio….a Loro cosa può interessare! Che cosa ne possono mai sapere, questi novelli Rambo della nostra vita e delle nostre tradizioni?! E’ tutto cambiato, perché della nostra innocenza e della nostra goliardia nulla è rimasto e, la parola GUERRA e la parola MORTE sono entrate ormai in un mondo in cui, nei vecchi tempi, erano considerati vocaboli remoti e quasi sconosciuti che non ci appartenevano.
Certo….oggi è morto combattendo uno di noi…….Lagunare in una terra barbara e lontana, morto per qualche cosa in cui credeva…….morto, MORTO…..M O R T O!!!!! Ma vi rendete conto….un Lagunare morto in combattimento……in terra straniera, e fatalità nella fatalità, tra tutti coloro che sono partiti con Te…Tu solo sei, anzi eri figlio della nostra terra veneta….è come se fosse stato scritto da qualche parte, che il primo e spero l’unico Lagunare caduto in guerra avrebbe dovuto essere uno di noi come per voler chiudere con il suggello del sangue un’epoca che ora NON esibiste veramente più! CIAO…… MATTEO!

CAPITOLO VENTISEIESIMO: esordio di….un “ammiraglio “

Il giorno che “Capecernia”, diventato ormai Comandante a tutti gli effetti della C.M.N., si mise in testa di fare il comandante supremo di tutti i mezzi navali del vecchio “Sile”, senza ovviamente averne i titoli, passò alla storia come uno dei più esilaranti per noi……ed uno dei più infausti per Lui. A bordo di tutti i nostri mezzi il comandante indiscusso era solo ed unicamente il “ capobarca “ qualunque fosse i suo grado. Era Lui, infatti responsabile a pieno titolo della conduzione del mezzo a Lui affidato e della sicurezza di chi vi era trasportato. Un pomeriggio, ecco avvicinarsi il nostro eroe tutto impettito come al solito, alla pilotina del Maresciallo Roberto, quello che aveva insegnato a navigare a noi piloti: La pilotina era pronta alla partenza, il suo Comandante al timone pronto ad impartire gli ordini necessari, quando “Capecernia”, sentendosi investito del suo altissimo grado di Ufficiale superiore a tutto e a tutti, saltò d’improvviso a bordo profferendo la disgraziatissima frase (entrata poi nella leggenda): “ Maresciallo…..salpiamo e metta i motori PARI AVANTI MEZZA!! “ Naturalmente il Sottufficiale Comandante della pilotina si guardò bene dall’eseguire “ tanto ordine “….non solo perché era stato illegittimamente scavalcato in comando dal primo venuto, anzi dall’ultimo arrivato….ma per il semplice motivo che la pilotina in questione, da quando era nata, di motori ne aveva sempre avuto uno e uno solo, per cui il disgraziatissimo comando “ PARI AVANTI MEZZA,” che di sicuro il nostro eroe aveva sentito in qualche film di guerra…..era completamente al di fuori di ogni realtà. Ovviamente e non solo per una questione di correttezza, il Maresciallo Roberto NON mancò di far notare il tutto al povero Ufficiale, naturalmente a voce ben alta, non tanto per essere sicuro che i Tenentino intendesse bene………ma per essere sicuro CHE SENTISSERO BENE tutti i presenti che già si stavano sbellicando dalle risa. Povero “Capecernia”, ancora una volta era stato costretto per la sua superbia ed arroganza…….ad inghiottire l’ennesimo boccone amaro, l’ultimo della serie….fino a quel giorno, perché il lupo perde il pelo ….ma non il vizio.

CAPITOLO VENTISETTESIMO: la “fregola”….di Capodanno

Verso la fine di novembre una strana atmosfera cominciava piano piano a permeare tutti noi : si avvicinavano le tanto sospirate feste di fine anno e, con loro, la tanto agognata licenza “ministeriale”. Usufruire di tale pacchia era diritto di tutti noi Lagunari…dal più anziano al Baffetto appena arrivato, ma se i giorni di licenza erano indistintamente cinque per tutti……era la data di tale licenza che cambiava …..e questo era il vero ed unico problema! Diritto acquisito ed inalienabile della Vecchia era quello di passare a casa, in licenza, l’ultimo dell’anno e…. Natale sempre a casa ma in libera uscita; diritto, quando era possibile, degli Anziani rimanenti era quello di passare a casa Natale, in licenza, e magari l’ultimo dell’anno a divertirsi in libera uscita fino all’una per poi rientrare in caserma con il topo, appositamente comandato, ( dura come al solito la vita del Topista !! ) alle due del mattino; DOVERE dei Baffi era quello di passare l’ultimo dell’anno di guardia, Natale di P.A.O., i giorni infrasettimanali a far …piantoni e, dopo……solo dopo, si sarebbe potuto anche pensare di andare a casa per l’Epifania, festa di ripiego che francamente NON interessava a nessuno. Questa era la tradizione, DIVENTATA ORMAI…LEGGE. Ai poveri Baffi restava solo la lotta per evitare almeno l’onta suprema, lo sfregio degli sfregi….evitare cioè di montare di servizio la notte dell’ultimo dell’anno. Essere costretti a ciò, era considerato il massimo della sfiga…..tutti cercavano di evitarlo come se si fosse trattato di vita o di morte…….Si provava veramente di tutto: Intercessioni chieste all’amico Congedante, a cui tutti i giorni si preparava con amore la branda, perché mettesse per lui una buona parola in fureria; visite al capo Furiere con le scuse più strane, con la speranza di riuscire a sbirciare per un attimo la lista dei servizi natalizi…..tutto andava bene per barattare con le promesse più costose da mantenere, l’impunità da quei sevizi maledetti!
Non era certo facile salvarsi, c’erano la guardia ed il P.A.O. per gli sfigati tra gli sfigati……ma c’era anche il piantone, il centralinista, il cuciniere, il Topista e tanti altri ancora, ce n’era veramente per tutti i gusti, anzi…..per tutti i Baffi…e, alle volte anche qualcuno degli Anziani poteva rimetterci le penne!
Alla fine però, come tutte le cose di questo mondo, le feste passavano e si ritornava al tran tran quotidiano. La guardia del trentuno di dicembre è stata per me una esperienza, che nonostante tutto, ricordo se non con piacere……nemmeno come una cosa così terribile. Avendo già compiuto ventisette anni…….di feste di Capodanno ne avevo già fatte tante, di tutte le salse per cui il fatto essere di guardia la notte di S. Silvestro, non mi aveva sconvolto più di tanto. Oltre a tutto avevo avuto la fortuna di passare in licenza il Natale pur essendo ancora Baffo….per cui andava bene così. Fu l’anno della “BALLA” totale di tutta la guardia…….dal Sottufficiale d’ispezione (per l’occasione di leva anche lui), all’ultimo Baffo. L’unico sobrio….ero io, non perché non mi piacesse bere in compagnia, ma perché semplicemente non mi andava di farlo….mi sembrava, scusatemi, una cosa stupida e fuori luogo. Quella notte dunque, restai astemio tra gli avvinazzati. Il Comando, bontà sua, aveva organizzato per i poveracci di servizio un qualcosa che avrebbe dovuto ricordare un “cenone” : C’era, se ricordo bene il pasticcio …e panettone e spumante non mancavano certo! Aggiungendo allo spumante l’orrido Catarrato di Sicilia in bottigliette da un quarto e le ombre foreste portate da casa…..la situazione, nel volgere di poche ore, era diventata tale….che S .Andrea poteva essere paragonata ad una osteria di Via Garibaldi a Venezia: Canti intonati a piena voce, frasi sconnesse profferite a monosillabi…..il Capoposto, un certo Scarsella di cognome, che aveva la balla triste e piangeva a dirotto invocando la sua Maria che di recente lo aveva abbandonato. Verso le quattro del mattino, tutti dormivano il sonno pesante degli avvinazzati………chiunque e non solo i moderni terroristi di oggi armati di tutto punto, avrebbe potuto, anche il più scalcinato dei ladri…..far piazza pulita di mezzi, armi, munizioni e…..Lagunari (sempre a trovare qualcuno che li avesse voluti). Meno male che all’epoca non c’erano ancora le DONNE SOLDATO……… altrimenti le conseguenze avrebbero potuto essere anche di un altro tipo. In pratica era come se sull’Isola fossi rimasto da solo, visto che anche l’Ufficiale di picchetto, che abitava nella casa confinante con la caserma, ad una certa ora se n’era andato pure lui. Vi assicuro che la situazione era irreale……sonno non ne avevo….attesi in pratica camminando su e giù che qualcuno si decidesse a….darmi il cambio. Pia illusione….l’alcool rende il sonno duro e duraturo a chi eccede nel suo uso….per cui……aspetta Baffo…ASPETTA!!!

CAPITOLO VENTOTTESIMO: giuramento al Lido

Prima della maledetta ultima assassina ristrutturazione da noi Lagunari, ogni santo mese arrivavano alla caserma “Pepe” le nuove reclute……i Baffissimi del nuovo scaglione. Ne conseguiva che ogni santo mese, naturalmente di sabato….bisognava sorbirsi il relativo giuramento. Si trattava di una “rottura” incredibbbile…..tutte queste cerimonie erano fatte a ciclostile tutte esattamente uguali alla precedente, mai qualche cosa di nuovo……variava solo la presenza della Bandiera che era alternativamente la Nostra o Quella di Malcontenta. Il plotone dei giurandi in quanto a marciare, visto che avevano si e no una ventina di giorni di caserma, era una cosa pietosa…..i Nostri del Sile, costretti una volta tanto a subire questa menata…..eseguivano la bisogna in maniera schifata ma dignitosa, senza infamia e senza lode. Malcontenta, come al solito, pitturava ogni passo, disegnava ogni spostamento, batteva il passo in maniera impeccabile……erano la perfezione. Noi, come al solito, a vedere tanta perfezione, dicevamo che tanto marciare era l’unica cosa che QUELLI SAPEVANO FARE…..però, a lungo andare un po’ si ciccava.
Ci pensò allora, un bel giorno, uno di quei grandiosi Sottotenenti di Complemento che venivano a fare da noi il Servizio di Prima Nomina. Si trattava, se mi ricordo bene, di un certo S.Ten di nome Tocchi, o giù di li…….. triestino di “pura razza Piave”, che si mise in testa di far fare un figurone al Nostro “Sile” dove, si sa, NON aveva mai cero brillato troppo. Una settimana prima del rituale giuramento prelevò il personale adatto………...tutti Congedanti o Vecchie che per l’occasione, udite UDITE….….avevano rinunciato volontariamente al diritto acquisito del quarantotto a casa. Nei preparativi ci misero l’anima…..l’impegno maniacale per riuscire dove nessun’altro di noi si era mai cimentato. Erano tutti mossi da un grande orgoglio e da un indomabile spirito di Corpo. Il ”tocco” finale il S.Ten. Tocchi lo diede al suo plotone il fatidico giorno della cerimonia distribuendo a tutti indistintamente, astemi compresi, un tangibile incentivo a base di “Tocai de quel bon!” in giusta dose. Fu un picchetto memorabile…..i vecchi Lagunari sfilavano quasi danzando….belli….. BELLISSIMI a vedersi…………BASCO PERFETTAMENTE CALZATO…….formalmente PERFETTI e gasati in un modo incredibile. “PIRATI, PIRATI, PIRATI” !!!!!…….il grido di guerra rimbombava tra gli storici portici del “Palazzo dei Soldati”….i passi tuonavano cadenzati, gli sguardi fieri e cattivi facevano andare in visibilio le tante ragazze presenti……: “ Come siete Voi???? “Urlava il Comandante del Plotone…….. “ Duri e incazzati”!!!! tuonavano in coro all’unisono Congedanti e Vecchie……”S. MARCO, S. MARCO, S. MARCO”!!!
Fu uno spettacolo indimenticabile…..gli occhi della gente erano tutti per Noi…Lo Stellone di S. Andrea ci aveva protetti ancora una volta ed il vecchio “Sile” aveva dimostrato ancora una volta che era in grado di fare tutto quello che gli venisse richiesto, anche le cose dove non aveva certo mai brillato prima d’ora. Certo fu solo un episodio la follia di un momento……….perché già dal lunedì successivo il giuramento, sull’Isola i baschi erano già spariti di nuovo .e di marciare non se ne sentiva proprio più parlare…….però, intanto….GIUSTIZIA ERA STATA FATTA UNA VOLTA PER TUTTE!!!

CAPITOLO VENTINOVESIMO: vacanze in Sardegna

Dopo mesi d’insistenze sempre più pressanti…..finalmente ci eravamo riusciti…..partivamo per partecipare al corso per “Padroni d’imbarcazioni a motore” che si teneva in Sardegna presso la Scuola Sottufficiali della Marina Militare. Si trattava del primo passo per poter diventare piloti di mezzi da sbarco. Eravamo i primi sergenti non di scuola….ma luridi raffermati ad ottenere tanto onore…io, e naturalmente: è Lui, o non è Lui…….ma certo che è lui: Emanuele, ovviamente e chi se no!!!
Partimmo e già il viaggio fu una mezza avventura. Appena passato il ponte del Littorio, scusate il lapsus, mi correggo anche se a malincuore…….ponte della Libertà, intonai un canto liberatorio: per tre mesi, più la successiva e conseguente licenza di fine corso…….NON avrei più visto ne contato le maledette lenzuola ne sarei stato tormentato da un Aiutante Maggiore perennemente incazzato……che mi convocava centomila volte al giorno nel Suo ufficio per cazziarmi. Ciao Leo…..!sono libero!!! Eravamo sergenti, l’ultima ruota del carro, ma avevamo avuto la facoltà dal nostro Comando di alloggiare fuori della caserma della Marina in un Residens e di percepire per intero la ricca indennità di missione che aggiunta allo stipendio faceva di noi….dei ricconi. Tutto ciò voleva dire che a parte la frequenza obbligatoria dei corsi tutte le mattine, sabato e festivi esclusi……eravamo totalmente e assolutamente liberi di fare quel cavolo che volevamo!!! Niente vita da caserma, la partecipazione ad un corso interessantissimo la mattina fino al venerdì e poi….VITA DA TURISTI, in estate, con la mia macchina nuova fiammante, nel punto più bello della Sardegna, senza pensieri ….e con la tasca piena…Buon divertimento Pirati!!!

ALLEGATO AL CAPITOLO VENTINOVESIMO: divise e divise…

Nell’ambito dell’Esercito, in estate e all’interno delle caserme, all’epoca si poteva girare in maglietta verde, pantaloni della mimetica ed anfibi di cuoio. Così difatti si presentò il buon Salvatore, il primo giorno di corso……. sergente pure Lui ma…”CANOA” dalla nascita facendo parte di non ricordo di quale sfigato reparto di terroni. Lui poveretto, era nel giusto ma a noi un simile abbigliamento non sfagiolava proprio. Sull’Isola infatti, era stata lanciata la moda di far girare d’estate Ufficiali e Sottufficiali vestiti così: camicia a maniche corte della Drop, Mao metallico al taschino, gradi della mimetica sulle spalline, pantaloni della mimetica, anfibi di tela……UNA FIGATA! Peccato però che fosse una divisa di pura fantasia. Naturalmente, noi incoscienti, tale bardatura la avevamo adottata subito, indossandola anche al corso alla Maddalena……aggiungendo di nostro gusto personale il cinturone ed il cordone giallo e rosso! Quante parole…….quanti rimproveri si pigliò qualcuno quel giorno……Come si incavolò il Tenente di Vascello a vedere tale scempio…. MA NON CON NOI CHE ERAVAMO COSI’ ELEGANTI…..MA CON IL POVERO SALVATORE CANOA, CHE SI ERA PRESENTATO CON UNA DIVISA COSI’ …DIMESSA E POVERA!!! S. Andrea e S. Marco avevano colpito ancora!

CONSIDERAZIONI………..

In questo racconto, ricco di “goliardate” e di allegria….mi rendo conto che per chi non ha conosciuto noi Pirati, sembra che S. Andrea fosse il paese del Bengodi, dove regnava l’anarchia…..e nessuno faceva nulla, tranne che i cavoli suoi, dalla mattina alla sera.
La verità, per fortuna era ben diversa…..si, eravamo un reparto atipico, situato “in culo al mondo”, eravamo fatti a modo nostro, non saremmo cero stati un modello di formalità……..ma tutto quanto sto narrando, così anticonvenzionale, è frutto di fatti accaduti in occasioni particolari, nel periodo della vecchia “naia” quando venivano fuori in qualche modo la nostra giovinezza e la nostra voglia di vivere.
Bisogna innanzitutto considerare le condizioni difficilissime in cui si viveva nell’Isola……il Nostro era un Battaglione giovane, creato dal niente e…… sul niente: le camerate per la truppa erano gravemente inadeguate alle nostre necessità, con finestre rotte e riscaldamento che funzionava quando e come voleva; i servizi igienici erano talmente vecchi ed usurati e fatiscenti che, anche con tutto l’impegno e la buona volontà di chi doveva gestirli, funzionavano come potevano. Ricordo che otto sergenti nuovi assegnati, arrivati tutti in gruppo nei primissimi anni ottanta, erano stati alloggiati in una palazzina riattata alla meglio e dormivano in brande a castello su TRE piani, in modo tale che lo sfigato che riposava all’ultimo piano, toccava quasi con la testa il soffitto. Il lavoro era pesante per tutti, dovendo far funzionare in tutto e per tutto un Battaglione operativo………era dura per i Capobarca ed i relativi equipaggi……su e giù per la laguna a tutte le ore a trasportare di tutto, dalle autobotti cariche di gasolio o peggio benzina, al personale in addestramento o in libera uscita …..con il caldo, il freddo, la bora e la pioggia….su e giù, sempre su e giu! Non vanno poi dimenticate le continue e stressanti esercitazioni del Plotone Esploratori Anfibi, le cui imprese in Italia, ed anche all’estero, davano lustro a tutta la Specialità…..pochi ma tosti erano le “creature” del Ten. Busetto e del Serg. Magg. Mantovani!!! Un ricordo va anche ai nostri cosiddetti “topi d’ufficio” dell’Amministrazione, che oltre a tenere i conti….e fare gli stipendi del “Sile”, si occupavano anche di quelli del Comando del Lido. Lavoro, dunque ce n’era, eccome!!! E veniva fatto….tutto. Ecco allora, nelle difficoltà e nelle avversità di tutti i giorni, venire fuori il nostro carattere ribelle e anticonvenzionale…..però avrete senza dubbio capito il perché. A qualche cosa, in definitiva, bisognava pure aggrapparsi per sopravvivere….e noi ci eravamo avvinghiati sempre più alle Nostre tradizioni e al nostro modo di vivere…..ALLA FACCIA DI TUTTI!!!

CAPITOLO TRENTESIMO: la M.T.P. n°27

Ogni giorno, quando entro in caserma a Malcontenta, ti guardo per un momento e ti vedo ridotta ormai a monumento posata di sghimbescio sull’erba……tu che eri solita solcare le acque della laguna, con la tua andatura tutta sbilenca……sei li, posata a fare bella vista, tu che bella non sei certo mai stata, e mi fa male vederti così…..nessuno ti vernicia più le fiancate, nessuno ti piloterà mai più su e giù per la canaletta ………sei li che marcisci lentamente e nessuno ti degna più di uno sguardo. Nessuno delle nuove generazioni ti ha mai vista navigare….solo io ho in mente l’immagine di te, vecchia carretta della laguna che rimbalzavi su e giù sulle onde…..eri permalosa come un purosangue anche se avevi tutte le caratteristiche di un piccolo brutto asino dispettoso. Quante volte con il motore (Aifo 520-SH) surriscaldato ti piantavi sul più bello, e non ne volevi più sapere di ripartire…..eri piccola, tozza, esasperatamente lenta, più eri carica più navigavi tutta storta e piegata su di un fianco……eri la parente povera dell’ M.T.M……..MA SEI STATA LA MIA PRIMA BARCA!…..e, sotto, sotto ero orgoglioso di te. Quanta pittura ho consumato per cercare di renderti più be….., scusate, meno brutta! Quanti salvagenti nuovi ho fregato alle altre barche per decorarti al meglio….per me sei stata importante e….MIA ed il vederti così ridotta mi fa male…..avrei preferito per te una fine diversa….ma NON dove sei ora….testimone di un passato che non ritorna!

CAPITOLO TRENTUNESIMO: gli innominabili

Non è vero….ma ci credo !….era veramente una faccenda incredibile, non era possibile ma….succedeva….sempre. Erano in due, bravissimi colleghi, tra l’altro, sempre gentili e disponibili all’amicizia ed alla collaborazione….ma, leggenda o no che fosse……portavano pegola in una maniera tremenda. Lo facevano in maniera diversa uno dall’altro….l’uno ti puntava all’improvviso e ti diceva: “Dove stai andando ? “ “ In montagna “ Rispondeva il malcapitato…..” Davvero ? Stai attento che potresti NON arrivare”……E…prima di arrivare a destinazione….ti si rompeva improvvisamente la macchina ! Oppure: ”State andando a sparare ?….ma l’ M.T.P…..l’avete controllata bene ?”….E appena fuori dalla bocca di porto la barca si rifiutava di proseguire!……...L’altro personaggio, invece, si limitava a guardarti con il suo sorrisetto…..e….apriti cielo, ti capitava di tutto. Naturalmente queste sono tutte cavolate…però succedeva davvero! Quando capitò che il destino volle accoppiarli a montare insieme di servizio armato ( uno di Picchetto, l’altro d’Ispezione), una tromba d’aria scoperchiò parte del tetto del Comando……..capitava che in una giornata di sole il loro arrivo portasse immediatamente pioggia battente….che si dileguava quando loro si allontanavano nuovamente. Uno dei due…era l’INNOMINATO…..il solo pronunciare il suo nome era fonte di guai certi…..Quando invece incontravi l’altro….era un furtivo, rapidissimo fiorire di SCONGIURI E TOCCATINE DI PALLE ! Per fortuna loro non soffrivano per nulla di tale situazione….anzi ne godevano e facevano di tutto per alimentare la loro leggenda. C’era veramente da aver paura…..alla guida di uno dei due, la M.T.P n° 26 .affondò in laguna, mentre un sorrisetto, indirizzatomi a tradimento dall’altro….mi costò, in un solo giorno….perdita delle chiavi di casa, foratura della gomma della mia macchina e arrivo di una “ cartella pazza “delle tasse. (dovetti pagare di nuovo, con tutte le maggiorazioni e gli interessi di mora….il bollo di una macchina demolita otto anni prima). Quando poi , il giorno dopo lo incontrai di nuovo….mi disse queste testuali parole :” Per caso, ieri hai avuto dei problemi a casa ?”….non dico altro se non come ho detto all’inizio……non è vero ma…CI CREDO !

CAPITOLO…( anche il capitolo va in pausa )..: c’è la pausa spaccio

La “ pausa spaccio” era una delle abitudini più sacre presso di noi Pirati. Considerando che alle dieci del mattino, oltre ad i consueti generi a pagamento dello spaccio truppa, veniva fornito dalla cucina gratuitamente un panino imbottito….nessuno voleva mancare all’appuntamento. Le macchine da scrivere degli uffici tacevano, l’officina si fermava, la fureria chiudeva….il topista bloccava la partenza del mototopo……tutto per una buona mezz’ora si bloccava. Era diventato un rito irrinunciabile fermarsi per quei pochi minuti…..nessuno vi voleva fare a meno ! Il famoso panino imbottito, di imbottito aveva ben poco…..una, una, UNA fettina trasparente di mortadella “naia” o di prosciutto cotto o tre, dico tre fettine di salame ungherese…..ma essendo gratis e con la fame che “batteva” andava bene lo stesso. Certo che chi lavorava in cucina preparava qualche cosa di ben diverso per se e soprattutto per i Nonni più influenti….ma tant’è….bisognava accontentarsi. Il panino che la cucina gentilmente offriva, mi faceva spesso venire in mente un suo simile acquistato, in gita scolastica a Venezia, in un bar ai piedi del ponte dell’Accademia. Avevo allora speso una cifra folle per uno snak all’apparenza grande e superimbottito…..che però aveva in realtà un po’ di prosciutto cotto, (spalla….) solo ai lati, e al centro una fettina così trasparente che non so come avessero fatto a tagliarla. In compenso, per dare un po’ di gusto al tutto….l’interno del panino era abbondantemente cosparso di sale e pepe. La fregatura era stata che per riuscir a buttare giù quel “coso” che in bocca si attaccava da tutte le parti, ero stato costretto a comprare mezzo litro di minerale pagata come fosse oro…….Da noi, per fortuna il panino non lo si pagava per cui a “caval donato…”.Le chiavi dello spaccio….erano merce preziosa e ricercata….venivano tenute dallo Spaccista, che a volte, le prestava ai Congedanti che la sera, fuori tempo massimo, amavano guardarsi gli spogliarelli in tv, cercando un po’ di relax…per rompere la monotonia del tempo che non passava mai.

CAPITOLO TRENTADUESIMO: incursione in montagna

Emanuele ad io, pur appartenendo allo stesso Reparto, eravamo di recente stati separati essendo stato trasferito Lui nel vicino distaccamento di Ca’Vio. Non ci vedevamo spesso come una volta….ma era forse meglio così visto che insieme provocavamo solo guai….come quella volta della gita con pernottamento a S. Vito di Cadore. Qualcuno di noi, aveva avuto….in prestito, non so come, (a noi del “Sile” succedevano a volte le cose più strane…..) un albergo a S. Vito di Cadore e aveva organizzato una megagita con pernotto per Ufficiali e Sottufficiali con famiglie e fidanzate. Così, in un fine settimana di ottobre, ci ritrovammo, Comandante di Battaglione in testa, a passeggiare in tutto relax per le strade della vicina Cortina. Il tempo era stupendo, la compagnia eccellente e, come succedeva solo da noi…..ci si sentiva veramente una famiglia. In albergo, ovviamente, dovevamo fare tutto noi……c’era chi cucinava, chi faceva il cameriere….il Comandante, ovviamente per dare l’esempio, lo avevamo messo a lavare i piatti…..Emanuele ed io eravamo stati messi da qualche pazzo incosciente, a fare i baristi. La sera era previsto fare i classici quattro salti in famiglia. Di ballo, purtroppo, e quella poveraccia di mia moglie lo sa benissimo……non ci ho mai capito nulla, non riesco proprio a collegare la musica al movimento… quando la musica finisce io continuo a ballare ugualmente…...ballare è una cosa completamente al di fuori del mio essere ! Oltre a tutto in questa gita ero venuto con la Cristina, amica di vecchissima data….che però mi attraeva sessualmente come poteva farlo…..la Gioconda di Leonardo. Per cui scelsi, senza rimpianto alcuno, di dedicarmi a servire aperitivi digestivi e caffè. Non era cero un lavoro complicato…….versavo quanto mi chiedevano, incassavo i soldi…….e finiva li. I guai cominciarono quando cominciai a “pasticciare” con i liquori, inventandomi presuntuosamente, io che ero totalmente digiuno di qualsiasi esperienza di barman, dei quanto mai improbabili beveroni, buoni….anche ma, micidiali ! Ovviamente non potevo servirli senza prima collaudarli e soprattutto farli provare al mio baldo compare, in modo che potesse “darmi un disinteressato parere tecnico”. Per cui, nel giro di una mezz’ora, senza assolutamente averlo ne voluto ne previsto, perdemmo sia io che lui il senso della realtà, coinvolgendo nei nostri assaggi anche le mogli, quarantenni, di due nostri colleghi……Emanuele, trascurando la povera Lucia, a lui fidanzata e sua futura moglie, si lanciò in una serie ininterrotta di danze con una “dama nera” figlia di non ricordo quale collega. Le due signore quarantenni intanto, persone di solito tranquille e posate, si aggiravano con aria languida per il salone……con il vestito da sera abbondantemente scollacciato per il gran caldo che sentivano. Per fortuna tra i fumi dell’alcool….si aggirava ancora un po’ di buon senso e non si andò oltre agli sguardi languidi. Io però il mio dovere lo avevo fatto……avevo servito da bere a tutti, avevo cercato di offrire qualche cosa di diverso….anche se a metà serata avevo perso i conti e non avevo fatto più pagare nessuno. Me ne ero proprio dimenticato o forse nell’euforia di essere tutti insieme non mi era sembrato il caso di toccare i portafogli di tanti bravi colleghi ! Quante parole ci prendemmo Emanuele ed io……..io il lunedì al rientro in caserma dal Gestore dello spaccio che ci aveva rimesso i soldi dei liquori….e giustamente…li pretendeva ora da me; Emanuele, invece….la sera stessa, a festa finita, da una incazzatissima Lucia che……ma questi sono fatti loro………. ed io non voglio continuare ! La Lucia, comunque quella serata se la ricorda ancora, mentre per il mio compare…..ricordare tante cose non è affatto facile visto che dopo un certo orario di quella sera…asserisce di rivedere solo un gran velo nero davanti ai suoi occhi ….nero come la dama con cui ha ballato a lei avvinghiato per un bel po’ !

CAPITOLO TRENTATREESIMO: smontare di servizio di domenica……

Quando finalmente arrivava la mattina……il sevizio di guardia finalmente volgeva al termine e si aspettava con grande ansia il “cambio”. Tutti eravamo presi dalla frenesia di andarcene e di approfittare di quello che rimaneva di fruibile del fine settimana. Ci si guardava intorno con aria nervosa aspettando il fatidico annuncio lanciato dagli altoparlanti:“Guardia e P.A.O, montanti e smontanti…..al corpo di guardia”! Annuncio che preludeva alla sospirata fine del tormento. Tanta era la fretta di andarsene……tanto poca quella di dare il maledetto cambio! Poi, finalmente, quando gli sfigati di turno erano arrivati…..si poteva cominciare con la noiosissima trafila del passaggio di consegne……della conta e del ritiro delle munizioni (quando ce le davano !), della consegna delle armi in armeria, alla insopportabile ed inutile manfrina della cerimonia del cambio vera e propria…(Attenti, Riposo…… S. Marco con relativo sfilamento) che nessuno aveva mai voglia di eseguire. Non finiva mai….Per fortuna spesso capitava un Ufficiale di Picchetto, che avendo più fretta di noi di andarsene, faceva passare con la maggior rapidità possibile armi e bagagli da un Lagunare e l’altro…….e tutto finiva in un paio di minuti al massimo ! Marcetta, sfilamento e quant’altro…che lo facessero quelli di Malcontenta ! Terminata la manfrina….tutti a cambiarsi nel minor tempo possibile (c’era chi si cambiava sul topo o non si cambiava affatto) e….tutti finalmente a casa.
Come ho detto in precedenza, ( a parte alcuni colleghi “matti guerra”) la stessa frenesia pervadeva anche molti di noi…..che montavamo di Ufficiale di Picchetto. La settimana era stata pesante e si era conclusa con il botto finale del servizio armato festivo……all’epoca non esistevano come oggi recuperi del festivo e riposo psicofisico…….per cui tutto quello che ci rimaneva, dopo una settimana di lavoro e con la prospettiva di iniziarne un’altra, se ci capitava il maledetto e temutissimo “sabato su domenica”…….era una risicata mezza giornata di relax. Per ciò la fretta di andarsene c’era…..eccccome !
Per noi Sottufficiali il cambio era ancora più problematico, infatti oltre a dover presiedere a tutta La menata…..dovevamo attendere con ansia che il collega montante arrivasse dal Lido con il topo delle otto….pregando che non ci fosse nebbia, che il collega si fosse alzato puntuale, che si cambiasse in fretta….e così via. Per risparmiare minuti preziosi avevamo trovato un sistema infallibile…..IL CAMBIO DEL SOTTUFFICIALE (con più o meno regolare passaggio di consegne) AL PONTILE DEL COMANDO TRUPPE !…..tutto si faceva in un attimo….la pistola con i colpi passava di mano…..” Ciao, come stai ?, tutto bene ?” “Si , ciao !“….E tutto era sistemato ! Uno se ne andava, ansioso di divertirsi….l’altro saliva sul topo ansioso di schiaffarsi in circolo a vedere la tv. E così il servizio armato festivo…era sistemato e per tre mesi non se ne parlava più !

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: il vaporetto

Poiché sono nato a Venezia a trecento metri dal campanile ed essendo vissuto per oltre trent’ anni al Lido, ho fin da piccolo sempre avuto a che fare con i mezzi di trasporto della laguna. Fin da piccolo conoscevo a memoria tutti i mezzi dell’A.C.T.V., le loro trasformazioni e ammodernamenti….ed i nuovi arrivi. Essendo poi mio padre dirigente di tale Azienda, avevo avuto occasione e possibilità da ragazzino, di mettermi al timone delle motonavi, di avere accesso nei loro locali macchine e di visitare il cantiere navale dove tutti i mezzi navali venivano ricoverati e manutenzionati. Erano le classiche cose che di solito appassionano tanto gli adolescenti. La navigazione un laguna mi era rimasta nel cuore anche da adulto e il sogno di poter un giorno pilotare sul serio uno di quei grossi mezzi….covava sempre sotto la cenere. Quando seppi, un bel giorno, che il vaporetto di recente assegnato a S. Andrea per le esigenze del Battaglione, sarebbe stato affidato a me….non stavo più nella pelle dall’entusiasmo. Ero l’unico dei piloti ad amarlo…..lo pulivo in continuazione, lo facevo pitturare e lucidare e lo coccolavo come e forse più della mia prima automobile !…..ma era un amore NON corrisposto…..si trattava infatti di un mezzo bizzoso e traditore, pericoloso in manovra perché troppo pesante, dotato di reazioni al timone imprevedibili e di un abbrivio estremamente lungo da fermare, un mezzo insomma da dare in mano a personale esperto e navigato e non certo a dei novellini inesperti come noi. Quanti guai abbiamo combinato al suo timone ! Quanti guai ben più grossi abbiamo evitato per il classico capello! Quanto ci ha sempre protetto quel Santo Crocifisso che avevo appeso in cabina di comando. Mi ricordo di quando impavido, al suo comando, con i bagnanti della linea spiaggia a bordo, sfrecciavo a tutta forza davanti all’isola di S. Giorgio, sterzando di colpo a dritta per farlo inclinare in modo tale da costringere i passeggeri a reggersi da tutte le parti per evitare di cadere……o quando per riuscire ad attraccare al pontile di S. Andrea, sfioravo millimetricamente le colonne in cemento della cavana…….rischiando un micidiale impatto, o quando ancora calcolando male vento e corrente ho mancato di pochissimo l’impatto con la bettolina inconsapevolmente ferma al suo ormeggio da cui non si era mai mossa in vita sua! Quante volte avvinghiato al timone, alla vista di un ostacolo la cui distanza avevo mal calcolato, imploravo come il Sig. Murdoc alla guida del Titanic in vista dell’iceberg:”Vira, maledetto VIRA !!!).
A me, per fortuna è andata sempre bene……perché a parte quella volta che sono quasi affondato (ma questa è un’altra storia che racconterò più avanti…)..DANNI NON NE HO MAI FATTO, nonostante la mia fama di pericolo pubblico, al contrario di Gennaro, che con lo stesso mezzo finì sopra un pontile, o di Massimo che calcolando male l’abbrivio distrusse, un bel giorno, il pontile dei carburanti, o di Salvatore che entrò in evidente crisi di nervi nel vano tentativo di approdare al pontile della motonave al Lido…..facendo scappare in fretta e furia, tra l’iralità dei turisti assiepati li vicino a guardare, il motoscafo della linea due che dal nostro mezzo stava per essere speronato. Per non parlare di un Comandante di Battaglione che preso dalla fregola di pilotare il vaporetto, per far vedere quanto era bravo…… a S. Elena prese in pieno, di prua, una briccola facendo cadere a terra il personale imbarcato per l’urto, e capottare dalle risate tutti quanti, dopo esseri resi conto che si era ancora tutti interi. Era un mezzo carogna e… tutti indistintamente con lui abbiamo rischiato moltissimo…..
Il vaporetto in nostra dotazione era per certi versi il nostro mezzo più usato……veniva impiegato un po’ per tute le esigenze, dalla libera uscita della truppa, al trasporto di picchetti armati di rappresentanza qua e la per la laguna, al trasporto di Vecchie e Baffi per le visite mediche che si svolgevano a Venezia……alla famigerata e per noi piloti odiatissima “ linea spiaggia “ che consisteva nello scarozzare in estate le famiglie di Ufficiali e Sottufficiali da S: Basilio al Lido e viceversa: bisognava ritirare i biglietti, vigilare che i ragazzini non si sporgessero pericolosamente fuori bordo, allontanare dalla cabina di pilotaggio i rompiscatole che vi volevano entrare per curiosare…e tra l’altro, anche….pilotare! Era una grandissima scocciatura quotidiana da prendere come le medicine….DUE volte al di. Tra i miei ricordi mi viene in mente quello di un sabato di maggio. Aspettando al pontile di S. Zaccaria il ritorno a bordo di un picchetto che si era recato in Piazza S. Marco per un giuramento solenne, stavo tanto per ingannare l’attesa, attaccando un megapanino con la mortadella….alla faccia dei “fessi” che crepavano di caldo a fare i burattini, quando mi capitò a bordo, all’improvviso, in visita a tanto famoso battello…..non so quale rompiscatole di generale che evidentemente non aveva niente altro di meglio da fare. Non sapendo cosa dire a Tanto personaggio……gli offrii a malincuore metà del mio panino. Il guaio non fu questo mio atto inconsulto….ma piuttosto quello che il panino il generale lo accettò ben volentieri e accompagnato pure da un paio di “OMBRE“ di rosso, di quello buono, che a bordo del mio battello NON mancava mai e lo fece sparire quasi tutto….alla faccia mia !
Quanta strada abbiamo percorso insieme su e giù per la laguna…..lui era capriccioso, pericoloso e traditore, ma il suo motore era affidabile come quello di una Ferrari, non si rompeva mai. Il suo equipaggio era costituito da due sottufficiali, il pilota Capobarca e il Motorista navale, inoltre da uno o due Prodieri, cioè militari di truppa addetti agli ormeggi ed alle pulizie del natante.
Quando eravamo ormeggiati in attesa del ritorno del personale di ritorno da qualche impegno, erano i Prodieri che rimanevano a bordo di guardia mentre i due sottufficiali andavano a farsi un giretto tanto da ingannare l’attesa. Una sera, ormeggiato il battello a S. Elena, al ritorno da una breve passeggiata……trovai un gruppo di persone sconosciute che volevano salire a bordo a tutti i costi: erano, ma pensa un po’, i giocatori della squadra di calcio del Palermo che, terminata la partita con il Venezia (quello vero di una volta e non quell’ABORTO che esiste adesso con le maglie inquinate dall’arancione) avendo noleggiato un mezzo dell’A.C.T.V., e avendolo scambiato con il mio…..pretendevano di essere accompagnati alla stazione! Quante altre volte ho dovuto convincere MANDRIE di tedeschi o di giapponesi che volevano salire a bordo……che il mio non era il mezzo per …Murano, Burano, Torcello. In conclusione volevo dire che essere comandati di servizio con il vaporetto, era come avrete capito, una faccenda molto impegnativa, che però dava anche dei vantaggi tangibili……difatti, d’accordo con il nostro Comandante di Compagnia di allora, il mitico “Pippo”, alternavamo tre interminabili giornate di servizio continuativo a bordo……con tre bellissimi giorni di permesso a casa…….Negli anni difficili in cui lo straordinario ed i recuperi compensativi erano solo fantascienza……questo sistema per noi Capobarca era molto ben accetto.
Non so ancora come il Comando potesse allora giustificare questi ricorrenti giorni di permesso…..ma per noi questo non era certamente un problema……e poi eravamo a S. Andrea…e da noi anche l’impossibile poteva diventare realtà.

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: ritorno a casa….

Non voglio raccontare tutto quello che combinammo durante le “ferie“ in Sardegna….sono vicende bellissime e ricordi indimenticabili che però non fanno parte di ciò che mi sono prefisso di raccontare. Dico solo che, ridendo e scherzando, Emanuele ed io risultammo primi a pari merito al corso, facendo così fare, oltre che a noi, una bellissima figura al Nostro Battaglione, e lasciando un ottimo ricordo dei Lagunari alla Scuola che avevamo frequentato.
Ritornati sull’Isola, cominciai a fare scuola guida sui mezzi che un giorno avrei dovuto pilotare su e giù per la laguna….cominciai con il mototopo, per poi passare alla M.T.P. Dopo i primi giretti vicino a casa, fui mandato per fare esperienza, con Antonio, mio collega, romano de Roma, soprannominato: “Er Tufo”…….capobarca già da parecchio tempo. Antonio aveva in quel periodo la fissa del culturismo…..si abbuffava di uova in quantità industriali e si ingolfava con una dieta, della serie fai da te……che a suo dire gli avrebbe dovuto garantire un fisico perfetto. La giornata in questione era grigia e soprattutto ventosa, non faceva particolarmente freddo ma l’umidità la faceva da padrona. Io osservavo come il pilota si destreggiava tra boe luminose, briccole navi e barche di passaggio, dosando la velocità del nostro mezzo (scarsa) con la manetta dell’acceleratore. Tutto per me era ricco di fascino….la barca, la laguna agitata con le onde basse ma increspate di spuma, il traffico di motonavi e vaporetti. Arrivammo a destinazione senza problemi, caricammo quello che c’era da caricare….e partimmo per il rientro in Base. Il guaio fu però, che il buon Antonio, oltre a caricare l’imbarcazione dei materiali previsti, aveva caricato il suo stomaco di una quantità imprecisate di uova crude, perché secondo la pazzesca dieta da lui inventata…..era ora di fare il pieno di proteine; oltre a tutto io, per paura dei primi freddi, viaggiavo sempre accompagnato dalla solita bottiglia di prosecco……alla quale il mio collega si attacco allegramente, in maniera del tutto sconsiderata, per far scendere più rapidamente, diceva lui, l’intruglio aviario che aveva appena terminato di ingurgitare. Saranno state le uova in eccesso, sarà stato il vino o un colpo di freddo, fatto sta che il poveraccio, nel bel mezzo della laguna mi andò in crisi : nausea, vomito incontrollabile seguito da crisi di nervi e….svenimento. Cosa fare? ero lontano da S. Andrea circa mezz’ora di navigazione…..l’unica cosa era quella di stendere il malcapitato “Tufo” al caldo, vicino al grosso motore, mettersi al timone e cercare di rientrare il prima possibile in Base dove aspettava il medico. Anche se non lo avevo mai fatto da solo, pilotare con estrema prudenza l’’M.T.P. non era particolarmente complicato….il difficile era cercare di tenere buono il mio collega che, ogni tanto svegliandosi dal torpore……voleva scendere dalla barca convinto di essere arrivato a Roma Termini. Quando finalmente arrivammo, scaricato il malcapitato tra le amorevoli braccia del dottore, mi sentii contento…….avevo dimostrato a me stresso che quello che avevo studiato era servito a qualche cosa: avevo riportato la barca a casa ed ero riuscito pure a farla approdare in modo corretto. Cavolate….senza dubbio, ma a me andava bene così. Chi ben comincia……..




CAPITOLO TRENTASEIESIMO: scomodità….

Lavorare sull’Isola era molto gratificante per molti aspetti….per altri, invece, appartenere al club dei Pirati era di una scomodità pazzesca. Non erano certamente tutte rose e fiori….Insieme a Flavio, mio collega da anni, abitavamo ad Istrana nel trevigiano….e tutte le sante mattine da li……dovevamo arrivare a S. Andrea. Sveglia alle cinque di mattina, macchina fino a Treviso, dieci minuti a piedi fino in stazione, venticinque minuti di treno, attesa a S. Lucia e, per concludere, trenta minuti di mototopo. Tutto bene….se il treno arrivava in orario….altrimenti, visto che il topo non aspettava i ritardatari……si doveva andare da S. Lucia alle Fondamente Nuove a passo di corsa (il record era di diciannove minuti esatti), imbarcarsi sul vaporetto A.C.T.V., correre attraverso i campi di Ballarin alle Vignole, con il fango se pioveva e facendo attenzione a non farsi rincorrere dai cani dei contadini, e per finire scavalcare il cancello della caserma perennemente guasto. Nelle gelide mattinate invernali, quando il freddo la faceva da padrone, attendevamo il topo, che arrivava tutto incrostato di candida brina gelata, dietro la stazione e per scaldarci un po’ ci posizionavamo proprio sopra una grigia posta sul pavimento che ogni dieci secondi per altri dieci….sputava getti di aria calda maleodorante si ma almeno calda!
Al ritorno, invece, oltre a tutta la trafila in senso inverso, bisognava pregare che i Comandante di Battaglione di allora, menefreghista dei problemi altrui come solo certi Pellestrinotti come lui sapevano esserlo, non fosse troppo in ritardo sull’orario della partenza del mototopo altrimenti si rischiava di perdere il treno….e di arrivare a casa, invece che alle sette…..alle otto e mezzo di sera. Questo si doveva fare, tutti i santi giorni…….per me, lo stress da viaggio, unito a quello da lavoro a causa della gestione del magazzino ricambi, era ben gravoso, cominciava la mattina alle cinque e considerando i ritardi del treno e del Comandante, le nebbie e tutto il resto…..la vita era ben dura. Quando poi arrivava il servizio di Picchetto di sabato su domenica……essendo ancora di la da venire i tanto agognati recuperi compensativi, stavamo, Flavio ed io …quindici giorni senza poterci permettere una notte di sonno decente e ininterrotta. Questo per far capire a qualcuno che aveva la brutta abitudine di criticare sempre e dovunque “quelli di S. Andrea” ed il loro modo di vivere, quanto era duro per ceri versi vivere sull’Isola.
A lungo andare la mancanza di sonno si faceva sentire in modo imperioso……noi poveri pendolari avevamo preso l’abitudine di dormire ovunque….mezz’ora qui, dieci minuti la. Appena sedutici in treno, attaccavamo l’abbonamento ferroviario con una mollettina al bavero della giacca per non essere disturbati dal bigliettaio…..e via col sonno ! Sul mototopo, invece, appoggiavamo il basco sul vetro a mo’ di cuscino…..e via con il secondo pisolino. Poi, alla pausa di mezzogiorno, finivo di pranzare il prima possibile….per poter godere dei divanoni del circolo il più a lungo possibile. Quante parole mi sono preso in queste occasioni…..non perché in circolo fosse proibito dormire……ma perché, giustamente, non era ammissibile che una persona che desiderava prendere un caffè in santa pace…….dovesse, oltre alla bevanda SORBIRSI anche i rumori incontrollati di un tizio che se la dormiva russando come un trombone rotto.



CAPITOLO TRENTASETTESIMO: notte…..

Da noi Pirati, fino a circa metà degli anni ottanta…..non esisteva l’obbligo, la notte, dopo il Silenzio di ritirarsi in camerata. Anzi, come al solito, l’obbligo c’era ma nessuno lo rispettava. L’estate, sia per il caldo opprimente sia per il tormento delle zanzare, molti di noi preferivano, quando ne sentivano il desiderio, di passare qualche ora in compagnia, o da soli…..a pescare seppie sul pontile di legno davanti alle camerate. Che si pescasse o che si guardasse pescare….era sempre un passatempo impagabile. A parte la soddisfazione di riuscire a tirare su delle seppie una più bella e più grande dell’altra, ci si godeva la compagnia ed il paesaggio. A quell’ora di notte ci si dimenticava dei gradi e svanivano le differenze di Scaglione e si parlava a ruota libera del più e del meno. Il paesaggio che ci circondava era di una struggente bellezza, silenzio assoluto rotto solo dallo sciabordio delle onde e dal canto degli uccelli notturni. Non sono mai stato amante del mare…..anzi lo ho sempre odiato; non sopporto la sabbia che si infila dappertutto, mi fanno schifo granchi e alghe, odio nuotare, mi innervosiscono tutti i giochi cretini che si fanno durante i bagni. Quando mi reco in Villaggio Turistico in Calabria……il mare, che li è bellissimo, lo lascio li dov’è per chi lo vuole……la mia residenza è la piscina….con il suo profumo di cloro che a me non dispiace per nulla, lontana da sabbia, cicche di sigarette e di tutte le schifezze che la sabbia per sua natura nasconde, e soprattutto adiacente al bar……Volete mettere la soddisfazione di potersi godere un prosecchino ogni tanto mentre passeggio beato nell’acqua asettica della piscina lontano da meduse, ricci di mare, cocci di bottiglie, alghe granchi sassi appuntiti ed eventuale spazzatura galleggiante. Oltre al resto io sono un patito della montagna….basta un montarozzo per emozionarmi, boschi, cime e valli sono il mio paradiso, d’estate e d’inverno. La montagna ha una sua poesia….come la nostra laguna di Venezia…..che devo riconoscere che in bellezza ha pochi rivali. La laguna, a differenza del mare, è bella sempre e ovunque, la mattina , al tramonto , la notte, con il sole o con la nebbia, con il vento o con la pioggia….è sempre lei, ma cambia in continuazione e nei quattordici anni che sono rimasto a S. Andrea ho potuto godermela in tutti i suoi aspetti ed in tutte le sue trasformazioni.

CAPITOLO TRENTOTTESIMO. S. Silvestro sull’Isola….ovvero l’innominato colpisce ancora !

Di tutti i Comandanti di Battaglione che abbiamo avuto, una delle persone più disponibili e di animo gentile è stato di sicuro il Ten.Col Colella. Si trattava di una persona seria e competente….e buona di animo di cui nessuno mai si lamentava. Amava nel tempo libero venire a pescare in canaletta con la moglie, perché era pazzo per il pesce azzurro che mangiava appena scottato sulla graticola. A Lui toccò l’onore, trasformatosi poi in onere, di, cedendo a ripetute, continue, assillanti richieste di due sergenti…….permettere di organizzare a S. Andrea un veglione di fine d’anno per Ufficiali, Sottufficiali e rispettive famiglie.
I due testardissimi elementi che per un mese almeno avevano reso la vita impossibile a quel pover’uomo…..finchè alla fine pur di levarseli di torno aveva acconsentito, ovviamente eravamo Emanuele ed io. Solo adesso penso alla faccia tosta che aveva dovuto esibire il Nostro Comandante con il Capoccia del Lido……..visto che tra l’altro ogni anno alla caserma Pepe si svolgeva già un veglione per tutti…..Lido, Malcontenta e S. Andrea….Pensate a quanto si era dovuto impuntare, senza dubbio, per dire al suo superiore che Lui, a casa sua, la festa se la faceva lui con i suoi Lagunari ! Noi a queste cose, all’epoca non ci avevamo mica pensato…… Comunque, arrivato dopo tanto romper l’anima l’OK, cominciammo ad organizzare il tutto dividendoci i compiti. C’era chi doveva occuparsi del lato amministrativo, chi doveva fare la spesa, chi si occupava dell’acquisto delle rose per le Signore….e così via. Tutti avevano molto da fare….perché per la notte fatidica erano attesi una settantina di ospiti. Il mio compito era quello di occuparmi della cucina….Emanuele invece che all’epoca non sapeva nemmeno cucinarsi un uovo sodo (adesso mentre sto scrivendo invece il Baffo Maledetto, fatalità della vita, si trova in Irak…..a cucinare e bene per circa 2000 anime !), si occupava di luci e musiche….Mancava chi si potesse occupare di intrattenimento e li facemmo il nostro solo ed unico errore affidando tale incarico ad un esperto, che occupandosi per passione di istruire e divertire i giovani nell’ambito dello Scautismo., era sena dubbio la persona più indicata……..peccato che si trattasse però dell’Innominato, l’INNOMINATO ed INNOMINABILE in persona. Sui suoi presunti poteri ovviamente ci ridevamo sopra, tutte stupidaggini da bambini…..Resta il fatto che lavorando….gli scappò detto : “ Avete pensato alla nebbia ? “ Li per li nessuno ci fece caso ANCHE perché in caso di nebbia avremmo avuto a disposizione un mezzo civile dotato di Radar……. ….MA CI VENNE IN MENTE BEN BENE DOPO !
Per cucinare un cenone mostruoso per settanta persone, da solo, ci misi due giorni ed una notte e terminai……il momento stesso in cui stavano arrivando i primi ospiti. Si trattava della prima volta che cucinavo per più di dieci persone e non avevo certo la sveltezza e l’esperienza che possiedo adesso…..comunque tutto andò per il meglio e…alla fine ebbi i complimenti da parte di tutti. All’arrivo degli ospiti faceva un gran freddo ed il cielo era limpidissimo e si vedevano brillare le stelle. Il Comandante su vedeva che era orgoglioso di fare da padrone di casa, i saloni del nostro stupendo circolo brillavano di luci e colori ed i colpo d’occhio era notevole ! Andò tutto veramente bene….al di la delle nostre più rosee speranze e aspettative, dalla musica ai balli, ai giochi ed agli intrattenimenti….fu veramente un successo, ci stavamo divertendo a casa nostra.Tutto bene dunque….fino alle due di mattina, quando la festa doveva terminare: nel giro di dieci minuti, intanto, mentre gli ospiti si accingevano ad uscire, calò la più fitta ed umida perfida e permanente nebbia che si fosse mai vista. Chiamammo subito la ditta che si occupava dei traghetto per noi in questi casi …….e , difatti, nel giro di pochi minuti ecco un motoscafo, dotato di Radar imbarcare i primi ospiti….quelli che si dovevano recare a Punta Sabbioni. I minuti passavano, ma il motoscafo non tornava….i minuti si tramutavano in mezz’ora…e poi, fatalmente in un’ora. A parte gli ospiti rimanenti che ormai verso le quattro di mattina dormivano stanchi di attendere parcheggiati su poltrone e divani……il povero Comandante, terrorizzato sempre di più per la scomparsa del motoscafo con la gente a bordo……..si era attaccato al telefono chiedendo soccorso e aiuto a polizia, pompieri e guardia costiera ma a causa della nebbia, e della nottata di festa….nessuno gli dava retta. Posso solo immaginare quello che deve aver passato quell’uomo in quelle ore……per fortuna alla fine arrivò una telefonata liberatrice che ci comunicava che il motoscafo disperso alla fine era stato ritrovato in secca dalle parti di….dove non avrebbe proprio dovuto essere e che un altro natante stava arrivando da noi per portarci finalmente a casa. Si erano fatte le otto di mattina di Capodanno quando, dopo tanto attendere, finalmente riuscimmo ad andarcene…..L’innominabile aveva colpito ancora….Emanuele ed io ne avevamo, senza volerlo, combinata un’altra delle nostre…..Comunque voglio dire una cosa che non avevo mai avuto coraggio di dire in precedenza….quando avrei invece dovuto . “………GRAZIE, COMANDANTE E….SCUSACI ! “.

CAPITOLO TRENTANOVESIMO: paura……quella vera !

Negli anni passati a fare il militare, di leva prima….in servizio permanente poi, non ho mai avuto occasione di conoscere la paura….quella vera, tranne che in una occasione, una sola….ma tosta. Alle cinque del pomeriggio, nel bel mezzo di un temporale novembrino stavamo navigando a bordo del topo verso casa. I temporali in laguna facevano impressione…..ma non certo paura, c’era il vento, le onde si increspavano di spuma, si ballava un po’ al ritmo delle onde che andavano e venivano….ma niente di più. Avevamo già raggiunto e superato il Lido quando nello stesso momento in cui la barca virava verso Venezia, un colpo di vento improvviso, molto simile ad una tromba d’aria, cominciò a scuotere il topo in maniera incontrollata…..si era di colpo fatto buio e le onde violente in una maniera abnorme non ci permettevano più di mantenere la rotta prevista. Noi passeggeri, ad un certo punto, ci rendemmo conto che….incredibilmente ci trovavamo nei guai; la nostra paura si accentuò poi, quando Gennaro che nell’occasione collaborava con il topista nella conduzione del mezzo, bianco in volto ci urlò di indossare subito i salvagenti…..nello stesso momento, cercando protezione all’ormeggio di una briccola ne venimmo invece sbattuti con violenza contro, finendo a terra uno sull’altro. Eravamo nella laguna, non in mare aperto….ma stavamo veramente rischiando la pelle ! Per fortuna quando mi vedevo già a mollo…il vento calò di colpo e le onde si appiattirono……eravamo salvi e per reazione per lo spavento subito….la buttammo in ridere. Come l’alpino rocciatore rischiava di cadere, il pilota di un “F.104” rischiava di precipitare…..anche il Lagunare poteva bene, una volta tanto…..rischiare di annegare !

CAPITOLO QUARANTESIMO: bagno fuori programma

Prima delle ferie natalizie, a noi Ufficiali e sottufficiali, veniva elargita dal Vettovagliamento una “borsa viveri” contenente ogni ben di Dio……Parmigiano, cotechino, olio e cose del genere che in una famiglia facevano sempre comodo, “le spettanze” mi ricordo venivano allora chiamate….inoltre il Circolo, con le quote che pagavamo ogni mese, prima di Natale ci dava la tradizionale cesta con panettone spumante e le solite cose. Il ventidue dicembre del millenovecentoottantasei, stavo scendendo dal topo per andare a casa, carico di tutto quanto descritto sopra, con stipendio e tredicesima in tasca ( all’epoca ci pagavano in moneta sonante e non con un anonimo accredito in banca ) e confortato, inoltre da qualche ombra bevuta durante la cerimonia degli auguri al Comando Truppe…seguita da quella fatta a S. Andrea……Sarà stata la fatalità, sarà stata la distrazione, fatto sta che nello scendere dal topo, invece che mettere il piede sul pontile….lo misi nel vuoto. In un attimo mi trovai incredibilmente……a mollo; scesi come un missile nell’acqua gelida, toccai per un attimo sul fondo melmoso e risalii in un lampo alla superficie……non ebbi nemmeno il tempo di spaventarmi. Venni tirato in secco bagnato come un pulcino, anzi come un Baffo appena battezzato dalla canaletta! Per fortuna a due metri di distanza dal pontile, era parcheggiata la mia fedele automobile, per cui salii a bordo immediatamente e con il riscaldamento al massimo volai a casa. Quella fu la volta che veramente non persi la mia freddezza…….invece di invocare aiuto, visto tra l’altro che a parte il bagno danni fisici non ne avevo subiti e che ero circondato da colleghi che mi avevano immediatamente tirato su…….mi misi ad invocare a voce alta per buttarla in ridere : “ Le mie bottiglie….ho perso le mie bottiglie !!! “ Ancora oggi, al ricordo di questo bagno fuori programma, c’è qualche maledetto che se la ride…alla faccia mia !

CAPITOLO QUARANTUNESIMO: chiacchierando…..

Oggi sono particolarmente nervoso….i soldi non bastano mai, i figli creano sempre problemi, il lavoro ti stressa, le vacanze che saltano…..così va la vita ! Beati i tempi spensierati in cui dovevo pensare solo a me, quando ancora lavoravo sull’Isola….Se di giorno il lavoro non mancava di certo, la sera o i fine settimana, a “bocce ferme” chi si fermava al nostro bellissimo circolo, aveva sempre di che passare la serata in allegria. Si faceva la spesa al supermercato del Lido, il magazzino viveri dava il suo tangibile contributo……ed il gioco era fatto. Quante mangiate abbiamo fatto in compagnia…..quante megagrigliate all’aperto, quante risate….ogni occasione era buona per fare bisboccia. Ci si sentiva veramente uniti…..era l’ambiente circostante che ti rapiva e coinvolgeva….la lontananza da tutto e da tutti che ti induceva a qualche eccesso. La consapevolezza di essere in compagnia delle persone, senza guardare i gradi, con cui condividevi la dura vita di tutti i giorni, ti gratificava e ti rilassava….Eravamo NOI, eravamo TRA DI NOI ……eravamo i Pirati del Sile !

CAPITOLO QUARANTADUESIMO: declino di un mito

Quando nell’ottobre del millenovecentosettantanove arrivai a S. Andrea, come ho ampiamente spiegato in precedenza, tutto per noi militari di leva era regolato dalla Legge della Vecchia. Dove questa istituzione si poteva far forte era nella tacita acquiescenza dei Quadri………che, da sempre, lasciavano fare e, dal fatto importantissimo che il “Sile” era dipendente per gli spostamenti e sopravvivenza dal mototopo. Il mototopo non poteva caricare a bordo più di trentasei persone al giro…..ed essendo in media circa centoventi anime da traghettare, per la libera uscita ci volevano sempre dai tre ai cinque giri. Qui, la Vecchia, con le precedenze regolate dall’ordine di Scaglione regnava incontrastata….Con il passare degli anni, a causa di ricorrenti abusi verificatisi in caserme di Canoe, abusi che portarono anche a dei lutti, le alte sfere spinsero a stroncare ovunque il fenomeno del Nonnismo. Il colpo finale a questo fenomeno venne quando da noi arrivò i vaporetto che, con un unico viaggio era in grado di accontentare tutti…. in un solo ed unico viaggio, anziani e novellini. Piano piano il Mao rosso ricomparve sulle maniche delle giacche delle mimetiche, tutte le antiche angherie, i privilegi e le leggi dello Scaglione scomparvero e rimasero solo nei ricordi di noi vecchi Lagunari che queste cose le avevamo vissute sulla nostra pelle.
Il fenomeno del Nonnismo al Sile, era una faccenda molto seria, feroce a volte nelle sue manifestazioni estreme, ma in definitiva da noi non ha mai fatto del male a nessuno e, poi la cosa più importante era che si trattava di una ruota…….oggi a me domani a te! Io, comunque, come buona abitudine acquisita nei vecchi tempi, il basco….continuo a NON indossarlo…..MAI !

CAPITOLO QUARANTATREESIMO: stucco e pittura

Non ricordo bene se la buon’anima dell’Onorevole Spadolini fosse Presidente del Consiglio o Ministro della Difesa quando venne in visita ( improvvisa ) a S. Andrea, resta il fatto che, come in tutte le occasioni in cui qualche “rompiballe” veniva a trovarci, bisognava fare bella mostra dei mezzi in dotazione al nostro Reparto. Fino a qui, normale amministrazione, ma quel giorno, la mia fida M.T.P. tra le sue numerose e croniche magagne, ne aveva una di grossa e soprattutto ben visibile anche ad un occhio poco attento: Un megasquarcio, provocato dal distacco di legno ormai marcito, nell’opera morta dello scafo….era un buco brutto, grosso e slabbrato, da fare invidia agli squarci provocati da quel maledetto catorcio norvegese che affondò la nostra bellissima Andrea Doria. Di per se la falla non era pericolosa trovandosi ben al di sopra della linea di galleggiamento……per cui non c’era da preoccuparsi della sicurezza, ma il buco si vedeva e saltava all’occhio immediatamente. Nascondere la barca non si poteva….per ricoverarla in cantiere ci voleva tempo….per cui il mio Comandante di Compagnia, il mitico “Pippo”, che diceva di aver ben altre gatte da pelare….disse che in definitiva la barca era mia e che mi dovevo arrangiare per farla figurare al meglio! Insomma per dirla chiaramente ….erano cavoli miei. L’immagine di uno Spadolini scandalizzato davanti all’evidenza dello squarcio, l’immagine disgustata del Comandante del Lido che diceva in modo dispregiativo come troppo spesso gli capitava: “Ecco….quelli di S. Andrea…..”,mi perseguitavano insieme a quella, ancora più terrificante, se possibile, dell’Aiutante Maggiore, da cui dipendeva lo stramaledetto Casermaggio, che mi rimandava a contare lenzuola e materassi! Cosa potevo mai fare? Fantasia….aiutami tu!!! Mi venne di colpo in mente un motto della Marina Militare che avevo già sentito ripetere più di una volta: ” Stucco e pittura……..fan bella figura !”.Fulminato sulla strada di Damasco….presi due cartelline, quelle per gli atti di carteggio, le incollai insieme e le attaccai piano piano, con l’aiuto di una scatola di puntine da disegno, sulla fiancata danneggiata, completando la “riparazione” con due mani di vernice grigia. Il risultato ERA STUPEFACENTE…..con un po’ di ritocchi di grigio qua e la, la barca sembrava appena uscita dal cantiere dopo i grandi lavori, pronta dunque per la cerimonia in programma. Naturalmente la visita di Tale e Tanto Personaggio durò appena il tempo di fare un rapido giro della canaletta ( lo aspettava un lauto pranzo al Quadri….in Piazza S. Marco), della mia barca, come del resto delle altre e dei nostri problemi…….non gliene importava un accidente….i suoi interessi non erano certamente rivolti a Noi poveracci del “Sile” ! Ma intanto, il buco nello scafo non lo aveva notato nessuno….e nessuno lo notò ancora per un bel pezzo perché le mitiche cartelline, pitturate con tanto amore di grigio, fecero bella mostra di se, in giro per la laguna, ancora a lungo prima che il danno venisse veramente riparato da chi di dovere…….tanto il buco c’era, ma NON SI VEDEVA !

CAPITOLO QUARANTAQUATTRESIMO: soprannomi…..

Non dico tutti……ma quasi, avevamo come ogni pirata che si rispetti, il nostro bravo soprannome……Non erano certo appellativi del tipo: “Barbanera o Sterminatore” di Salgariana memoria, ma nomignoli ispirati dal carattere o dalle attitudini particolari di ciascuno di noi.
Appena arrivato sull’Isola sono stato infatti battezzato: “Maresciallo”, non ho mai capito perché….forse una inconscia premonizione di qualcuno, per quello che in futuro sarei effettivamente diventato. I soprannomi più belli me li ricordo ancora…..avevamo un personaggio chiamato: “Peneessa” per il tipo di barba che appariva simile ad un pennello da imbianchino, ma anche: “Granchio poro” per la sua innata bravura nell’andare a pesca di tali crostacei…….avevamo un: “ Jonny Walcher”, un: “Capecernia”, un: “Mazzinga Zeta”, un: “Placca” . Tutti i nomignoli avevano un loro recondito significato ! Fiorivano tra la generale oralità epiteti come: “Tacchino, Achille l’Imbecille, Derrik, Adriana, Ruggerino, Lungo, Er Tufo, Cimurro, Cachineri, Puffo, Maresciallo, Sorse, Napo, Me…Coioni, KK, Sligoviz, ma, tantissimi altri, a ricordare bene, ce ne sarebbero di sicuro. Tutto faceva parte del colore locale di questa Isola di matti, come eravamo giustamente considerati da chi non ci conosceva molto….e da chi ci conosceva troppo bene !

CAPITOLO QUARANTACINQUESIMO: giorno di paga

Il nostro “Sile” era un Battaglione in piena regola, completo di Ufficio Amministrazione, ufficio che tra l’altro gestiva anche tutti i conti del Comando Truppe Anfibie del Lido…..Il lavoro svolto dai nostri Colleghi era veramente mostruoso, oltre a tutto nessuno di Loro era Ufficiale di Amministrazione e tutto quello che dovevano sapere e fare era frutto della esperienza maturata dai loro predecessori, e poi…….avevano a che fare con i soldi dei colleghi e dello Stato…..non era certo una responsabilità da poco! Responsabile di tale Sezione era un Maresciallo anziano di una gentilezza infinita che, soffrendo di una forma acuta di “cervicale”, ogni tanto lo si sentiva borbottare: “MMMHMMM…..mi sento male….e si accasciava a terra svenuto ! Ma erano malesseri di poco conto….e dopo qualche minuto era di nuovo alla sua scrivania a fare i suoi conti……….Quanto noi tutti, indistintamente, abbiamo rotto l’anima ai nostri colleghi contabili……tutti avevamo sempre qualche cosa da domandare: l’aumento di stipendio che non era ancora arrivato, una trattenuta in busta paga arrivata non si sa da dove, la tredicesima che non era stata ancora pagata…….Tutti pensavano invariabilmente ai propri interessi, dimenticandosi, a volte, anzi…..sempre, che quei poveri disgraziati non avevano da gestire solo gli interessi dei singoli ma, anche quelli di tutto un Reparto. Comunque finalmente, verso il venticinque di ogni mese, (non c’era un giorno fisso) arrivava il sospirato giorno di paga. Bisognava gestire, per tale avvenimento, tutta una serie di operazioni perché, all’epoca lo stato ci pagava il dovuto in moneta contante……..Essere pagati in moneta sonante, anzi…..frusciante, era tutta un’altra soddisfazione…..si faceva la coda con i colleghi allo sportello dell’ufficio cassa, al piano terra corridoio di sinistra prima porta a destra……….si apponevano le firme di rito, per quietanza e si ritirava il malloppo solo dopo averlo contato ben bene, banconota dopo banconota. La frenesia da giorno di paga cominciava la mattina del giorno stabilito per tale incombenza: si doveva organizzare la scorta armata de affiancare a quella dei Carabbbinieri per tutelare i valori trasportati dalla banca alle casse dell’Isola, si trattava infatti di cifre notevoli che potevano far gola a più di qualcuno! Tale frenesia continuava all’arrivo del fatidico motoscafo, quando ci si avviava a ritirare quanto di competenza e terminava al circolo, dove dopo aver saldato…..gli insoluti accumulati durante il mese……si dava il via al più classico giro di “ombre” incrociato: “Offri ti….che offro mi !”. E poi tutti a casa a pagare i debiti !

CAPITOLO QUARANTASEIESIMO: incomprensioni……

In tanti anni di permanenza sull’Isola sono quasi sempre andato d’accordo con tutti. Certo le mie litigate le ho fatte anch’io….ma erano nuvole temporalesche, nere a volte, accompagnate da tuoni e fulmini….ma che invariabilmente lasciavano poi posto al sereno. Solo con due, anzi con tre persone è stata guerra totale……Una di queste era un sergente con la faccia storta molto simile a quella di quel “guitto pseudocomico” napoletano che risponde al nome di Totò……Sottufficiale questo tra i più infimi e spregevoli che io abbia mai conosciuto e di cui non intendo più parlare…non valendone proprio la pena. Un’altra di questa triade, era un mio ex Comandante di Compagnia, che dopo anni di pacifica convivenza, quando fui trasferito a Malcontenta, tentò di scatenarsi contro di me con un odio ed un accanimento, di cui non sono mai riuscito a capire l’origine. Non sono mai riuscito a capire cosa potessi mai avergli fatto…..so solo che nel vano tentativo di danneggiarmi….riuscì solo a farmi trasferire da Malcontenta alla Matter….e viceversa……facendo incassare al sottoscritto la bellezza di una quarantina di milioni di indennità di trasferimento….grazie, Jan Claude! Ma l’unica persona che riuscì ad irritarmi con la sua sola presenza è stato uno dei nuovi Tenenti di Accademia che ci erano stati assegnati per la prima volta. Scattante, sempre di corsa, perennemente attaccato alle sottane del Comandante…..anche se non ci avevo nulla a che fare, mi dava un gran fastidio solo a vederlo Tale personaggio tentò, un bel giorno, di inviarmi a frequentare un corso, che avevo già frequentato e superato l’anno prima……e meno male che si diceva in giro che fosse uno con le idee chiare!!!!. Sempre lui, una sera, dopo una esercitazione che ci aveva coinvolto tutti, a cose abbondantemente terminate, tra l’altro erano le diciannove ed io abitavo ad Istrana, dopo Treviso, nel momento che io stavo approfittando di un motoscafo che si stava recando al Lido, scese dal suo pulpito e cominciò a dire che senza l’ordine del Comandante nessuno si sarebbe dovuto allontanare…….Non feci polemiche…avevo inquadrato l’individuo, mi girai dall’altra parte e lo fregai ugualmente perché fu la volta che, come avevo raccontato in precedenza, tagliai la corda con la bettolina della nettezza urbana….ALLA FACCIA SUA !

CAPITOLO QUARANTASETTESIMO: Vogalonga

E venne il giorno tanto atteso in cui il buon Emanuele decise di sposare la Sua Lucia……Festa grande a Ca’ Savio! E festa grande anche per me che ero il testimone di nozze. Non sto certamente a raccontare il resoconto dell’avvenimento…..dico solo che, pazienza per la quantità assurda di liquidi e solidi che il mio stomaco, senza avvertirmi, aveva ingurgitato….pazienza se alle quattro di mattina mi ero ritrovato a rimontare con la chiave inglese e l’occhio via via più appannato, il letto in ferro battuto degli sposi….che qualche assassino in vena di scherzi aveva provveduto a smontare di nascosto…….pazienza se alle sei di mattina ero arrivato a casa esausto nel fisico e nella mente…….nulla ci sarebbe stato di straordinario se a tutto ciò avesse potuto seguire il sonno del Giusto ! Io, giusto potevo anche esserlo……amavo e rispettavo la mia famiglia, non andavo a donne di malaffare….non sarò certamente stato un santo, ma….forse un giusto forse si…o qualcosa che ci si avvicinava un po’ ! Ma al Comando di Battaglione di tutto questo Non ne importava una s…., scusate, un accidente. Infatti, per le otto di domenica mattina, ero stato comandato con il mio fedele M.T.M. n°28……di fare assistenza alla Vogalonga che si doveva svolgere in laguna. In pratica avevo solo il tempo necessario a fare una rapida doccia e poi….via in laguna ! Lo stomaco debordante per le recenti libagioni doveva ancora decidere se cercare di continuare a digerire il tutto o…..restituirlo come materiale organico riciclabile e pastura per pesci alle acque prospicienti l’isola di Murano. La palpebra mi calava in modo sempre più insistente….ma si doveva tirare avanti. Per fortuna era una splendida mattinata di sole e la laguna era piatta come una tavola, per cui il mio stomaco decise di tentare di digerire piano, piano…quanto ingordamente aveva ingurgitato. Quel giorno non avevo certo una grande opinione di me stesso…..ma quello che mi fece veramente perdere una bella fetta di autostima…..fu il fatto che, avviatasi finalmente la digestione, verso le dieci di mattina….ebbi il coraggio di farmi fuori uno sfilatino lungo….come solo uno sfilatino sa esserlo……imbottito di salame nostrano all’aglio e accompagnato da un paio di bicchieri di prosecco che a bordo non mancava mai. “Carpe diem” dicevano gli antichi Romani…. Beata giovinezza !

CAPITOLO QUARANTOTTESIMO: speronamento !

Nello speronamento della galea di Ben Hur morirono non so quanti galeotti romani, in quello della Andrea Doria speronata a tradimento dalla brutta e sgraziata Stokolm, per fortuna perirono in pochissimi……….nello speronamento in canaletta, provocato da me alla nostra ammiraglia ormeggiata senza colpa alcuna al suo pontile…..per fortuna non morì nessuno ! Stavo effettuando come di consueto l’inversione di marcia che si fa al termine della canaletta per tornare indietro, proprio di fronte alla cavana, e attraccare poi al pontile dei carburanti (a quello che ne restava dopo che Massimo lo aveva praticamente distrutto facendo una manovra errata con il vaporetto). Tale manovra per riuscire bene, aveva bisogno di essere fatta con accelerate violente…seguite da retromarce improvvise alternate ad un angolo di virata adeguato. Ma, questa volta, il diavolo ci mise la coda…..sottoforma di un improvviso guasto all’invertitore. Fino alla virata….tutto ok, poi….il pieno marasma ! ogni volta che inserivo la retromarcia la barca balzava violentemente….in avanti….fino a speronare violentemente la pilotina ormeggiata quieta ed inconsapevole al pontile della gru. Che botto !!!…..io non sapevo più dove guardare (anche se in definitiva la colpa non era certamente tutta mia….), sentivo solo le esclamazioni di stupore di chi era imbarcato a bordo con me e che per l’urto si era ritrovato con il culo per terra…….e quelle dell’incazzatissimo Capobarca della pilotina che si era visto colpire con tanta violenza dal mio mezzo impazzito ! Morale della favola: pilotina da ricoverare in cantiere con cortese sollecitudine, M.T.P. da revisionare (invertitore kaput e botta rimediata a prua )……..e sergente da cazziare a sangue per guida pericolosa. Non era mica colpa mia….se l’invertitore si era guastato all’improvviso proprio in quel momento…….ma una delle regole della naia era che il sergente aveva torto sempre e dovunque. Per cui AHI, AHI, AHI….che dolore !!!

CAPITOLO QUARANTANOVESIMO: avventure in mezzo da sbarco

Dopo tanto patire tra lenzuola e materassi finalmente il buon “Mazzinga”, nominato Aiutante Maggiore al posto del terribile “Peneessa”, mi lasciò libero di scorrazzare a bordo di M.T.M. ed M.T.P….., imbarcazioni per le quali avevo di recente preso l’abilitazione alla guida. Era fatta….Finalmente! Quante situazioni ho vissuto da quel giorno in poi……e le ho vissute in prima persona, perché a bordo il comandante ero io e la responsabilità tutta mia.
Trasportavamo veramente di tutto….personale, camion, cisterne contenenti benzina o gasolio, tutto ciò in pratica che serviva per la sopravvivenza del nostro Battaglione. Si andava su e giù per la laguna con qualsiasi tempo……pioggia, vento, neve o caldo torrido….sempre avanti. D’estate bisognava, mi ricordo, insabbiare di prua il mezzo da sbarco nella spiaggetta di Punta Sabbioni, facendosi largo piano piano tra i tedeschi che facevano il bagno o prendevano il sole in costume da bagno sulla sabbia; mi ricordo che sbavavamo a vedere le bagnanti in succinti costumi (qualcuna anche senza) che si abbrustolivano ai raggi del sole……D’inverno invece ci si ritrovava quando il gelo era feroce, a cercare di scaldarsi le mani intirizzite al dubbio tepore del riflettore della cabina di comando…… SCOPERTA ! Tutta la laguna mi sono girato, in lungo ed in largo.
Quante volte abbiamo fatto viaggi a vuoto, magari fuori orario, aspettando di caricare un mezzo che non sarebbe arrivato mai perché “Mazzinga” aveva colpito ancora sbagliando il giorno del servizio da comandare……Quante volte abbiamo continuato a girare come matti per effettuare sevizi indispensabili per noi anche dopo le diciassette……..e allora straordinari e recuperi erano ancora a di la da venire……….Però , a me, quella vita piaceva….e molto. Mi sentivo libero ed avevo ottenuto anche qualche soddisfazione. Mi piaceva moltissimo, quando per l’arrivo di qualche ospite importante, si doveva allestire davanti alla cavana la cosiddetta “mostra dinamica”, si doveva eseguire, con i mezzi tirati a lucido, una sfilata in canaletta , effettuare una giravolta più stretta il possibile possibilmente a barche accoppiate…….e ritornare indietro a piena velocità
Era poi motivo di soddisfazione eseguire le esercitazioni di sbarco in mare, davanti alle spiagge del Lido o uscire a portare aiuto a qualcuno in difficoltà per le mareggiate o per le condizioni del tempo proibitive…. .Era un mezzo affidabile l’M.T.M…….a differenza della molto più piccola M.T.P., era, avendo due motori, molto più manovrabile ed affidabile. La M.T.P., invece, sentiva poco il timone, aveva un motore troppo poco potente ed a causa delle batterie situate su di un lato solo della barca viaggiava sempre antiesteticamente adagiata su di un lato.



CAPITOLO CINQUANTESIMO: andare per mare…..

Andare per mare è una faccenda all’apparenza semplice, ma in realtà molto difficile, soprattutto per una persona che ha la patente auto da tanti anni e non si rende conto quanto diverso possa essere guidare la macchina o un’imbarcazione. Secondo me sarebbe meglio, potendo, prima prendere il brevetto sul mare….e poi la patente su autoveicoli. Infatti chi guida la macchina da tanti anni e si accinge a condurre una barca, soprattutto di un certo tonnellaggio, è portato fatalmente almeno all’inizio, a considerare la guida dei due mezzi alla stessa stregua. Ma, pilotare un natante, è invece molto diverso ed impegnativo…..me ne sono accorto io, soprattutto i primi tempi, quando ho dovuto di colpo imparare l’arte di navigare….Bisogna infatti considerare tutta una serie di fattori che nella guida stradale non si devono considerare….prima di tutto, vento e corrente e poi la risposta del mezzo al timone che è ben diversa, perché meno immediata, da quella della macchina al volante….e tutta un’altra serie di fattori che non sto ad elencare….visto che NON sto certo tenendo un corso di pilotaggio……Quello che volevo evidenziare è che tutti noi piloti…..abbiamo combinato i nostri “casini” e, soprattutto, abbiamo preso le nostre brave paure…..Per diventare un pilota in gamba, difatti, BISOGNA sbagliare e imparare a NON ripetere i propri errori !

CAPITOLO CINQUANTUNESIMO: paura a Santa Marta !

Voglio adesso raccontare di quella volta che rischiai veramente di affondare con il vaporetto: Avevo scaricato un gruppo di Baffi che, non rammento perché, si dovevano recare a Venezia. Mentre ormeggiato alla banchina di Santa Marta attendevo seduto su di un masso il loro ritorno, chiacchieravo con il nuovo Motorista navale che mi era stato assegnato il giorno prima
Mi rammento che il mio nuovo collega era motorista di nome ma non di fatto….dovendo ancora frequentare in Sardegna l’apposito corso; in pratica era uscito dalla scuola come meccanico di mezzi corazzati e aveva dei motori dei mezzi navali la stessa conoscenza che io potevo avere della lingua…..russa, cioè meno di zero. Mi era stato assegnato solo perché il servizio da effettuare era di routine ed il vaporetto, appena uscito dal cantiere per la revisione era in teoria PERFETTO ed AFFIDABILE…..Bella giornata di sole, paga appena ritirata, buone prospettive di trascorrere in allegria un piacevole e rilassante fine settimana in montagna….tutto perfetto…ma, Ma, MA……ad un tratto, guardando con occhio amorevole il battello che amavo tanto……mi resi conto che c’era qualche cosa di indefinibile che non mi quadrava. Non capivo bene cosa fosse…….tutto sembrava a posto….il motore rombava tranquillo, le luci di via erano accese regolarmente, non c’erano segni di botte o di ruggine sullo scafo….eppure….qualche cosa continuava a non convincermi del tutto. Feci per salire a bordo e mi accorsi subito che il dislivello che dovevo superare per salire a bordo….non esisteva più perché il mezzo si era abbassato di brutto. Visto che la marea stava salendo….tutto ciò .voleva dire solo che IL VAPORETTO STAVA INCREDIBILMENTE AFFONDANDO SOTTO I MIEI PIEDI ! Ma che cavolo stava succedendo…come cazzo era possibile un fatto del genere ? Apprii la botola che dava nel locale motore….e vidi subito che il locale era stato invaso dall’acqua il cui livello cresceva sempre di più. Non sapevo proprio che cosa fare….-di meccanica e motoristica ero completamente digiuno…..il mio cosiddetto motorista ne sapeva poco più di me…le pompe non riuscivano a contrastare efficacemente l’acqua che entrava non si sa da dove….
E intanto il vaporetto si inabissava sempre di più……..ero veramente terrorizzato ! L’unica cosa da fare, e per fortuna che la feci subito, era rimasta quella di chiedere aiuto via radio ai Vigili del Fuoco e di avvertire S. Andrea del pericolo in cui mi trovavo. Quando poi mancava ormai un capello alla catastrofe definitiva……finalmente mi si affiancò la motopompa dei Pompieri che, con le loro manichette professionali riuscirono a tamponare provvisoriamente la situazione……Intanto era arrivato, praticamente volando in motoscafo, Damiano, il nostro capoofficina…..che calandosi nella sala motori allagata individuò subito il problema: si trattava di un ….manicotto che dopo i lavori effettuati in cantiere….NON era stato sistemato bene e…si era staccato. Il colmo della beffa era che per interrompere l’ingresso dell’acqua a bordo……sarebbe stato sufficiente spegnere il motore! Averlo saputo !Per fortuna tutto è bene quello che finisce bene, ma se evitai per l’ennesima volta di finire il giorno dopo sul Gazzettino…….non evitai di certo la valanga di parole che mi cadde addosso dai miei superiori: venni chiamato…incompetente, incapace, pericolo pubblico…..ma alla fine, passata a tutti la paura, anche i miei capoccioni dovettero riconoscere che io di colpa questa volta non ne avevo proprio avuta….e che avevo agito nell’unico modo possibile per salvare baracca e burattini. Oggi di quel giorno ricordo con disagio…un grande paura e per fortuna una grandissima umiliazione evitata, perché se il dramma si fosse veramente compiuto, sono sicuro che venirne fuori, anche con tutte le ragioni e attenuanti del caso, sarebbe stato per me molto ma molto difficile.
Il Crocifisso attaccato in cabina, S. Marco e S. Andrea mi avevano protetto ancora una volta !!!

ULTIMO CAPITOLO: matrimonio imprevisto…..

Un venerdì sera del millenovecentoottantasei, alla fine di maggio, stavo rientrando, come al solito fuori tempo massimo, da un cavolo di servizio a Punta Sabbioni, pronto per mettere finalmente a nanna il mio fedele M.T.M…..e godermi il meritato fine settimana di relax, quando venni intercettato da un mio collega che sventolando un “foglio di viaggio”……mi informò che il lunedì successivo avrei dovuto presentarmi nientedimeno che….a Taranto per partecipare ad un corso per Radaristi .
In programma per quella settimana, io veramente avevo ben altro per la testa……che pensare di dover permanere a Taranto per venti lunghissimi giorni, lontano dai miei amici e dalle mie abitudini, Di dovermi allontanare non ne volevo sentir proprio parlare….ma allora ero un povero Sergente Maggiore appena fatto…..e mi toccò per quella volta fare ciò che non volevo! Per cui, il primo di giugno……..la sera tardi mi misi in treno….e partii per il profondo sud. Il viaggio non finiva mai…il treno sporco all’inverosimile da Pescara in poi cominciò a riempirsi di una moltitudine di umanità carica di fagotti e di valige legate con lo spago……mi ritrovai all’improvviso sulle ginocchia, con un bambino puzzolente di tre o quattro anni e, farlo sloggiare, sotto gli sguardi scandalizzati dei parenti, non fu affatto una faccenda facile ne piacevole. Finalmente dopo quattordici ore di viaggio, con annesso ritardo di un’ora e quaranta, arrivai a destinazione…….pagai una cifra esorbitante per uno scassatissimo taxi abusivo, declinai l’offerta di acquistare stecche di sigarette di contrabbando….. ( meno male che non ho mai fumato ! ) e scoprii che l’albergo dove avevo prenotato la camera era stato requisito per alloggiare non so quali sfollati del cazzo….albanesi, marocchi o schifosa mercanzia del genere. Dove andare in una città sconosciuta dopo una nottata passata in treno? Per fortuna il buon taxista, dopo avermi pelato ben bene…..ebbe forse uno dei suoi rari scrupoli di coscienza…….e, questa volta senza sovraprezzo, mi scaricò in un bellissimo albergo della periferia. Tutto a posto allora? Magari…….questa volta era il padrone dell’albergo, che era vuoto, a non volere assolutamente la scocciatura di avere per quel giorno clienti tra i piedi…….MA DOVE ERO MAI CAPITATO ? Per fortuna, al mio arrivo, insieme al padrone, era comparsa una bella ragazza, con un paio di pantaloni bianchi attillati, che impietositasi a vedere un povero disgraziato completo di valige (nel frattempo il taxi se n’era andato per il suo destino) solo, sudato ed evidentemente stanco morto………tanto disse e tanto fece, che quel troglodita dell’albergatore acconsenti a concedermi la stanza con bagno n° trentasei…….Era il due di giugno millenovecentoottantasei, festa del Bocolo
Per concludere a Taranto NON ci volevo andare, l’albergo prenotato….era pieno di marmaglia, l’albergo dove alla fine mi ero fermato….all’inizio non mi voleva accogliere….eppure era il volere del destino che tutto ciò accadesse e mi fermassi PROPRIO li………perché da qualche parte era scritto che la bella ragazza che aveva perorato con tanta ostinazione la mia causa……nel giro di quattro mesi sarebbe diventata la Compagna inseparabile della mia vita e madre dei miei figli. Per concludere, anche in questa occasione, pur essendo costretto a fare una cosa non voluta ma impostami……finii il corso al primo posto della graduatoria.










INTRODUZIONE ALLA SECONDA PARTE……..

A questo punto, dopo aver riletto per una infinità di volte quanto ho scritto in precedenza, mi sono reso conto che il risultato, visto che sto scrivendo solo per me e per pochi intimi….non è poi così male ed ho deciso di proseguire nella mia fatica. I ricordi sono ancora tanti e si accavallano per uscire per primi come una frotta di Baffi che vogliono recarsi in libera uscita…..uno prima dell’altro! Inoltre, visto che mi sto divertendo molto, e…che mi sono montato un po’ la testa,….voglio inserire nella serie dei miei racconti qualche episodio che si riferisce alla mia vita, non solo militare, ma anche da civile.

CAPITOLO PRIMO : coretto serale…….

Di solito chi sbaglia impara dai propri errori….e se non è un masochista non li ripete più. Ma lui, baldo Tenentino d’Accademia, imbottito di prosopopea e di presunzione, le lezioni, amarissime che per colpa sua aveva dovuto digerire…..non erano servite proprio a nulla. “Capecernia” era nato e….”Capecernia” sarebbe morto. Ormai tale soprannome gli era stato cucito addosso e non lo avrebbe lasciato mai più. La sera, un gruppetto di disgraziati burloni, tra ufficiali e sottufficiali……… aspettava solo che il nostro eroe mettesse piede a bordo del mototopo per dare la stura al mitico coretto inventato da qualche poeta improvvisato che diceva testualmente, sulle note di una vecchia canzone di Rascel ( è arrivato il temporale):.. ….” E uno, e due, e un due tre……E’ ARRIVATO CAPECERNIA, E’ ARRIVATO CAPECERNIA, E’ ARRIVATO CAPECERNIA…. MAMMA MIA COME STO MALE….” E via così per un bel po’ ! Il poveraccio non reagiva mai, sembrava una statua di sale….ma il suo colorito rosso già di suo diventava di fiamma. Peccato, perché si trattava di una persona di assoluto valore, e lo avrebbe dimostrato in futuro superando con successo tutti i difficili corsi cui avrebbe partecipato, da quello di comandante di motovedetta….a quello di incursore sommozzatore che non erano certamente roba da poco, ma era il suo carattere a renderlo incompatibile con la nostra Isola ed un bel giorno……..sparì, all’improvviso, trasferito prima al nido di vipere del Lido, poi in qualche reparto di Canoe di sicuro più adatto al suo carattere….tutto di un pezzo…..ma, come si dice in un vecchio film degli anni ottanta……a volte ritornano.

CAPITOLO SECONDO: prova di allarme

Le periodiche prove di allarme che si dovevano fare saltuariamente, erano sempre strutturate in modo tale da arrecare il minor fastidio possibile al personale dell’Isola: cominciavano in teoria sempre in orario notturno….ma il personale arrivava sempre ed ugualmente con il solito mototopo delle otto di mattina, duravano anche due o tre giorni di fila….ma la libera uscita era sempre ed ugualmente garantita per tutti e soprattutto, tali esercitazioni terminavano invariabilmente di venerdì….lasciando il sabato e la domenica per il giusto e sacrosanto riposo !
A me, però, tali manfrine mi irritavano in modo pazzesco…..mi dava fastidio tutta la menata della preparazione e della esecuzione di tali esercitazioni, mi irritava dovermi munire di zaino, maschera antigas, elmetto e….fucilgarand, mi scocciava indicibilmente dovermi allineare pronto per una partenza che, si sapeva, non sarebbe avvenuta mai , era insomma una delle cose che non mi piacevano proprio del Servizio Militare…….era al di fuori del mio essere. Comunque, io povero soldatino di leva ero costretto ad assoggettarmi a tutto ciò, di malavoglia….ma tant’è. Resta il fatto, che nominato Sergente di complemento, grado che all’inizio mi aveva un po’ dato alla testa, a tale menate non mi volevo più prestare…….Un bel giorno di luglio, qualche Capoccia dello Stato Maggiore dell’Esercito, pensò bene non sapendo certamente di farmi un dispetto, di mettere all’improvviso in allarme il nostro “Sile”……..faceva caldo, ero appena tornato di malavoglia dalle ferie….e di scocciature non ne volevo proprio sapere. Praticamente da sempre dormivo a casa mia, al Lido, e quando mi arrivò a casa la telefonata notturna di allertamento la voglia di alzarmi era proprio poca. Comunque mi avviai in caserma di buon’ora e, sbarcato dal topo, mi accinsi a recarmi in magazzino, dove lavoravo, per indossare mimetica ed anfibi di cuoio (all’ epoca si arrivava sull’Isola in borghese per poi cambiarsi con comodo dopo il caffè…per iniziare la giornata con la dovuta calma ) Ma di vestirmi con tutto l’armamentario previsto quel giorno non ne avevo proprio voglia né intenzione….cosa fare?? Pensai allora, non potendomi nascondere, visto che dovevo far finta di approntare i gommoni custoditi nel mio magazzino, di indossare sopra i vestiti civili la tuta cerata completa di pantaloni cappuccio e stivaloni acqua alta. Con il caldo e l’umidità di luglio dentro tale armamentario stavo però lessando lentamente a bagnomaria…..ma vedevo con sommo gusto i miei colleghi correre bardati di tutto punto su e giù per approntarsi per una assai improbabile partenza.
All’improvviso, assolutamente imprevista ecco avvicinarsi a me la commissione di controllo…..: “ Mo sono cavoli….” Pensai….Il Colonnello che presiedeva il tutto mi squadrò da capo a piedi con aria dapprima interdetta, per poi inaspettatamente proferire nella frase per me passata alla storia : “Ecco un sottufficiale previdente capace di considerare anche il tempo avverso cui potrebbe andare incontro in caso di allarme reale…..BRAVO !” Per l’ennesima volta ….mi ero salvato per il rotto della cuffia, ero stato elogiato in pubblico per aver fatto tutto….tranne quello che avrei dovuto fare…..Non mi voglio certo vantare per aver avuto tanta fortuna, il mio comportamento in tale occasione, è soltanto da censurare……..però io ero, anzi sono fatto così….quando non mi va di fare qualche cosa….NON la faccio e basta e se proprio devo….LA FACCIO A MODO MIO !!!

CAPITOLO TERZO: mundial 1982

Avevamo annichilito il Brasile, avevamo distrutto l’Argentina, avevamo sotterrato la Polonia…..mancava solo la ciliegina sulla torta, battere cioè la Germania !
La partita decisiva si giocava la domenica….ed ancora prima di vincerla già si organizzavano i festeggiamenti. Anch’io, come tutti mi stavo preparando per la bisogna…..dovevo sedermi sul sellino posteriore della Lambretta di mio cugino, vestito di maglietta azzurra con il numero di Pablito Rossi sulla schiena….mancava solo una bella bandiera tricolore da sventolare…..dove trovarla ???? Nei negozi le bandiere erano esaurite da giorni, di farla in casa non era proprio il caso….e allora ???? Ecco accendersi la lampadina: mi prendo per l’occasione la bandiera del pennone della caserma!!!!!!!! Tanto la domenica non se ne accorge di certo nessuno! E così feci approfittando del fatto che la domenica mattina in questione, per una strana combinazione, ero smontato dal sevizio d’Ispezione. Fu festa grande…..girai per tutto il Lido sventolando il gigantesco Tricolore per ore ed ore ebbro di gioia ……fino a dimenticarmi che la bandiera doveva anche essere restituita. Me ne ricordai solo a notte inoltrata……quando la ragione cominciava a prendere il posto dell’entusiasmo………dovevo assolutamente rimettere ogni cosa al suo posto prima che qualcuno se ne potesse accorgere. Mi avviai , verso le due del mattino, al pontile del Lido sperando nell’aiuto della Provvidenza che finora mi aveva sempre salvato……ed anche questa volta mi andò bene perché poco prima dell’alba trovai un caritatevole “passaggio“offerto gentilmente da una barca di pescatori di passaggio, che mi permise di finire in gloria anche quel giorno di festa!

CAPITOLO QUARTO: sbarco in spiaggia

Oggi è un grande giorno per me…..per la prima volta dovrò partecipare con il mio M.T.M. ad una esercitazione di sbarco sulla spiaggia del Lido, in occasione di un giuramento solenne del nuovo scaglione di Baffi appena arrivati.
Sono giorni ormai che proviamo e riproviamo il tutto: la navigazione in mare che deve essere coordinata con il sorvolo degli elicotteri, l’allineamento tra barca e barca che deve essere perfetto, l’apertura dei portelloni per lo sbarco dei carri e del personale che deve essere simultanea…….tutto deve girare con la precisione di un orologio ed essere guidato via radio…..è una emozione fortissima.
Ecco, il momento è arrivato e si parte: per fortuna il tempo è bello ed il mare abbastanza calmo. La spiaggia poco a poco si avvicina…..si vedono già le onde infrangersi sulla battigia….e il pubblico formato dai parenti dei giurandi e dalle autorità invitate per l’evento, già si intavvede sullo sfondo….tutto deve andare bene…..ecco gli aerei sorvolarci a bassa quota aprendo la strada agli elicotteri che devono lanciare in mare i subacquei……ecco i carri anfibi avventarsi sulla spiaggia seguiti dai gommoni…..ecco, ora è il mio turno di toccare la riva e scaricare gli assaltatori prima di fare retromarcia e tornare in mare sempre allineati, sempre coordinati! Sembra di far parte di un film di guerra americano….solo che questa volta gli attori siamo noi!!!
Tutto è andato per il meglio….siamo stati in gamba e la tensione, a cose finite, si stempera nella più viva allegria………abbiamo dimostrato a tutti…che cosa sono e cosa possono fare i Pirati….per terra e per mare….sempre e dovunque come canta il nostro motto.

CAPITOLO QUINTO: conclusione di un’epoca

Oggi per la prima ed ultima volta la nostra Isola sarà sede di una grande festa…..grande ma triste….non c’è nulla da festeggiare, infatti, ma c’è solo da ritrovarsi per l’ultima volta tutti insieme. Domani infatti il nostro bellissimo “Sile”…..dovrà morire…….Oggi siamo tutti qui, con le nostre famiglie per una serata che dovrà passare alla storia. Tutto è stato organizzato nei minimi particolari……il viale che introduce all’ingresso del circolo è stato illuminato da lampioni che diffondono una luce soffusa…….i tavoli sono stati disposti sotto i bungalow in legno ed le isole dei buffet disposte in posizione strategica . L’enorme griglia per il pesce lancia bagliori roventi mentre quella più piccola della carne rosseggia spandendo all’intorno profumi speziati….nulla è stato trascurato….il vino scorre a fiumi, l’allegria finalmente prende il sopravvento sulla tristezza.
Siamo ancora tra di noi, tra risa e scherzi però ci si guarda negli occhi…..e mille pensieri si accavallano dentro di noi, i ricordi di tanti anni trascorsi assieme scorrono come le immagini di un film. Anche la natura vuol farci vedere quanto è bella a S. Andrea, anche la notte……richiami improvvisi di uccelli notturni, le stelle che brillano nel cielo nero e lo sciabordio delle onde che si infrangono piano piano sulle rive della canaletta……è senza dubbio un ambiente di favola. Ecco il momento tanto temuto….si avvicina la torta: è enorme, rotonda e porta scolpito con la glassa solo un none…..SILE ! Me lo mangio con gli occhi quel nome, me lo cullo dentro di me….e non lo voglio mai dimenticare……Si torna a casa, con la convinzione di aver concluso un’epoca irripetibile………oggi abbiamo offerto l’ultima cena ad un condannato a morte…….domani sarà giustiziato il nostro Battaglione….CIAO CARO, VECCHIO “SILE” E GRAZIE DI TUTTO!!!!!

CAPITOLO SESTO: esami di stato

Fino al corso prima del nostro, passare in Servizio Permanente acquisendo i mitici ed ambitissimi gradi da Sergente Maggiore, era un gioco da ragazzi….essendoci solo un esame pro forma da sostenere. Ma dal nostro corso in poi, per massimo della sfiga, era diventato necessario per raggiungere tale traguardo, superare un concorso con posti a numero chiuso. Ci si trovava in pratica con il reale pericolo di essere rispediti a casa dopo cinque anni di onorata carriera!
Pur essendo Emanuele ed io dei “ capibarca “ ci dovevamo presentare all’esame come, chissà mai perché, dei “capicarro” di LVTP7, il carro anfibio cioè in dotazione ai Lagunari
Il nostro Comando ci aveva in verità fatto fare un piccolo corso su tali mezzi…..corso teorico ma che per lo meno ci aveva dato una conoscenza superficiale che avrebbe dovuto bastarci per superare l’esame. Il guaio era che all’epoca i Lagunari…..non li conosceva proprio nessuno essendo loro la specialità più recente della Fanteria….e ce ne accorgemmo bene il giorno dell’esame.
Date al Colonnello, che ci registrava per l’esame, le mie generalità, mi venne da lui rivolta una serie di domande a cui bisognava dare una adeguata risposta………Ecco quanto successe, me lo ricordo parola per parola….:“Lei, Sergente…. di che cosa si occupa al suo reparto? “ “ Sono pilota di mezzi da sbarco, signor Colonnello! “ “ Ma a me non risulta che l’Esercito abbia in dotazione tali mezzi….l’Esercito non è mica la Marina……...comunque Lei si presenta come Capocarro……quale carro avete in dotazione? “ “ L’LVTP7, signor Colonnello “ “ L’LVT PSETTETE ? ma che roba è?…..no, no voi farete l’esame sul Leopard e l’M60! “ ……Sia io, che Emanuele eravamo a dir poco allucinati…..avevamo scoperto con angoscia che nessuno tra i presenti conosceva né i Lagunari né i mezzi di cui erano dotati….e cosa ancor più grave …..che avremmo dovuto sostenere un esame scritto sul Leopard….che sapevo solo essere un carro tedesco…..e sull’M60 che pensavo essere non un carro ma una mitragliatrice……..eravamo veramente a posto!!!! Comunque, non potendo fare altro ci sedemmo e cercammo di rispondere con logica alle domande impresse nel questionario. Ma c’era poco da fare…..la logica ti poteva essere di aiuto fino ad un certo punto…..ma assolutamente non ti poteva venire in aiuto per risolvere dei quiz specialistici di una materia a noi totalmente sconosciuta! Alla fine, vinto dalla disperazione….la buttai come doveva andare, rispondendo alla “cazzo di cane“ alle domande che si susseguivano alla fine….. ci avevo anche preso gusto…….ad una domanda che testualmente diceva: “Se il Leopard non parte per una avaria alla batteria, cosa bisogna fare? “Risposi di getto: “Scendo, spingo e quando ho preso velocità balzo a bordo e metto la seconda!!!!!! “….ben sapendo che il maledetto carro pesava svariate tonnellate.
Forse furono proprio le nostre risposte pazzesche che insospettirono qualcuno….qualcuno alla fine doveva aver capito che qualche disgraziato incompetente ci aveva fatto fare l’esame sbagliato……e per fortuna, invece di rispedirci a casa in congedo…..ci venne consentito di ripetere l’esame, tre o quattro mesi dopo………fummo presentati, questa volta come “ comandanti di squadra assaltatori “, incarico da noi mai ricoperto……..ma con la nostra buona volontà, e con l’aiuto di un corso svolto a Malcontenta….questa volta l’ostacolo fu da noi scavalcato alla grande….e la meta finalmente raggiunta. S. Marco!

CAPITOLO SETTIMO: corso a Malcontenta……..

Certo sostenere un esame su di una materia a noi totalmente sconosciuta….non era certo una cosa facile. Emanuele ed io, luridi raffermati, non avevamo mai fatto nessun tipo di scuola militare essendo diventati Sergenti, di colpo…..il giorno stesso del congedo del nostro scaglione. Ciò che avevamo imparato piuttosto bene, era guidare le barche in dotazione al nostro reparto, lavorare in ufficio o in magazzino……ma esami per Capobarca….non erano mai stati concepiti fino ad allora….per cui, per evitare ulteriori incontri ravvicinati con Leopard ed affini, visto che l’LVTP7 non lo conosceva ancora nessuno…….venimmo dirottati a presentarci come “ Comandanti di squadra assaltatori “:
Ovviamente anche questa era per noi materia sconosciuta….ma con la buona volontà….tutto si poteva aggiustare. Il nostro comando, inoltre, pensò bene di spedirci per quindici giorni….a lezione dai cugini Lagunari di Malcontenta…..espertissimi in materia.
A Malcontenta erano passati almeno cinque anni da quando avevo avuto la prima scioccante esperienza con la realtà del “Primo Battaglione Lagunari Serenissima“……e memore di tale esperienza negativa, non ci tornavo certo volentieri…….Questa volta però, venivamo come “ospiti “, ……..liberi, dopo aver seguito le lezioni, di andare e venire a nostro piacimento…..eravamo insomma dei corpi estranei, appartenenti ad un altro mondo. Oltre a tutto era cambiato anche il loro Comandante….che non era certo della stessa pasta di quella bestia che avevo avuto modo di vedere in azione anni prima….per cui, tutto sommato, non stavamo affatto male. Ovviamente il loro modo di vivere era totalmente diverso dal nostro…..si spostavano marciando inquadrati….e quando non lo erano correvano come matti…..salutavano militarmente tutti, anche il gatto nero che passava di la per caso, il basco no se lo levavano neppure per andare in bagno…….in compenso avevano la piscina coperta……dove però nessuno ci poteva andare se non per addestramento e per le prove di nuoto………avevano un circolo piccolo piccolo dove si poteva sostare solo il tempo necessario per sorbirsi un caffè……..era una CASERMA, insomma una maledetta caserma in piena regola!
Tuttavia….per fortuna noi eravamo solo di passaggio e, con loro non avevamo nulla da spartire e, come avevo detto prima,……terminate le previste ore dei corsi andavamo tranquillamente a spassarcela per i fatti nostri.

CAPITOLO OTTAVO: una cosa che….finisce, un’altra che comincia…..

Il primo ottobre millenovecentoottanta il nono scaglione settantanove terminava la sua esistenza…….era passato un anno da quando avevamo varcato per la prima volta i cancelli della “Pepe“….e adesso dopo dodici mesi di gioie e dolori ERA FINALMENTE FINITA!
Ma mentre tutto lo scaglione gozzovigliava in spaccio per i saluti di rito ed il passaggio di consegne tra Congedanti………..un povero Caporal Maggiore sostava in ansia davanti all’ufficio del Comandante di Battaglione (il mitico “Chiappariello”). Il poveraccio in questione era in ansia perché l’aveva veramente combinata grossa…….aveva compiuto, verso i suoi “fratelli di Naia“ lo sfregio degli sfregi, il disonore dei disonori…..AVEVA CHIESTO DI RASFFERMARSI con il grado di Sergente di complemento!!!! L’idea di entrare nell’Esercito mi era balenata alcuni mesi prima…..ero stufo di studiare presso una facoltà universitaria che non mi soddisfaceva, potevo prestare servizio a due passi da casa, avevo visto l’occasione di rendermi indipendente economicamente…..ed essendo pure stato scaricato dalla fidanzata….mi sentivo come un amante abbandonato che si arruolava per disperazione nella Legione Straniera! A parte gli scherzi, avevo visto per un anno…come i Sottufficiali vivevano a S. Andrea….e la cosa mi solleticava molto, per cui un bel giorno avevo preso la storica decisione di tentare ed avevo fatto domanda. A casa mia la notizia non era stata certamente stata appresa con gioia….ma chi la prese veramente male fu un militare con cui avevo diviso veramente tutto fin dal primo giorno di servizio…….si trattava di Andrea, un ragazzo nerissimo di capelli, di carattere vulcanico, legatissimo alle tradizioni della Vecchiaia….uno di quelli elementi che pareva facesse il militare solo per gustarsi la gioia di vivere il giorno del congedo!…..Per lui la decisione che avevo preso risultava non solo del tutto incomprensibile ma anche….offensiva per tutto lo scaglione di cui facevamo parte……fatto sta che per gli ultimi due mesi non mi rivolse mai più la parola! Oltre a tutto, visto che si……avevo fatto domanda di rafferma……..ma un conto è chiedere ed un altro….ottenere, fino a quando non avessi avuto una risposta positiva stavo rischiando di perdere l’amicizia di tanti colleghi scandalizzati, le gioie del giorno tanto atteso del congedo..…per rimanere poi con il classico pugno di mosche in mano. Ma, per fortuna Chiapparello, che mi stimava e mi voleva bene……si era interessato fin dall’inizio del mio caso, e mettendo in mezzo tutte le sue conoscenze nel giro di qualche ora…..ottenne il sospirato SI da Roma, mi fece giurare….e mi spedì in magazzino a lavorare. perché chi ha tempo non aspetti tempo e perché, il sole mangia le ore……BEN ARRIVATO…SERGENTE!
Certo era una cosa molto strana quella che mi stava accadendo….il giorno prima ero militare di truppa….adesso ero di colpo passato dall’altra parte della barricata, con compiti e responsabilità impensabili fino a qualche ora prima…….mi sentivo solo e spaesato ed anche un po’ impaurito!
Per fortuna i colleghi del mio scaglione se n’erano andati….e con il mototopo che faceva ritorno dal Lido intravvidi una faccia che mi sembrava di avere già visto: “ E lui…o non è lui?….ma certo che è lui! Ma guarda, quello è proprio quel tizio che ho conosciuto al Lido i primi giorni del C.A.R…..ma guarda è diventato sergente pure lui!!! “….Era arrivato a S. Andrea anche Emanuele!

CAPITOLO NONO: silenzio fuori ordinanza

Ormai il grande giorno è alle porte…..domani sarà veramente finita per lo scaglione che si deve congedare. Fatta la cena di addio, celebrata l’ultima “adunata Baffi “ bevute le ultime bottiglie de vin de casata……..si aspetta ora solo lui…..l’ultimo “silenzio“ quello fuori ordinanza eseguito dal mitico Nini Rosso……Ecco le prime note struggenti che si diffondono per le camerate oscurate…..come per magia un anno intero di ricordi passa davanti agli occhi di ciascun congedante….sono finite per sempre le fatiche del militare, le umiliazioni, le sofferenze, i sacrifici….ma sono terminati anche tanti, tantissimi momenti belli trascorsi insieme a tanti “Fratelli di Naia“ Domani mattina tutto sarà un ricordo…..bello o brutto, ma…ricordo! Quanti volti di durissimi “Ciosoti“ ho visto in quei magici momenti rigarsi di lacrime, quanti abbracci ho visto scambiarsi tra Congedanti ed ultimissimi arrivati….era la magia delle note del nostro grande trombettiere che colpiva e commuoveva, periodicamente ed in modo infallibile anche i cuori più duri…….era la magia del Servizio Militare obbligatorio, anticamera e scuola per la vita da adulto.

CAPITOLO DECIMO: la caserma..non caserma…..

A differenza dei masochisti di Malcontenta….la nostra era un NON caserma……
Come a Malcontenta esistevano ovviamente gli uffici del Comando di Battaglione, raggruppati in un’unica palazzina, tra l’altro molto bella e luminosa, ma tutti gli altri uffici, quelli delle Compagnie, dell’officina e dei vari magazzini erano sparsi per l’Isola e tutti lontani l’uno dall’altro e ben distanti dall’ombra ingombrante del Comando di Battaglione.
Ogni ufficio era un’isola a parte…..ciascun capufficio cercava di rendere l’ambiente in cui viveva per gran parte della giornata il più confortevole possibile. C’era chi si era portato da casa un frigorifero dove tenere le bottiglie più care….chi si era munito di radio stereofoniche per lavorare con un sottofondo musicale…..e così via! Il mio regno, dopo che per causa di forza maggiore avevo dovuto abbandonare la navigazione a bordo delle barche, era diventato il magazzino pezzi di ricambio di cui ero il responsabile! Era costruito in una zona tranquilla ed io lo avevo arredato con mobili di mio gusto che avevo recuperato a casa di mio nonno……non mi mancava nulla, le tendine alle finestre cucite con amore da mia moglie; il frigobar; il mangiacassette stereo; il fornelletto elettrico per qualche occasionale caffè. Purtroppo non eravamo ancora nell’epoca dei computer…..e mi dovevo accontentare per il lavoro, di una vecchia macchina da scrivere e di una calcolatrice elettronica…..ma andava bene così ! .Il lavoro era tanto e gravoso….era inoltre il periodo in cui abitavo ad Istrana….e il solo fatto di andare su e giù tutti i santi giorni era un ulteriore aggravio di fatica. Ma c’era tanta serenità……lavoravo tanto…ma nell’ambiente che mi ero creato….mi sentivo a casa mia. Se il mio diretto superiore che lavorava in Comando a cinquecento metri di distanza, più le scale…… mi rompeva troppo…..bastava staccare il telefono….e la pace era ritrovata! Nessuno si poteva presentare all’improvviso nel mio regno….tutti i potenziali visitatori si vedevano avvicinarsi da lontano e dunque….ci si poteva regolare di conseguenza.
Altri colleghi, che non avevano tutto il lavoro che dovevo svolgere io, si erano attrezzati ancora meglio…..dietro l’officina, in mezzo alla boscaglia era stata inaugurata la “Bella Napoli“….una sorta di circolo alternativo completo di pareti foderate di perline di legno e caminetto; il Comandante della C.M.N. si era attrezzato l’ufficio in un bungalow in zona tranquilla, circondato da uno steccato in legno, che faceva assomigliare il tutto ad una fattoria; Il nucleo dei subacquei aveva invece in dotazione una palazzina tutta ispirata ad un argomento prettamente marinaresco.
C’era poi chi di ufficio non ne voleva proprio saper parlare….Mazzinga, il nostro Ufficiale al vettovagliamento, aveva stabilito la sua residenza in spaccio truppa, attaccato ai flipper….tanto la contabilità dell’ufficio…la faceva a casa la moglie ragioniera!….C’era poi il Pansa, Comandante della C.C.S…..che preferiva , quando c’era, andare a caccia dietro ai campi di Ballarin!! C’era poi chi per passare il tempo si occupava di giardinaggio e chi di pesca sportiva. Il nostro bellissimo circolo era sempre aperto e accoglieva tra le sue amorose braccia chiunque avesse voluto trascorrere tra i suoi saloni il tempo necessario al relax.

CAPITOLO UNDICESIMO: addestramento….in cantina!

Sono sempre stato una persona amante della compagnia, appassionato della buona cucina e del buon vino. Mio nonno prima e padre poi, mi avevano fin da piccolo, introdotto alle delizie dei locali caratteristici che ancora fiorivano a Venezio….non quelle trappole per turisti che si trovano al giorno d’oggi ma, quelle bellissime osterie che rallegravano un tempo la vita di noi veneti. Mio padre si accontentava di bere qualche volta in mia compagnia un paio di bicchieri di vino accompagnati da qualche fetta di salame, era una persona moderata in tutto, difficilmente eccedeva in qualche cosa…..io, invece con il fuoco della giovinezza in corpo……mi ero veramente appassionato a tale tipo di locali……Mi piaceva l’odore “vinoso” che permeava l’ambiente…..l’aspetto rustico che caratterizzava il tutto, l’arredamento in legno e l’atmosfera rilassante che caratterizzava le osterie veneziane.
Avevo trasmesso questa passione anche ai tre amici che solevano passare con me ogni fine settimana e spesso passavamo da un locale all’altro con sommo gusto. Sotto casa mia avevo a mia completa disposizione un locale di circa novanta metri quadri, completo di lavandino e di acqua corrente dove al tempo del liceo ero solito fare le feste di compleanno con i compagni di scuola……trasformare tale locare….in baccaro/discoteca fu una delle cose più divertenti che abbia mai fatto in vita mia! Avevo riempito gli armadi e gli scaffali di vino friulano da me imbottigliato, costruito un banco bar con un vecchio tavolo in marmo, comperato un frigorifero congelatore….un fornetto per pizze/pizzette/toast, sistemato in bella evidenza una botte termica di trentaquattro litri completa di rubinetto a due velocità, guarnito le finestre con tendine di un bleu molto intenso, installato un megaimpianto stereo completo di luci psichedeliche, sistemato in ogni angolo strategico una serie di divani sedie e poltrone. Alle pareti avevo incollato tutte le etichette dei vini che avevo bevuto…..TUTTO L’INSIEME ERA UNA FIGATA NON COMUNE!!! Il successo era senza dubbio superiore alle più rosee aspettative….non passava giorno che di pomeriggio o di sera non avessi ospiti…..la voce si era sparsa e tra amici e colleghi di lavoro l’andirivieni era continuo. Io passavo quasi tutte le sere dietro il mio fedele banco bar a cucinare e a mescere ombre su ombre….bianche, rosse o rosate che fossero. Nessuno ovviamente pagava….ma, tutti lasciavano a loro discrezione in un apposito cestino qualche “carta” da diecimila che serviva a rimpinguare le provviste consumate in giornata. Quante serate meravigliose ho trascorso in pieno relax! Quanta gente ha sostato in allegria sui divani….con in mano un bicchiere ed un piattino bello pieno ! Quante partite a carte o a risico ho fatto davanti ad una buona bottiglia…….quante volte Emanuele è rimasto a dormire la notte nella tranquillità dell’ambiente, con la pancia piena e….con l’animo in pace con se stesso e con gli altri !!!Belli anzi bellissimi ricordi di una beata giovinezza che se ne è volata via! Nei primi anni ottanta, dopo che ero diventato Capobarca….avevo preso la buona abitudine, con la scusa di fare addestramento alla navigazione, di farmi un giretto con la mia M.T.P. dalle parti di casa mia…….di ormeggiare il mio mezzo sulla riva di fronte alla mia abitazione e, di passare qualche mezz’ora, in compagnia …….tra le braccia accoglienti della mia bettola personale….tanto per rompere la monotonia della giornata. Carpe diem !!!!!!

CAPITOLO DODICESIMO: la…”.Mafi “

Abitando da sempre al Lido dove, si sa esistono solo undici chilometri di strade, e non avendo fonti di guadagno visto che studiavo all’università, considerando che a mio padre la macchina non era mai interessata per nulla, prima dei ventun anni non ero riuscito a prendermi la benedetta patente. Era stata una lotta, senza speranza, protrattasi per anni:….cosa me ne potevo mai fare della macchina se non avevo nessun posto dove andare tranne quei pochi chilometri su e giù per l’isola………e a che cosa mi sarebbe mai servita la patente se la macchina non ce l’avevo e non avevo nemmeno possibilità di comprarla? Era questo il ritornello che avevo sentito nelle mie orecchie da anni! Io, sono stato sempre un figlio rispettoso e per non innescare battaglie perdute in partenza…..me l’ero mangiata elegantemente…….sempre, fino al giorno che mio padre, andato in pensione, affittò per tutto l’anno una casa in montagna. Le prime volte, per raggiungere la villetta, la famiglia si spostava con l’unico ausilio dei mezzi pubblici…..ma dopo qualche mese di viaggi disagiati, finalmente ed improvvisamente mio padre si decise a farmi fare in tutta fretta i due passi tanto agognati…..farmi prendere la patente e acquistare una macchina: l’inutile era improvvisamente diventato indispensabile! Finalmente ce l’avevo fatta…..certo mi dovevo accontentare di una vecchia millecento Fiat con i buchi sul pavimento….ma per cominciare a me andava più che bene. Mi ricordo benissimo che era verniciata di fresco, che aveva i sedili in finta pelle, che era dotata di un motore che in pianura funzionava a dovere ma, anche che ogni volta che pioveva, quando prendevo una pozzanghera, la mia povera mamma era costretta, a causa dei buchi sul pavimento, a tirare su le gambe….per evitare di farsi un bidet fuori programma! Ma, anche se mia madre non era particolarmente soddisfatta dell’acquisto per i ben noti motivi, a me andava bene lo stesso….erano i tempi beati quando con dodicimilalire facevo il pieno di super….e via a girare dalla mattina alla sera! Tutto andava bene, la macchina era sufficientemente comoda ed affidabile, ma aveva una pecca dovuta senza dubbio dovuta all’età: se è vero che in autostrada riusciva ancora a toccare una più che adeguata velocità……..è altrettanto vero che appena cominciava la salita, la povera vecchia si impuntava come un somaro…..e di procedere non ne voleva proprio sapere. Visto e considerato che le strade di montagna oltre alle discese….sono fatte anche di rispettabili salite…….mio padre si rassegno presto all’acquisto di una macchina nuova di pallino. Con la modica somma di poco meno di due milioni di vecchie, care, lire, nel luglio del millenovecentosettantacinque, ….divenni felice proprietario di una fiammante “Simca Millecento” verde……superaccessoriata Ero fuori di testa dalla gioia…..la lavavo e la lustravo anche due volte al giorno….impedivo nel modo più categorico a chiunque di mangiare anche un pezzetto di pane a bordo per il terrore della anche più piccola briciola, non facevo toccare a mia sorella di sedici anni nemmeno l’aletta del parasole per paura che si rovinasse……….le mani dovevano essere tenute dai passeggeri in grembo e NON MAI sugli appositi e previsti appoggiabraccia…per paura che si consumassero….i piedi dovevano essere tenuti fermi sul tappetino facendo attenzione che NON toccassero MAI la tappezzeria…….NON SONO MAI RIUSCITO A FAR LEVARE LE SCARPE AI PASSEGGERI IN CASO DI CALZATURE, INZACCHERATE, perciò, quando pioveva….soffrivo come un cane vivendo nel terrore che una maledetta scarpa potesse imprimere un qualche “ricordo“ indelebile sulla moquette nera. “Mi raccomando….che ho appena pulito la macchina!!” era diventato il mio ritornello ogni volta che qualcuno si accingeva a salire a bordo!….e se qualcuno si permetteva di lasciare qualche “ricordino“ indesiderato sul pavimento….alla prima sosta mi affrettavo a scendere ed a sbattere con decisione i tappetini facendo volare via l’oggetto portato a bordo dalla noncuranza di qualche maleducato!! Odiavo i temporali….per paura della grandine……evitavo accuratamente le strade sterrate o con l’asfalto ancora caldo, prima di salire esaminavo tutta la carrozzeria alla ricerca di eventuali graffi……facevo la guardia la notte alla finestra se qualche faccia che solo io consideravo sospetta si permetteva di passare sotto casa, maledicevo i ragazzini che osavano passare secondo me troppo vocino al mio grande tesoro con le loro stramaledette biciclette…….effettivamente, con il senno di poi, ero diventato un po’ paranoico. La macchina, battezzata “ Mafi “ in onore di una persona a noi cara, si comportava con onore…….aveva un motorino che frullava con un rumore simile a quello di un aspirapolvere, raggiungeva a stento anche sfondando il pavimento con il pedale dell’acceleratore, anzi sfiorava solo i centoquaranta all’ora….e in salita, pur arrivando quasi ovunque…..lo faceva sempre a modo suo: con tanta, tanta, TANTISSIMA calma!….chiederle di superare sulle salite del Passo Rolle un camion…era come domandare ad un grassone di 100 Kg. Di salire una scala ripida……lo faceva, certamente….ma ci metteva una vita !

CAPITOLO TREDICESIMO: ricordi vari….

Naturalmente, quando una persona deve aprire unna lettera importante, cerca sempre di farlo con la più grande tranquillità. Quando ricevetti la tanto temuta Cartolina Rosa mi rifugiai per aprirla nella solitudine della mia macchina……come ho già avuto occasione di raccontare, la paura di finire in ”culo” al mondo era tanta e la gioia per lo scampato pericolo ancora più grande. Ovviamente…il primo giorno di servizio militare mi presentai a bordo del mio bolide compiendo in cinque minuti il tragitto, che mi sarebbe diventato abituale: casa…caserma. C’era tra i miei compagni di scaglione chi arrivava dalle zone più lontane del nordest dell’ Italia….io, ero l’ unico fortunato ad essere casabottega. Avevo lasciato la Mafi al parcheggio della Pepe, sicuro di poterla riprendere la sera stessa per andarmene a casa in libera uscita ma, il destino aveva disposto altrimenti…..tra una cosa e l’altra infatti di libera uscita se ne parlò soltanto dopo una lunghissima settimana…..povera macchina, abbandonata per la prima volta in vita sua sola e lontana da casa……non ci dormivo la Notte! Quando passata la prima settimana, e potei finalmente uscire….lei era ancora li che mi aspettava…..piena di polvere e ricoperta di foglie autunnali….ma pareva felice di vedermi….se solo avesse avuto la coda sono sicuro che avrebbe cominciato a scodinzolare….
Di quei primi giorni nei Lagunari ricordo la mia insofferenza nel vestire i “paramenti“ previsti…….le uniformi erano belle e ti facevano sentire importante….ma erano, e sono tutt’ora, di una scomodità pazzesca…….io inoltre sono stato sempre uno spirito libero ed indipendente, restio ad ogni tipo di costrizione che non mi garbasse, ed il fatto di essere vestito sempre nello stesso modo, monotono e scomodo, non mi sfagiolava più di tanto. Mi irritava il fatto di allacciare i maledetti anfibi di cuoio…..i buchi per i lacci non finivano mai…..il fazzolettone rosso mi faceva venire allergia alla pelle del collo ed il basco a pizza mi cadeva di sghimbescio sulle orecchie….e così via ! Ecco uno dei motivi perché apprezzavo tanto la vita dei Pirati di S. Andrea una volta trasferito sull’Isola…………via il basco, via gli odiati anfibi di cuoio, via lo scomodissimo fazzolettone rosso, via gli inutili orpelli che mi avevano al C.A.R fatto impazzire !!!
Il Comando Truppe Anfibie, che si trovava nella caserma Pepe era un luogo tutto particolare……era un caserma antichissima con camerate da trenta e più persone, con servizi igienici allucinanti nella loro fatiscienza…scomoda, anzi scomodissima….ma viva e adattissima allo spirito dei Lagunari: l’atmosfera che si respirava, anche se molto formale essendo sede di un C.A.R. e di un Comando, era sempre molto famigliare…..per certe cose molto rilassata….io mi sentivo a casa. Bella differenza da quella odiosissima gabbia di pazzi scatenati che si trova al giorno d’oggi al Comando di Reggimento situato in quel sobborgo di Venezia che risponde al nome di Mestre…..La caserma Matter è una casermacaserma in piena regola, squadrata, brutta dove tutto è previsto e tutto è come deve essere da regolamento……un vero manicomio! Alla vecchia Pepe, invece ci si muoveva tra colonnati storici e due ampi piazzali che conservavano l’austera atmosfera di un luogo di altri tempi…oltre che la sede madre di tutti noi Lagunari, il Palazzo dei Soldati degli antichi “ Fanti Da Mar “ era anche una sorta di Tempio dove venivano tramandate le nostre tradizioni più antiche.


CAPITOLO QUATTORDICESIMO: vita beata

Alle cinque e mezzo del pomeriggio, a volta senza nemmeno cambiarmi, ero già nel mio regno a prepararmi per il relax serale……..all’inizio da solo, con lo stereo a bassissimo volume ingannavo il tempo dando una sistemata al locale: c’erano sempre dei bicchieri da lavare, del vino da travasare o il frigorifero da pulire, poi verso le sei cominciava il flusso dei cosiddetti ospiti. Il primo era sempre mio cugino Aldo, bancario, che aveva più o meno la mia stessa filosofia di vita e la stessa passione per la Juventus…………seguivano a ruota la Cristina, che poveretta si arrabattava per diventare giornalista e la Barbara, perennemente creatura dal cuore infranto ma tutto sommato di grande compagnia pure lei. Eravamo un bel quartetto di amici…..non sessualmente dipendenti l’uno dall’altro e con l’unico intento di passare il tempo in sana allegria. Tra una bottiglia e una pizzetta ingannavamo il tempo con mitiche partite a scopone o a RisiKo. Verso il tardi, spessissimo, cominciavano ad arrivare i miei colleghi di lavoro…..e tra un bottiglia e l’altra si ricominciava a parlare dei problemi della nostra vita di tutti i giorni. La mia cantina, a volte, sembrava essere diventata la succursale del nostro circolo di S. Andrea! Ogni occasione era buona per festeggiare: compleanni, promozioni, festività…..l’importante era di poter disporre di un posto, comodo e ber attrezzato di tutto, per poter concludere in modo adeguato e tranquillo un dura giornata di lavoro. Io ero in grado di cucinare quasi di tutto….si spaziava dalle classiche pizzette ai toast farciti e non, ai tramezzini, ai vassoi di affettati misti, alle uova sode….cicchetteria mista veneziana, insomma……quella che piaceva tanto a me ed ai miei amici. Il buon vino, ovviamente non mancava certo e l’allegria era sempre di casa. Mi piaceva tanto la compagnia in un ambiente che avevo creato secondo i miei gusti ma mi piaceva anche trascorrere nella mia taverna un po’ di tempo in solitudine tra le mie cose; mi piaceva l’odore che permeava il tutto….la musica soffusa….le luci colorate tipo discoteca che si accendevano e spegnevano al ritmo delle note. I ricordi di quel periodo sono bellissimi, certamente tra i più graditi e sereni della mia vita……mancava in quel periodo il cancro dei pensieri e delle preoccupazioni che sarebbe venuto in seguito….insieme alle gioie del matrimonio

CAPITOLO QUIDICESIMO: Capecernia….dice NO!

Si era arrivati alla vigilia di Natale……..e avevo organizzato nella mia tana una simpatica cenetta tra amici….tanto da scambiarci gli auguri tutti insieme. Tra gli invitati c’era anche Francesco che non potendosi muovere da S. Andrea, avendo famiglia e fidanzata a Roma, era altrimenti destinato a passare il Natale solo come un cane.
L’unico problema era che quel giorno Francesco era stato comandato di servizio di Sergente di giornata sull’Isola: avrebbe dovuto, in pratica, controllare che il Caporale di giornata ed il piantone della Compagnia (tutti gli altri erano andati in licenza)……non si ammazzassero uno con l’altro. Casa mia distava dalla caserma non più di venti minuti, era ovviamente dotata di telefono, per cui problemi di far venire il poveraccio a bere un bicchiere di spumante in amicizia non ce n’erano proprio………Ma il Comandante la Compagnia era diventato Lui….l’insensibile, il rigidissimo, l’incorruttibile il glaciale “Capecernia”. Andai io a domandare a tanto personaggio l’autorizzazione a far uscire Francesco per qualche ora, certo di ottenere senza problemi quanto richiesto……eravamo a Natale e si trattava di far in modo di far passare al nostro collega qualche ora in allegria……. Ma lui, glaciale come e più del solito DISSE NO! Non ci fu nulla da fare, provammo tutti quanti insieme a farlo ragionare, cercammo di fargli capire tutte le nostre buone ragioni, gli facemmo vedere che Francesco sarebbe stato reperibile in qualsiasi momento e pronto a essere presente a al proprio posto nel giro di una ventina di minuti nell’improbabilissimo e remotissimo, anzi ipotetico caso che ce ne fosse stato bisogno….ma NIENTE DA FARE!!!! Lui NON VOLEVA CEDERE. Eravamo alle solite….il baldo Tenentino voleva dimostrare una volta di più di fregarsene dei problemi dei suoi sottoposti dimostrando una sensibilità da…………essere totalmente insensibile. Peccato….Francesco rimase da solo a passare una vigilia di Natale molto triste….”Capecernia” dimostrò una volta di più di essere un corpo estraneo a noi Pirati……e una persona in più da quel giorno…si unì al coretto serale: il buon Francesco!

CAPITOLO SEDICESIMO: rifornimento!

A forza di cene, cenette,e menate varie in compagnia, il vino ad un certo punto tendeva a finire…..per cui diventava necessario fare rifornimento. Si trattava di caricare quattro damigiane sulla fedele Mafi….e di andare nella cantina sociale di Bertiolo, in Friuli, a fare il pieno. Era sempre un giorno di festa, mi alzavo all’alba e partivo con il cuore leggiero. Caricate le damigiane, dopo aver fatto il doveroso giro di assaggi, mi attrezzavo per la partenza: dovevo collegare un sistema di cannette di plastica che da ogni damigiana dovevano arrivare fino al posto di guida, una per il rosso, una per il bianco, una per il rosato. Tutte, indistintamente dovevano essere alla portata della mia bocca……avevo infatti paura che durante il viaggio il vino potesse “rovinarsi”…per cui bisognava controllare in continuazione che tutto andasse bene. L’epoca dell’etilometro negli anni ottanta era ancora di la da venire….ed io stavo in verità attento a non esagerare con gli assaggi. Comunque, quando arrivavo al Tronchetto, il buon umore certo non mi mancava. In autostrada mi sembrava che la mia macchina raggiungesse i duecento all’ora……era solo una impressione dovuta all’euforia….ma andava bene così! A casa mi aspettava la dura incombenza dell’imbottigliamento…..mi ricordo il colore rosso rubino del Merlot, la schiuma ribollente che provocava versandolo nelle bottiglie……l’acuto e mielato sentore del Pinot grigio che si espandeva ovunque. Era una operazione faticosa ma bellissima. Ogni tanto assaggiavo….un po’ di questo e un po’ di quello e alla fine, pur stando attento a non esagerare, la palpebra cominciava a calare e le gambe a fare “Giacomo Giacomo”. Finire era un sollievo…non tanto perché la fatica era conclusa, ma perché era una impressione bellissima ed una grande soddisfazione girare per la cantina e godersi lo spettacolo di tutte quelle bottiglie allineate e coperte all’interno di armadi e scaffali! Per un paio di mesi eravamo a posto e si poteva dare inizio alle danze. A volte la rimpiango la mia cantina…..ancora adesso, quando capita, mi bevo un quartino di vino in santa pace nell’angolo della mia cucina, angolo che ricorda un po’ con la sua composizione, quello di una taverna……ma il vino non ha più lo stesso sapore di allora, sarà senza dubbio, l’ambiente diverso, sarà che io non ho più i miei vent’anni………e allora penso: “Dove sei finita giovinezza mia ? ……..te ne sei di sicuro andata insieme alla serenità di un’epoca che non c’è più e mi hai lasciato solo una serie di bellissimi ricordi di un mondo ormai scomparso per sempre ! “

CAPITOLO DICIASSETTESIMO: quella faticosa “dolce attesa”..

Di solito la gravidanza per una coppia di sposini è un periodo carico di aspettativa e di felicità…..di solito ma non per me.
Mia moglie al secondo mese di dolce attesa, si era sentita male a casa di mia suocera ed era rimasta ricoverata in clinica per tutto il terzo mese…….poco male se mia suocera fosse abitata a Venezia, ma abitando a Taranto la faccenda si presentava ben diversa.
Alla fine, a forza di tira e molla avevo convinto il medico a tentare il trasferimento da Taranto al Lido, dove abitavamo. Avevo dovuto reclinare i sedili in modo da formare un piano unico simile il più possibile ad un letto ed ad impegnarmi a compiere il non breve viaggio cercando di evitare nella maniera più assoluta buche e scossoni. Mi ero fatto spiegare dal Sottotenente Medico l’arte di usare le siringhe……nel caso che per la strada fosse stato necessario fare delle iniezioni, ero stato munito dal ginecologo di fiale di antiemorragico e di una sostanza, di nome, se ricordo bene, “VASUPRINA”, atta a bloccare eventuali indesiderate “contrazioni premature” Ero a dir poco terrorizzato……ma mia moglie la volevo accanto a me a casa mia per cui…..…”auguri e figlie femmine”, visto che a me i maschietti non sono proprio mai piaciuti e……...partenza.
Fino a tre quarti di strada tutto sommato era andato tutto bene, ma con il passare delle ore quella poveraccia di mia moglie cominciava a non poterne più…..erano cominciati i dolori seguiti da altri problemini vari…….si era resa necessaria qualche sosta imprevista sulla Romea per far intervenire con urgenza l’infermiere improvvisato: con tutto quello che il dottore mi aveva spiegato prima della partenza, in teoria avrei dovuto essere in grado di far fronte ai problemi più pressanti, perciò fattami forza, dovetti mettere da parte angoscia, paura e preoccupazione…….e darmi da fare con il sorriso tra le labbra per non peggiorare la situazione. Riuscii a fare una iniezione, senza problemi, un’altra poco dopo, seguita in rapida successione da una terza. Alla fine avevo tamponato il guaio che si stava manifestando ma, ora era necessario arrivare a casa il più presto possibile per permettere a mia moglie di godere della immobilità di cui aveva estremo bisogno
In Romea vige tutt’ora il limite dei novanta all’ora……..la mia “Horizon 1300” ne faceva centosettantacinque….e tale velocità mantenni fin dove era possibile. Alla fine, Giovanna la portai finalmente sul suo letto e con Denise ancora con lei, anche se stava continuando a fare di tutto di tutto per uscire alla luce ben sette mesi prima del previsto. E’ sempre stata una ragazza testarda, ma…..quella volta nascere era per lei decisamente troppo presto, per cui dovetti la notte stessa portare mia moglie, e quella rompiscatole di mia figlia, di corsa in ospedale……da dove non sarebbero più uscite per i prossimi sei, dico SEI mesi.
Riuscire a conciliare il lavoro di responsabilità che facevo sull’Isola con i problemi familiari/ospedalieri non risultava certo una faccenda semplice……ottenere dei brevi permessi da “Testadura” non era certo una cosa agevole, per cui mi ero ridotto ad alzarmi presto la mattina, passare una decina di minuti per l’ospedale a controllare l’evolversi della situazione, andare al lavoro, alla pausa pranzo che all’epoca era di ben due ore, saltare il pranzo, prendere il topo e tornare in ospedale, ritornare al lavoro, alle cinque ritornare da mia moglie e finalmente alle otto di sera arrivare a casa….a fare il resto e forse a mangiare! E questo tutti i giorni….TUTTI I SANTI GIORNI per sei lunghissimi mesi !
Il guaio era che ero costretto, ogni tanto, a montare pure di servizio armato e Giovanna rimaneva allora sola con se stessa e i suoi pensieri per due lunghissimi giorni, senza mai nessuno che venisse a trovarla!
Era veramente necessario avere dei nervi di acciaio per mandare avanti la baracca….erano finiti per sempre i tempi beati della bisboccia! Non era certo la fatica o la mancanza di sonno a spaventarmi, ma il terrore di non riuscire a dare abbastanza alla persona amata. Quando poi mancavano due o tre giorni all’evento tanto atteso, mi misi in ferie per poter essere vicino il più possibile a mia moglie, ma Denise, che in passato era stata così ansiosa di venire al mondo, aveva deciso di prolungare il suo contratto di affitto con la pancia di Giovanna a tempo indeterminato. Il giorno previsto per il parto era venuto……..e anche passato, senza che niente si muovesse più. Intanto i giorni di ferie trascorrevano inesorabilmente e si avvicinava il momento di tornare al lavoro con un clamoroso nulla di fatto……quando, una sera, finalmente Denise ebbe lo sfratto esecutivo e venne finalmente alla luce (luce poca, veramente….visto che quel mattino, alle sette, c’era un nebbione da tagliare col coltello!). Finalmente, dopo tanto penare, pensavo quel giorno di poter……………..prendere finalmente tra le braccia il mio frugoletto. ERRORE!!!!! Ero infatti sventuratamente capitato con la più carogna tra le caposala, infermiera degna di trovarsi tra le Capò dei lager Hitleriani…….i bambini NON si potevano toccare nel modo più assoluto, si potevano invece vedere per mezz’ora al giorno dietro una vetrina tanto spessa che a prenderla a testate mi sarei ammazzato senza scalfirla. Non c’era niente da fare…..avevo trovato, incredibile a dirsi, un altro maledetto “Testadura” e per avere finalmente mia figlia in braccio dovetti attendere una intera settimana………. il giorno del congedo, anzi, scusate …….il giorno della dimissione di mia moglie dall’ospedale.




CAPITOLO DICIOTTESIMO: il mio yact personale

Quando mi venne consegnato il vaporetto per la prima volta, ebbi le stesse sensazioni di quando misi per la prima volta le mani sulla Mafi.
Si trattava di una imbarcazione grande, dotata di una ampia e comoda cabina di comando riscaldata, completa di due apparati radio, uno militare ed uno civile, di radar e di ecoscandaglio…..era una meraviglia era il mezzo che avevo sempre sognato di guidare fin da bambino. Ovviamente avevo cominciato a riservargli le stesse cure che avevo dato alla mia automobile…….pretendevo che nessuno salisse a bordo con le scarpe piene di fango, impedivo a chiunque di mettere le mani su finestrini ed arredi, urlavo come un matto se qualcuno si azzardava a fumare una sigaretta in cabina. Consideravo il vaporetto come mia proprietà personale e guai a chi me lo toccava! Avevo portato in cabina di guida una calcolatrice elettronica, un orologio da parete, una agenda, un completo per cancelleria, libri e riviste inerenti la navigazione in laguna, un Crocifisso da appendere alla paratia e un portachiavi artistico a cui erano appese le chiavi, in doppia copia, di ciascun locale del natante.Presiedevo alla manutenzione spicciola, verniciatura e lucidatura degli ottoni….e a tutto quello che poteva riguardare le eventuali migliorie per tale mezzo. Alla sera, al rientro dei militari dalla libera uscita a volte me lo guardavo fermo al pontile con il motore già in moto e le luci tutte accese………ne ero indubbiamente attratto ed affascinato. Non mi importava se si era dimostrato fin dall’inizio una barca difficile da guidare, scarsamente maneggevole e a volte anche pericolosa in manovra………era sempre e restava uno dei desideri della mia vita che si era realizzato. Con lui ho percorso la laguna in lungo e in largo, con tutte le condizioni atmosferiche avendo imparato, con l’aiuto appassionato del solito Maresciallo Roberto, anche ad usare il radar…..e navigare con il suo timone tra le mani per me è sempre stata una esperienza molto importante e appagante.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO: Rocchino ed i servizi di Battaglione……

Tra le varie altre, numerose incombenze, il buon Rocco, detto Rocchino, aveva pure quella di redigere i servizi armati per Ufficiali e Sottufficiali. Raramente ho conosciuto un collega con uno spirito di sacrificio e di collaborazione pari al suo; lui si fermava a lavorare fuori orario, il sabato e talvolta la domenica anche quando l’orario di servizio non prevedeva le ore straordinarie da mettere in pagamento o da recuperare a casa……….lui era sempre tappato nel suo ufficio e svolazzava da una pratica di maggiorità all’altra, senza pausa di sorta Il circolo per lui non esisteva, per lui c’era sempre e solo il lavoro. Non so bene perché facesse tutto ciò…..non era certamente un esibizionista o uno che voleva farsi vedere bravo per qualche tornaconto personale; lui, penso io, si sentiva un servitore dello Stato e faceva di tutto, anzi di più per caricarsi di lavoro in maniera incredibile. E’ sempre stato per me fonte di ammirazione, anche se in definitiva non riuscivo proprio a capirlo……comunque, come avevo sopra accennato, si occupava anche della difficile faccenda di farci montare di servizio armato. Non era mica una faccenda semplice! Bisognava tenere conto di tutto: del grado, della anzianità, vedere quando si era effettuato l’ultimo servizio, vedere quando si erano programmate le ferie (perché da noi al “Sile” prima veniva il piacere della licenza e poi, solo poi, il dovere del servizio !!!) e stare bene attenti ad eventuali casi di forza maggiore come impegni improvvisi ed inderogabili e malattie di vario tipo.
Il nostro eroe doveva poi tener conto del cambi di servizio fatti da noi….della serie:” Oggi io faccio il tuo…domani tu fai il mio”. Era tutta una serie di tasselli che dovevano infallibilmente andare al proprio posto.
In prossimità delle ferie di Natale era un fiume ininterrotto di colleghi che andavano a rompere l’anima per vedere, anzi prevedere quando avrebbero potuto avere il tanto odiato servizio festivo, o se per loro fortuna ne erano ancora lontani……...e il povero Rocco doveva ogni volta lasciare quanto stava facendo, per accontentare noi impenitenti rompiscatole! Mai si lamentava, accontentava sempre tutti con grandissima disponibilità e gentilezza. A volte capitava di dover sostituire all’improvviso qualche collega più o meno ….indisposto, ci si trovava in pratica a correre in armeria all’improvviso, munirsi di cinturone e pistola e prepararsi a godersi una notte all’impiedi: con chi lo sfigato se la pigliava allora ??? ma con il povero Rocchino ovviamente che non ci lasciava mai in pace….!!!

CAPITOLO VENTESIMO: i considerazioni spicciole

Cosa vuoi fare da grande? E’ questa la domanda che tutti si sentono fare con insistenza appena i grandi si rendono conto che il povero bambino è in grado di mettere insieme un qualche tipo di risposta…….I mestieri desiderati e sognati, lo conferma una indagine doxa, sono….sempre gli stessi e spaziano dal pilota, al dottore, al ferroviere, all’astronauta…….. sono ovviamente quelli che colpiscono di più la fantasia infantile. Quando però, il povero bambino si rende conto che per poter realizzare tali sogni bisogna studiare come matti ed impazzire per gli anni più belli della propria vita sui maledetti libri……..la faccenda spesso cambia e le ambizioni vengono immancabilmente ridimensionate! Io mi ero reso conto, fin da molto piccolo, della realtà delle cose…..avevo mirato a compiere gli studi indispensabili per avere un grado di cultura accettabile e poi….….si sarebbe visto. Avrei forse desiderato laurearmi in lettere per dedicarmi all’insegnamento, ma purtroppo mi feci convincere da mio padre ad iscrivermi alla facoltà di Agraria a Padova. Sarà stata certamente la laurea del futuro, non dico certamente di no…..ma a me, occuparmi di piante, colture e animali passando attraverso a spaventosi esami di Matematica, materia maledetta che fatta la maturità scientifica avevo giurato di dimenticare…………non andava proprio. Per cui tiravo avanti per forza d’inerzia fino al giorno in cui decisi di darci un taglio intraprendendo la carriera militare.
Devo dire la verità che la mia si è rivelata tutto sommato una scelta azzeccata, sono stato veramente fortunato…..ho avuto come tutti in tutti i mestieri, le mie belle gatte da pelare, le mie belle arrabbiature me le sono prese anch’io ma tutto sommato ho sempre fatto quello che volevo……..evitando alla grande ciò che mi stava indigesto !!! La retribuzione è stata sempre adeguata, le ferie sempre abbondanti ed anche se il lavoro spesso e volentieri è stato gravoso e carico di responsabilità, mi sono sempre trovato realizzato ed a mio agio. Realizzato, perché ho avuto la fortuna non da poco di riuscire a prendermi dei brevetti che nella vita civile non avrei mai avuto l’occasione di ottenere, a mio agio perché la vita militare a S. Andrea….di militare aveva solo lo stretto minimo indispensabile! Non sono certo come quelli che sputano nel piatto dove mangiano, io dal mio lavoro ho avuto tantissime soddisfazioni e poche, pochissime rogne, per cui è stato più facile per me, dare tutto quello che potevo, anche per soddisfazione mia personale

CAPITOLO VENTUNESIMO: tradimento !

Un bel giorno di luglio, mi ero recato con la mia fedele Mafi dal concessionario per il cambio delle pastiglie dei freni. Per ingannare l’attesa avevo buttato l’occhio su un nuovo modello di autovettura uscita da poco….la “Horizon 1300”. All’inizio la stavo guardando con una buona dose di scetticismo, la mia Mafi per me era la più bella del mondo…..ma accidenti,guarda guarda…….il nuovo modello ha gli alzacristalli elettrici, le chiusure centralizzate, i poggiatesta regolabili e poi è un milletrè, mi invogliò il proprietario della concessionaria, e raggiunge i centosettantacinque all’ora…..mica i centotrentacinque con la spinta come la mia. In salita poi, che era il punto debole del mio millecento….. era una bomba! Era anche disposto, con modiche e comode rate (chissà perché le rate sono sempre …comode?) a finanziarmi l’intero importo, accettando come acconto la mia…..era un affare! Tra la povera Mafi e la nuova non c’era proprio paragone, per cui……..saltai il fosso e perfezionai l’acquisto. Effettivamente tra una e l’altra, la differenza c’era, eccome ma, passato il primo impeto di entusiasmo, cominciai a pensare, OLTRE ALLE “COMODE” RATE DA PAGARE a….. che cosa ne sarebbe stato della povera Mafi……a .chi mai se la sarebbe comprata, a come l’avrebbe trattata il nuovo proprietario lei che era abituata alle mie assidue ed amorevoli cure Mi sentivo di averla tradita…..un momento catalizzatrice di amore ed il momento successivo sbolognata al miglior offerente! Mi sentivo veramente in colpa, certo era solo un oggetto….ma era stata fino a qualche attimo prima oggetto dei miei sogni……..come è crudele ed ingrata la natura umana !

CAPITOLO VENTIDUESIMO: montagna

Essendo mio padre ed io nemici giurati del maledetto mare…..le ferie le passavamo sempre in montagna, anzi mio padre da quando era andato in pensione aveva affittato per tutto l’anno una villetta nel Trentino e praticamente si era trasferito li. All’inizio la macchina non ce l’avevo ancora, per cui per arrivare a destinazione ero costretto a prendere, l’autobus, il motoscafo, il treno, il pullman……e, come gran finale, sciropparmi più di qualche volta, dodici chilometri a piedi scavalcando un passo montano. Mi ricordo che tutto questo traffico non mi dispiaceva più di tanto, il camminare in mezzo alla natura mi è sempre piaciuto e poi era un sensazione bellissima quando finalmente giungevo in paese. Arrivavo sempre verso le due di pomeriggio e pur avendo a casa pasta, riso, pelati carne congelata sempre pronti, aspettavo impavido e sempre più affamato le tre e mezza quando apriva il negozietto di alimentari, per fare un po’ di spesa……..di quella che dicevo io ! Gli acquisti erano sempre quelli: due etti di crudo, due di cotto, due di ossocollo, due di stracchino…… sei cioppe di pane morbido……..Quando arrivavo a casa mi tremavano le mani dalla fame: preparavo con ansia i sei panini di rito, dopo esser passato in cantina a prelevare una bottiglia di “merlot” e…..via col lisssio !!!!
La casa era molto bella ed era immersa in un panorama da sogno, a me poi la montagna piaceva sempre, di giorno e di notte…….ed in tutte le stagioni. C’era sempre una sensazione di pace e di tranquillità che faceva bene all’anima. Arrivata poi la tanto sospirata macchina, era cominciata la lunga serie delle gite: arrivavo con la Mafi fin dove era possibile e poi via! su e giù per i rifugi a godersi le meraviglie della natura. A volte, finita la settimana a bordo dell’M.T.M., dopo aver visto per cinque giorni acqua e solo acqua, volavo a casa, salivo in macchina, prendevo il ferry e arrivato al Tronchetto……in un’ora e cinquanta al massimo ero tra i monti, dove a parte Heidi…….non mi mancava nulla. Quanti libri ho letto in quegli anni: mi distendevo sulla terrazza in legno riscaldato dal sole……con una enorme fetta di formaggio di malga in una mano ed il fedele libro nell’altra….vita beata !

CAPITOLO VENTITREESIMO: Malcontenta

Dopo la morte del mio “Sile”, ero stato trasferito d’autorità…..a Malcontenta, nel regno dei militari perfetti e con l’incarico, mai da me svolto in tanti anni sull’Isola, di “Comandante plotone fucilieri”!
Dire che ero incazzato e spaventato allo stesso tempo era a dir poco. Mi venivano in mente le esperienze negative che avevo avuto in passato ogni volta che avevo avuto occasione di vedere come a Malcontenta fosse diverso il tipo di vita da quello a cui ero stato abituato tra i Pirati. Per fortuna però, anche a Malcontenta tante cose col tempo, avevano cominciato a cambiare…..certo marciavano sempre e bene, facevano le adunate e tutto funzionava come un orologio…..ma tante cose erano cambiate anche li, e poi non ero più il povero sergentino appena fatto…..mi mancava qualche mese per passare Maresciallo e avevo cominciato ben presto a cercar di fare, piano piano, un po’ alla volta……le stesse cose che ero stato abituato a fare da sempre e, soprattutto a NON fare quelle che non mi erano per nulla gradite: Molto presto cominciai a girare senza basco, poi in anfibi di tela……ripresi l’abitudine di disertare le odiatissime adunate……trapiantai insomma lentamente ma costantemente il mio modo di vivere da S. Andrea a Malcontenta. Ovviamente il “Comandante di plotone fucilieri”….…lo feci fare a qualcun altro e colta l’occasione riuscii un bel giorno ad imboscarmi in cucina. Visto e considerato che l’epoca delle barche era per me purtroppo definitivamente tramontata, vidi l’occasione di potermi dedicare a realizzare un altro dei sogni della mia vita……fare cioè il cuoco! Qualcuno potrebbe obiettare che il sottoscritto avesse scambiato le Forze Armate per la “fabbrica dei sogni”……e probabilmente avrebbe ragione ma, visto che i sogni me li facevano realizzare….andava bene così!
A casa, avevo sempre cucinato per amici e parenti, ero considerato il re dei tramezzini e dei risotti e avevo in pratica raccolto l’eredità, l’univa cosa buona che in effetti mi aveva lasciato, di mia nonna che aveva per anni mandato avanti un ristorante. Certo cucinare per gli amici e per i parenti era ben diverso che essere in grado di imbastire un pranzo per quattro o cinquecento anime, ma tutto si poteva imparare! In definitiva il tanto temuto “trasloco” a Malcontenta si era rivelato tutto sommato, molto più indolore del previsto e la mia vita poteva continuare più o meno con i ritmi cui ero da sempre abituato. S. Marco!!!

CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO: Vita …da caserma!

Da quando mi ero sposato, la mia vita, anche familiare, era stata sempre più a contatto con il mio lavoro. Mi era stato concesso, finalmente, l’alloggio Demaniale in un appartamento, guarda caso, che era situato muro con muro con la caserma di Malcontenta dove prestavo e presto tutt’ora servizio. Le finestre delle camere davano direttamente nel cortile prospiciente il fabbricato della cucina, per cui bastava un mio fischio per far comparire mia moglie alla finestra. Ero veramente “casabottega”. Posso dire senza timore di sbagliare, che Beatrice è stata “concepita”…..…in caserma!.Erano ancora i bei tempi in cui esistevano ancora i circoli, e per forza di cose, abitando praticamente in caserma, anche la mia famiglia era quasi stata assunta in forza dal Battaglione: la domenica portavo Denise a correre in bicicletta, senza l’incubo ed il pericolo delle macchine di passaggio, su e giù per i viali alberati; alle undici con mia moglie prendevamo l’aperitivo in Circolo Sottufficiali e facevo fare a mio figlio più grandicello il giro della caserma, per fargli vedere da vicino e toccare con mano, camion e carri di cui andava matto. Avevo fatto battezzare Beatrice, l’ultima arrivata in famiglia, nella chiesetta della caserma dal nostro Cappellano militare ed avevo offerto un megapranzo agli invitati nel salone del Circolo, affittato per l’occasione. L’ultimo dell’anno partecipavamo al veglione di S. Silvestro organizzato per Noi e Famiglie…..…eravamo veramente facenti parte di qualche cosa di molto bello. Come a solito, quando potevo dedicarmi a qualche cosa che mi piaceva, mi gettavo nel lavoro a testa bassa. Facevo i turni in cucina e naturalmente, abitando a due passi, per ogni esigenza particolare venivo chiamato io e, ben volentieri, mi precipitavo a cucinare per chi arrivava all’improvviso. Mio figlio Domenico aveva un rapporto difficile con la matematica ed un carattere un po’ ribelle, per cui per farlo studiare e per tenerlo sott’occhio, tante volte quando facevo il turno serale, me lo portavo in magazzino viveri, li con me, dove tra una merendina ed un gelato, riuscivo a fargli fare i compiti che la maestra gli aveva assegnato. Mi ricordo che un Natale, dovendo preparare il cenone per i militari di servizio, coinvolsi tutta la mia famiglia nei preparativi…….Giovanna si occupò di preparare le tavole, ed i miei figli di corredare il tutto con luci e festoni mentre io mi affannavo a cucinare. E’ stato un periodo della mia vita tutto sommato bello e colmo di soddisfazioni.

CAPITOLO VENTICINQUESIMO: tradimento mancato

Che dovessi tradire la Mafi…era certamente scritto da qualche parte, visto che già l’anno prima ci avevo già provato….anche se poi mi era andata male, per un pelo ma…..…male. Mi ero recato con tutta la famiglia a Feltre dove ogni venerdì veniva fatto il solito mercato. Lasciate le donne a fare le loro rituali spese, ero entrato nella solita concessionaria con mio padre per cambiare l’olio della macchina. Il proprietario, che aveva l’occhio lungo ed il senso degli affari e che mi conosceva bene, ci spinse a vedere l’ultima nata della famiglia…..la mitica “Simca 1308 gt”. Era, per l’epoca quanto di meglio si potesse desiderare: millecinquecento di cilindrata e completa di tutti quegli accessori che facevano impazzire il sottoscritto….un vero gioiello. Mio padre si era stranamente fatto coinvolgere da tanto lusso ed io lasciai, ben volentieri, che il padrone della concessionaria se lo lavorasse elegantemente ai fianchi! Mi sembrava un sogno…..stavo per diventare proprietario di una macchina che mi faceva veramente impazzire. Mi vedevo già tornare al Lido al volante di tanta bellezza e lasciare di stucco l’Alessandra, che di recente mi aveva lasciato e che disperatamente stavo cercando di riconquistare! Il contratto era già sulla scrivania, compilato epronto per la firma che mio padre stava per apporre con tanto entusiasmo, quando ecco inopinatamente comparire in ufficio….…madre e sorella maggiore! Convinto che anche loro avrebbero reagito con tanta gioia alla bella notizia, le misi a parte di quanto padre e figlio stavano combinando, ma la reazione fu da ambedue davvero glaciale:“Ma cosa state facendo….siete diventati matti? La macchina ce l’abbiamo già…..l’abbiamo comprata solo due anni fa……è una inutile pazzia!!!!!”. Tanto dissero e tanto fecero che la penna che mio padre già stava stringendo in mano per la firma, ebbe una sorta di paralisi e si appoggiò stancamente sulla scrivania senza aver compiuto il suo dovere. Maledetto mercato che quel giorno non aveva niente di bello per trattenere le mie donne per altri cinque benedetti minuti……..accidenti alle donne che alla fine hanno sempre ragione e fanno fare ai mariti ciò che vogliono! Fatto sta che invece di tornarmene a casa, come sarebbe stato giusto, con il nuovo acquisto…..dovetti accontentarmi della mia vecchia macchina….si improvvisamente per me era diventata vecchia, perchè avevo visto, toccato con mano e sopratutto………quasi posseduto qualche cosa di infinitamente più bello! Ripensandoci bene, a mente fredda, dovetti riconoscere che mia mamma poteva anche aver avuto ragione….MA NON CAPIRO’ MAI TE, BIANCA, CARA SORELLINA MIA, PERCHE’ ALMENO QUELLA VOLTA NON TE NE SEI RIMASTA ZITTA…..non pretendevo aiuto….ma il silenzio, in quella occasione….almeno si!

CAPITOLO VENTISEIESIMO: spirito di adattamento

No so se fui io a dovermi adattare ai ritmi di Malcontenta o Malcontenta a doversi abituare a me ed alle mie fisime……probabilmente un po’ l’uno ed un po’ l’altro. Io continuavo indisturbato a “viaggiare” per i cavoli miei, vestivo come più mi aggradava fregandomene altamente di come avrei dovuto apparire formalmente. Venni ripreso una, due, tre volte finchè tutti si rassegnarono ad accettarmi così come ero fatto….….dopo quattordici anni di S. Andrea cosa si poteva mai pretendere? Nello stesso tempo anch’io mi ero rassegnato per forza di cose, a fare qualche cosa che al “Sile” avevo accuratamente evitato di fare…….partecipare cioè, a qualche campetto in Friuli ! Non potevo certo dire sempre No a tutto. Oltre al resto, essere responsabile di una mensa in zone di operazioni per una settimana o giù di li, era anche fonte di grande soddisfazione. Fino a quando si trattava di qualche giorno tutto andava bene…..ero a capo di un gruppo di cucinieri sempre ben affiatato e si lavorava, tanto, d’amore e d’accordo con sana allegria. Ho sempre avuto la soddisfazione di aver fatto mangiare tanta gente, bene e con abbondanza, anche nelle condizioni più avverse ed il mio operato è sempre stato ben giudicato. Però, al sottoscritto NON si poteva e doveva domandare più di qualche giorno della sua vita, la mia autonomia di lontananza dalla famiglia era limitata a non più di una settimana, dieci giorni al massimo. Ho sempre evitato con la massima cura i campi che si prolungavano nel tempo:i maledetti “Vespri Siciliani” di tre mesi, le stramaledette missioni all’estero…..NON ERA ROBA PER ME!!!!!! Ero dispostissimo a lavorare come un negro…..ma a casa mia, nella mia caserma! L’unica volta che fui costretto da un Comandante particolarmente testardo, a recarmi in Sardegna, ci andai ma solo dopo aver da Lui ottenuto la promessa di far ritorno a casa al massimo dopo quindici giorni…..e così fu …un colpo alla botte ed uno al cerchio!!!! Per la pace di tutti!!!

CAPITOLO VENTISETTESIMO: gita a Griciniano…..

Un’altra cosa che a S. Andrea non avevo mai avuto occasione di fare, era stata la cosiddetta “scorta armata” ad un treno….. Non era nemmeno passata una settimana dal mio trasferimento a Malcontenta che mi capitò subito, come nuovo arrivato, tale incombenza. Dovevo in pratica comandare una squadra di quattro o cinque lagunari (ancora quelli di una volta……quelli “antica razza Piave”, da Venezia a Griciniano e viceversa. In stazione a Mestre, trovai per fare i biglietti, un impiegato dotato di una estrema cortesia….ma che non aveva la più pallida idea di dove fosse situato ‘sto cavolo di paese! Prima lo confuse con Grisignano che si trova mi pare dalle parti di Vicenza…..ma accorgendomi che non si trattava del paese richiesto, si attaccò al telefono per domandare informazioni……Alla fine risultò trattarsi di una località situata nel napoletano, all’incrocio di due linee ferroviarie, in mezzo come scoprii in seguito, alle coltivazioni di pomodoro S Marzano, praticamente in “tanta malora”!!!! Comunque, poco male. Viaggiammo per tutto il viaggio di andata in prima classe, in uno scompartimento a noi riservato e scendemmo giusto in tempo per poter prendere in consegna quanto dovevamo scortare fino a Venezia. Mi ricordo che fummo anche invitati a pranzo nella piccola cucina del magazzino dove il nostro carico era conservato: i militari che lavoravano li stavano già mangiando non so bene cosa, in condizioni da far schifo ad una tribù di aborigeni……….acqua lurida che scorreva a terra da una tubatura rotta che nessuno si degnava di aggiustare, grumi d sporcizia ovunque e il tutto condito da una puzza nauseante…….roba da matti….accidenti una volta di più a Napoli ed ai Napoletani di tutto il mondo! Naturalmente declinammo gentilmente l’invito e preferimmo per quella volta…..rimanere a bocca asciutta. Dopo un paio di ore, ovviamente con la dovuta calma, il vagone il cui contenuto dovevamo scortare, fu agganciato al primo treno merci di passaggio che si doveva recare verso il Nord….verso casa. A bordo del vagone postale, dove ci eravamo più o meno sistemati…..di quello che c’era non mancava niente: c’erano le porte che si aprivano regolarmente, non mancava un solido pavimento di legno, c’era sopra le nostre teste un robusto ed impermeabile tetto e faceva bella mostra di se una stufa a legna perfettamente funzionante, a cui però mancava solo un piccolo particolare…..la legna!!!! Fino a quando il caldo sole del Sud scaldava, si stava anche bene, ma essendo in novembre, di notte c’era da batter brocche!!!! Per compiere il viaggio, che all’andata ci aveva portato via solo dodici ore………ci impiegammo ben tre giorni e due notti e, per massimo della sfiga, arrivammo a Mestre di venerdì pomeriggio, quando tutti gli operai addetti allo scarico del vagone…… se ne erano già andati a casa per il fine settimana: per cui due altre belle notti da trascorrere su di un binario morto al freddo e con la beffa e la rabbia di essere arrivati davanti alla porta di casa…..e di non poterci ancora entrare!!!!

CAPITOLO VENTOTTESIMO: passeggiata a cavallo

Tra gli assidui frequentatori della mia cantina, non poteva mancare certamente il buon Emanuele……anzi era quello che ogni tanto tirava fuori qualche idea strampalata, come quella volta che volle a tutti i costi coinvolgerci……in una Fantozziana “passeggiata a cavallo” Avevo per mesi cercato di resistere a tale insana follia ma poi per non ostacolare in maniera troppo evidente il desiderio di tutti, avevo di malavoglia acconsentito a prestarmi alla bisogna. Arrivato finalmente il gran giorno ci presentammo al maneggio in gruppo compatto……la Barbara, provetta cavallerizza, Aldo, entusiasta di tutte le cose nuove, Emanuele che essendo di casa ci precedeva, la Cristina che come al solito ciarlava in continuazione…….io che contrario all’idea fino dall’inizio avevo acconsentito allo scempio, promettendo però, come al solito, di fare tutto di testa mia. A parte la Barbara che come avevo detto, era del mestiere, venimmo tutti e quattro più o meno caricati a bordo, ciascuno del proprio animale e cominciò l’avventura……Andare al passo tutto sommato ricordava un po’ essere a bordo di un gommone, c’era si qualche scossone, ma si poteva sopportare. La mia povera bestia era tutto sommato molto dolce e tranquilla, era si un maschio che però, poveraccio, nel corso della sua giovinezza…..aveva perso qualche cosa per strada, fatto questo che lo rendeva, fortunatamente ancora più tranquillo. Presa confidenza, i miei baldanzosi amici tentavano già di cimentarsi in un accenno di trotto tantoper provare l’ebbrezza della velocità. Io invece, che non avevo proprio nulla della spirito di Bufalo Bill, preferii parcheggiare il ronzino presso una piazzola di sosta, permettergli di brucare l’erba in santa pace, (così che non rompesse gli “attributi” a me visto che i suoi, povera bestia, non gli aveva più da un pezzo) ed aspettare in groppa, considerando che non sapevo scendere senza aiuto. Intanto potevo ingannare il tempo leggendo il giornale e consumando una lattina di birra e un paninazzo che mi ero portato dietro….ad ogni buon conto, .ben immaginando dove sarei andato a parare. Gli altri che trottassero pure……che Toro Seduto stava facendo colazione in santa pace!!!! Alla fine, dopo tanto trottare, qualcuno pensò bene di venire a recuperare me e ronzino accluso, e di farmi finalmente scendere sulla terra ferma. Tutto sommato non era andata affatto male…..avevo condiviso un tutto sommato piacevole pomeriggio con un animale che non mi aveva dato nessun fastidio, avevo letto il giornale in santa pace, mi ero anche debitamente rifocillato e, sopratutto……IL GIORNO DOPO NON AVEVO AVUTO I LANCINANTI DOLORI AL CULO CHE AVREBBERO PERSEGUITATO (BARBARA ESCLUSA) I MIEI BALDI AMICi PER ALMENO VENTIQUATTRO ORE!!!!!!!!!

CAPITOLO VENTINOVESIMO: il mio ristorante personale

Come al solito, anche questa volta, avevo fatto le cose a modo mio……passato il primo periodo, il tempo necessario per imparare a cucinare per le grandi comunità, mi ero lanciato a capofitto nell’arte culinaria. Visto e considerato che far da mangiare per quattrocento persone voleva dire rinunciare ai cosiddetti perfezionismi, mi ero dedicato a cucinare per i colleghi Ufficiali e Sottufficiali, che essendo una cinquantina a farla grande, mi davano la possibilità di sbizzarrirmi nella confezione di piatti più ricercati. Eravamo organizzati proprio bene: Fernando e Flavio si occupavano, con i cucinieri, della truppa…….io me la vedevo con i colleghi. Certo che grazie alla mia passione li avevo abituati proprio bene…….tre primi piatti, tre secondi ed una marea di contorni caldi e freddi che cambiavano sempre. Prediligevo, in verità, la cucina veneta così ricca di paste e di minestre…..ma non disdegnavo anche molti piatti meridionali che avevo imparato a conoscere e a gustare, a casa di mia suocera Taranto. Il massimo di me stesso lo davo ai pranzi che bisognava approntare in occasioni particolari, soprattutto quando bisognava cercare di addolcire la bocca di qualche ispettore che non aveva trovato ogni cosa al suo posto…. Si trattava in quelle occasioni di banchetti in piena regola, completi dagli antipasti di pesce ai dolci! E la soddisfazione era sempre garantita. Tante volte, invece mi dedicavo a preparare qualche cosa di speciale per noi del vettovagliamento……ci riunivamo in magazzino viveri e via a mangiare a più non posso quello che preparavo espressamente per noi!. Mi ricordo benissimo che il nostro indimenticabile Capitano, il mitico K.K., era capace di farsi fuori da solo almeno mezzo chilo (da crudi) di spaghetti alla carbonara, quelli fatti con sei uova, trecento grammi di pancetta, una più che adeguata dose di burro, formaggio parmigiano in abbondanza…….ed una manciata di prezzemolo per dare un po’ di freschezza al piatto, il tutto seguito da una dose di bottigliette di liquore al caffè che poteva variare da un minimo di sei ad un massimo non quantificato per carità di Patria. Mi viene in mente il mio collega, sottufficiale ai viveri, il buon Bepi…..che non sapeva più, a forza di panini superimbottiti e grappe, dove mettere la debordante pancia. Mamma mia! Quanto si mangiava e quanto si stava in allegria!!

CAPITOLO TRENTESIMO: camerieri…per caso

Eravamo pericolosi….non avremmo mai dovuto essere lasciati da soli! In Sardegna, dopo il primo periodo di adattamento, mi ero anche stufato di cucinare per tutti, visto che dopo mangiato nessuno mi voleva mai aiutare a fare i piatti e, se usavo piatti di carta, a buttarli PER LO MENO in spazzatura! Per cui, dopo aver un bel giorno fracassato per protesta una pila di ceramiche miste, era diventata nostra abitudine pranzare nel ristorante sotto casa. Si, eravamo solo dei Sergentini, ma eravamo pieni di soldi. Tra stipendio e indennità di missione, non ci potevamo certo lamentare per cui, visto che nelle faccende di casa NESSUNO mi voleva aiutare e considerato…… CHE SI VIVE UNA VOLTA SOLA, spesso e volentieri si pranzava al “Flat Hause”….serviti e riveriti. A forza di dai e dai eravamo diventati amici dei padroni ed un bel giorno tra una cosa e l’altra venimmo a sapere che, dovendo vettovagliare due comitive di turisti, erano a corto, anzi erano proprio a terra con il personale di servizio. Che fare? Noi il sabato e la domenica eravamo liberi cittadini, finendo la scuola il venerdì a mezzogiorno. Potevamo essere forse di qualche aiuto?……ma si: “Butemose! I camerieri li facciamo noi”!!!!! La nostra offerta venne prontamente accettata, anche se di servire a tavola in ristorante non ne avevamo nessuna esperienza…….ma in fondo che cosa ci voleva,i menu erano programmati, non si dovevano prendere gli ordini, bastava portare con un po’ di buona grazia quello che era previsto, e tutto finiva li! In teoria quello che c’era da fare, era di una estrema facilità. Avevo per l’occasione acquistato un paio di calzoni nuovi che però avevano il difetto di essere troppo lunghi. Accorciarli a regola d’arte non si poteva, ripiegarli su se stessi mi facevano sentire ridicolo. L’unica alternativa era quella di tagliarli di brutto…….tanto chi poteva notare se il taglio era o no dritto al cento per cento! Emanuele a vedere tanto scempio aveva fatto finta di non guardare e se n’era andato per i fatti suoi, ma io, testardo avevo cominciato a tagliare, con il rischio di ritrovarmi tra un aggiustamento e l’altro …….con un paio di bermuda. Le due comitive. Erano una di Torino e aveva il menu a base di pesce, l’altra di Padova con il menu più economico a base di carne. Noi eravamo ormai in Sardegna da più di un mese, e a sentir delle persone parlare veneto dopo tanto tempo, ci aveva fatto venire letteralmente le lacrime agli occhi. Anche se non erano certamente “fatti miei”, l’ingiustizia dei due menu così diversi mi pareva mostruosa. Perché dei campagnoli Torinesi dovevano mangiare pesce e dei nobili cittadini veneti accontentarsi solo della carne???? Ci penso io…..invertiamo il menu! Emanuele, o perché la pensava NEL MIO STESSO MODO, o perché costretto dal mio comportamento…….mi diede corda e si comportò come me…… Per fortuna i due pranzi erano stati concordati e decisi da due tour turistici differenti e mentre i torinesi avevano solo fretta di mangiare e di andarsene, i Padovani, ben contenti di poter approfittare di un così ricco menu, si buttarono con gioia su tanta grazia. Nessuno per fortuna si accorse di nulla……tranne ovviamente i nostri conterranei, che avendo compreso l’inganno non la finivano più di ringraziare. Alla fine del pranzo, quando tutti se ne furono fortunatamente andati in grazia di Dio, i padroni non sapevano più come ricompensarci visto che non volevamo assolutamente essere pagati………a noi bastava solo essere stati utili, esserci divertiti……e , la cosa più importante…..NON ESSERE STATI SCOPERTI!!!!

CAPITOLO TRENTUNESIMO: da cameriere….a cuoco

Dopo qualche tempo dalla nostra avventura di camerieri….i padroni del solito ristorante se ne andarono in ferie per una settimana, lasciando tutto in mano ai due figli. Uno avrebbe dovuto fare come al solito il cuoco, la sorella invece occuparsi del servizio a tavola. I primi giorni della settimana tutto era filato via liscio, ma la sera dell’ultimo giorno il figlio maggiore, che aveva contratto una gran brutta influenza, si sentì male, ma tanto male al punto che la sorella dovette piantare baracca e burattini ed occuparsi solo del “recupero“ dell’infortunato. Non ci sarebbe stato nulla di strano se fosse stato giorno di chiusura…..ma oltre a noi che avevamo appena finito di cenare, c’era un tavolo occupato da una diecina di persone che avevano prenotato e volevano mangiare!
Che fare?:“.Ma ci pensiamo noi!” Io mi schiaffai di corsa in cucina, Emanuele invece all’epoca del tutto digiuno dell’arte culinaria…….a prendere le ordinazioni. Per noi era tutto un gioco incosciente, passi fare il cameriere, uno ci può arrivare anche da solo, ma fare il cuoco era una ben altra faccenda! Esperienza di cucina non ne avevo, anche se per passione me la cavavo discretamente nei pranzi, anche numerosi, tra amici e parenti. Ma tutto sommato ero stato molto fortunato….i clienti si sarebbero accontentati di pasta alla carbonara e all’amatriciana (che erano i miei due cavalli di battaglia) e di un paio di fettine alla griglia con contorno di insalata.Tutto bene, ce l’avrei fatta di sicuro. Il guaio quella sera lo combinò però il mio baldo compare…….già a cena, forse per una crisi di tristezza per la forzata lontananza dalla adorata Lucia, aveva ecceduto nel Vermentino ed era gasato e su di giri. Purtroppo io non ci avevo dato tanto peso….ma il casino che stava combinando mentre io cucinavo, stava montando come l’acqua alta in laguna. A peggiorare la situazione, anche i clienti non erano del tutto sobri e peggio di peggio, tra di loro troneggiava una non giovanissima, ma navigata, signora in nero che aveva attratto l’attenzione di Emanuele…….Al mio compare il nero evidentemente ha sempre fatto un certo effetto, basta ricordare una nostra gita in montagna con i colleghi………e la situazione stava perciò per sfuggirci dalle mani. Il Baffo maledetto ad un cero punto, mentre io cucinavo la pasta, si era comodamente seduto a tavola pure lui e per ingannare l’attesa…..bevi tu che bevo anch’io…..! La pasta per fortuna era pronta……ma non c’era nessuno che la servisse. Dovetti urlare, per farmi sentire……quello che successe in sala non lo seppi mai, io dovevo cucinare e ripulire il tutto. Mangiarono, bevvero….. e alla fine se ne andarono tutti lasciando il mio povero compare solo ed abbandonato sulla sedia con lo sguardo sognante…….ovviamente nessuno aveva pagato il conto! Non so quanto Emanuele si ricordi di quella serata…….ma questa volta me ne ricordo ben io……e meno male che ci avevamo rimesso solo un po’ di pasta una diecina di fettine, nemmeno tanto fresche, ed un bel po’ di vino……..ma tanto sapevo benissimo che non se ne sarebbe accorto mai nessuno…per cui va bene così e avanti!

CAPITOLO TRENTADUESIMO: i maledettissimi nodi !

Per prendere il brevetto di “capobarca” cui tenevo moltissimo, era purtroppo necessario essere in grado di fare e disfare i nodi previsti dal programma di insegnamento. Ma fare e disfare nodi era una delle cose che non sopportavo di fare fin da piccolo, odiavo da sempre allacciarmi le scarpe (anche adesso a cinquanta e passa anni mi compro SOLO scarpe sprovviste delle maledette cordicelle), e quando involontariamente un nodo si stringeva in maniera non voluta….o chiamavo mia mamma in aiuto o semplicemente tagliavo il laccio e lo sostituivo con un altro. Per tutti i tre mesi di corso mi ero rifiutato di prendere la corda in mano e provare con calma e serietà quanto dovevo mettere in pratica………..non era assolutamente una cosa per me. Arrivai così al giorno prima degli esami, senza essere in grado di fare qualche cosa di più….di sapermi bene o male allacciare le scarpe…….e, a quel punto, qualche cosa dovevo pur fare! Riecco apparire all’orizzonte il solito consueto spettro di “Peneessa” che, visto che non ero stato in grado di superare il corso, mi condannava per tutta la vita a contare le stramaledette lenzuola……Lele, per carità di Dio….pensaci tu! Ed il povero Emanuele si mise con santa pazienza ad insegnarmi per tutta la notte precedente l’esame a fare e disfare “Gasse d’amante, nodo bandiera, nodocomecavolosichiama”….e così via! Alla fine, dopo una serie infinita di imprecazioni, di sbattimenti e lanci di corda contro il muro, qualche cosa mi doveva bene essere entrato in testa…….i nodi avevo imparato a farli, ma solo ed esclusivamente con la cordicella sulla quale avevo compitato tutta la notte….se solo mi azzardavo a provare con un’altra, andavo letteralmente in crisi. All’esame fui fortunato, incredibilmente fortunato…….quando infatti l’istruttore casualmente mi domandò se volevo dimostrare quello che sapevo fare con qualche corda particolare a mia scelta…….quasi urlai: “CON LA MIA!!!!”. Andò come doveva andare…….L’esaminatore mi guardò perplesso alla fine dell’esame e mi disse testualmente queste parole: “Lei, Sergente……. i nodi li sa fare……..non so come faccia a farli tutti alla rovescia…..ma li sa fare! Vada per la sufficienza!” e vaaaaaiiiiii! era fatta …..e grazie Lele!

CAPITOLO TRENTATREESIMO: quando scappa…..scappa!

Di ricordi dei tre mesi trascorsi alla Maddalena ne ho veramente tantissimi……..Pur essendo andati via da casa per tre mesi con la massima allegria, sia Lele che io ogni tanto soffrivamo di acuti attacchi di nostalgia. Emanuele soffriva per la mancanza della sua Lucia ed io sentivo moltissimo la mancanza di mia sorella Silvia che per me era come una figlia, ma si tirava avanti sempre nel miglior modo possibile…..Non siamo mai stati degli ubriaconi o degli avvinazzati, però il buon vino in allegria non mancava mai! Andavamo, noi che abbiamo delle idee politiche di tutt’altro tipo….a far rifornimento di “Cannonau” e “Vermentino” in una enoteca che era anche la sede locale del Partito Comunista. C’erano, mi ricordo, delle facce che richiamavano il periodo della “rivoluzione di ottobre”ma, a conoscerli bene questi tipi, alla fine erano anche diventati cordiali. Mi ricordo l’impressionante “deposito” di bottiglie vuote nel terrazzino della cucina…..non c’era niente da dire, il vino era buono, molto buono, e a pasto scorreva…….La convivenza in un miniappartamento aveva per due giovani scapoli le sue regole da osservare…….ci eravamo messi d’accordo un po’ su tutto: su quale letto dormire, sui turni delle pulizie da effettuare e soprattutto SUL RISPETTO DELL’ORARIO PER L’USO DEL BAGNO LA MATTINA ! Da quando mia mamma mi ha levato il pannolino ed ho raggiunto la mia indipendenza…..ho sempre avuto l’abitudine di svolgere un dato servizio la mattina, subito appena alzato….puntuale come un orologio. Emanuele invece, più pigro di me in certi argomenti, aspettava senza problemi il secondo turno…..ma quando entrava in bagno….NON NE USCIVA PIU’ !!!Comunque, grazie ai nostri “accordi preventivi” non c’erano mai stati problemi per due mesi all’incirca, fino al giorno che……La sera prima avevamo fatto una cena a base di fagioli con il tonno e le cipolle (tante)….era un piatto semplice da realizzare e soprattutto di rapida esecuzione, solo che io da ingordo, ne avevo ingurgitato una quantità industriale! La mattina, di buon’ora, il mio intestino aveva come e più del solito, eseguito il suo lavoro di prammatica e sembrava che la faccenda per quella mattina..….fosse finita li, difatti avevo ceduto prontamente il posto al mio baldo compare. Ma dopo una decina di minuti, qualche cosa di mostruoso cominciò ad agitarsi nella mia povera pancia….non sto qui a perdermi in particolari di pessimo gusto…..ma vi assicuro che un seconda seduta “sul trono” era diventata necessaria e sempre più pressante ed impellente…….Emanuele, di solito sempre disponibile in tutto, quel mattino NON NE VOLEVA SAPERE DI COLLABORARE….era il suo turno di usufruire dei servizi, si stava facendo la barba in santa pace…….e di aprirmi la porta non ci pensava proprio. Non ho mai capito se facesse sul serio o se scherzasse….fatto sta che la porta rimaneva chiusa a chiave ed il bagno per me restava inaccessibile. La situazione era una via di mezzo tra comica e tragica: ero squassato nello stesso tempo da crampi atroci e da accessi di riso incontrollato…….Lele, sentendomi ridere, continuava a non capire l’urgenza delle mie richieste. I pugni battuti alla porta e le suppliche si facevano sempre più pressanti…..anche se mi veniva da ridere non stavo mica scherzando!!!!!! Alla fine, tutto preso da una situazione che minacciava di sfuggirmi di mano, in preda alla disperazione….. avvertii il mio compare con queste testuali parole: “Emanuele……o apri subito….…O LA FACCIO NELLA PENTOLA DELLA PASTASCIUTTA !!!!! VEDI UN PO’ TU !!!”…. Questa volta, chissà mai per quale strano motivo, la porta venne finalmente aperta di colpo ed io potei finalmente………..!
Emanuele, poverino, dovette rassegnarsi ad attendere con la barba mezza fatta e mezza no, che io compissi la missione e soprattutto che bonificassi la zona con un lunghissimo cambiamento d’aria effettuato con la finestra aperta e con l’uso di una bomboletta di deodorante per ambienti………Ciao, Baffo mio…..e scusami ancora tanto!!!!!!!! Ma ricordati bene che….quando scappa…….. SCAPPA!

CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO: nozze….travagliate…..

Con tutti i matrimoni con cui ho convissuto, ho sempre avuto dei rapporti difficili…….non so se fossi io che portassi “sfiga” o se fosse il naturale evolversi degli eventi che rendesse le cose in teoria sempre facili…….. sempre difficili.
Al matrimonio di Emanuele alle quattro di mattina o giù di li, mi ero ritrovato, ancora ingozzato di vino e altro, a cercare disperatamente di rimontare il letto in ferro battuto degli sposi che qualche buontempone aveva provveduto a smontare……., al matrimonio di mia sorella Bianca, avevamo dovuto andare in cerca di un Sacerdote che ci facesse la cortesia di celebrare il Sacro Rito….visto che quello che doveva fare il tutto si era perso non si sa bene dove, al matrimonio dell’altra mia sorella ho dovuto sospingere quasi a forza la sposa in chiesa perché era entrata in crisi di rifiuto (dovuto al nervosismo)….proprio al momento meno indicato, al matrimonio di mio figlio, oltre a aver dovuto pagare il conto del ristorante ….ho dovuto pure litigare per l’assegnazione dei posti a tavola, al matrimonio di mio cugino Aldo ho dovuto trascinare lo sposo in un bar li accanto per fornirli l’aiuto necessario ed indispensabile per poter entrare in chiesa. Per tutta questa serie di motivi, al mio matrimonio ero ancora più preoccupato del normale…….Già il mio, di matrimonio, era stato un succedersi di problemi fino dall’inizio…..di tutti i miei amici e parenti da Venezia a Taranto solo quattro si sarebbero presentati di cui due erano i miei genitori….e gli altri due ovviamente gli eroici Emanuele e la Lucia. In compenso ero sommerso da una marea di parenti di mia moglie che non avevo mai visto in vita mia. Tutto sommato le cose non andarono male…..a me interessava in definitiva solo la cerimonia in chiesa, fosse stato per me dopo il lancio del riso ed i complimenti di rito, me ne sarei andato con la mia sposa per i fatti miei, in grazia di Dio. Oltre a tutto a causa di mancanza di soldi….avevo dovuto sposarmi in divisa: grande uniforme, certamente…..mi stava anche d’incanto, ma siccome quella estiva mi era enorme, mi ero dovuto vestire con quella invernale che mi calzava invece a pennello……….peccato che fossimo in ottobre e a Taranto in ottobre, c’è lo stesso clima che da noi si può trovare a ferragosto…….per cui andai lentamente a lesso per tutta la santa mattinata e oltre. Cominciò poi la snervante trafila delle foto….venni costretto a viaggiare in piedi su di una megavettura rossa per tutto il viale della cittadina di mia moglie, bardato con la mia divisa: sembravo il Duce in parata, in via dei fori imperiali, dovetti sorbirmi le foto di famiglia con una marea di gente di cui non me ne fregava un accidente, per arrivare finalmente dopo tanto tempo a mettere qualche cosa sotto i denti al ristorante. Ma sono cose a cui tutti gli sposi si debbono ovviamente assoggettare! Finalmente, arrivato a casa di mia moglie riuscii a mettermi in borghese, (neanche che fossi smontato di servizio!!!) convinto di poter finalmente “tagliare la corda”……ma la manfrina non era ancora finita: era stata organizzata infatti una megafestadaballo situata tra la cucina di mia suocera e il giardino. Vi partecipava oltre che naturalmente gli sposi, Una schiera compatta di parentame che non aveva trovato posto al ristorante, più naturalmente tutti gli invitati ….…che non erano ancora stanchi di gozzovigliare. Emanuele, la fedele Lucia ed i miei genitori, visto l’andazzo e con la scusa vigliacca di doversi ciucciare novecento chilometri per tornare a casa……..mi avevano bellamente abbandonato al mio destino, ed io, che ne avevo francamente gli zebedei pieni, vagavo su e giù attendendo il momento per rapire mia moglie ed eclissarci più o meno elegantemente. Il momento arrivò quando un tizio, che non avevo mai visto in vita mia, dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi, mi domandò, nel suo idioma terricolo chi potessi mai essere…….la mia risposta fu testualmente: “Ma, veramente io sarei lo sposo….se non mi conosce è perché o non mi ha mai visto o perché ha sbagliato matrimonio……e ora mi scusi, perché sono le ventitré e trenta e mia moglie ed io avremmo da fare…..” E, con ciò, dopo un’altra mezz’ora persa per dedicarsi ai saluti di rito, finalmente riuscimmo a montare in macchina ed a sparire….mentre la festa continuava naturalmente ad impazzare! W gli sposi!!!!!

CAPITOLO TRENTACINQUESIMO: con la pioggia e col sereno anche oggi un giorno in meno!

L’ottavo scaglione settantanove, se ne va oggi. Festa grande a S. Andrea…..una grande allegria pervade vecchie e congedanti, le une perché diventeranno da domani le padrone dell’Isolai, gli altri perché oggi la lasceranno per sempre! Si tratta dello scaglione che si congederà subito prima del mio……..da domani sarò CONGEDANTE anch’io! Per dire la verità, non è che me ne importi più di tanto…..non ho mai sopportato di dover imporre la mia volontà, così….tanto per gradire, a qualcuno ritenuto inferiore a me in qualche cosa solo per il misero fatto di avere qualche mese di Caserma in meno di me…….non sarei certamente una “Vecchia” come Dio comanda, anzi tutt’altro! Sono si contento perché fra poco meno di un mese sarò di nuovo “libero cittadino”…..ma, pensandoci bene, libero di cosa?….di tornare a studiare forse…..o di dover continuare a dipendere economicamente dalla mia famiglia. Di decidermi forse a cercare un posto di lavoro? Non sono più un ragazzino….vado su per ventotto anni…..e allora? Che fare?……La scappatoia a tutto ciò mi era stata alcune settimane prima offerta da “Placca”……il mio Comandante di Compagnia, che mi aveva invogliato a fare domanda di rafferma con lo stellare, per me, grado di Sergente. Avevo la garanzia di essere ad un tiro di schioppo da casa…..di avere un ottimo stipendio……DI NON DOVER PIU’ STUDIARE….e di farmi un po’ alla volta una solida posizione visto che si sarebbe trattato di un posto Statale e fisso. Era tutto sommato una occasione d’oro da non perdere……e non me la lasciai scappare certo. Il vedere i miei “fratelli di scaglione ”agitarsi tanto contando ogni momento i pochi giorni di caserma che restavano da fare mi lasciava ormai del tutto indifferente……io ormai, presa la decisione fatale, non facevo più parte della famiglia. Io adesso contavo i giorni, non più per andare a casa per sempre ma, perché ero ormai ansioso di iniziare una nuova vita…….dall’altra parte della barricata.

CAPITOLO TRENTASEIESIMO: Pellestrinotto malefico!”

Ogni volta che penso di essere arrivato alla fine del mio raccontare, ecco che mi viene immancabilmente in mente qualche cosa di nuovo. A volta sono solo sprazzi, momenti che durano lo spazio degno solo di poche parole come quando, per esempio, la Roma fu inopinatamente battuta dal Lecce l’ultima giornata del campionato….. e lasciò a noi Juventini uno scudetto che consideravamo ormai perso…….Quel giorno ormai così lontano io feci, pazzo di gioia, i il funerale a due carissimi colleghi Romanisti arrabbiati….tra bottiglie di quello buono che bevemmo tutti insieme….io per festeggiare….loro per dimenticare! Il tutto naturalmente davanti ad una megagrigliata in circolo! Mi viene in mente anche una grandiosa cena a base di pesce a Murano, alla quale ero stato invitato assieme ad un certo numero di colleghi. Me la ricordo bene perché fu la volta che portammo a casa il nostro Comandante di allora alle soglie del “coma etilico”. Ma uno dei ricordi più vivi che mi sono rimasti è quello di un nostro comandante di Battaglione, nativo di Pellestrina, che aveva la disgraziata mania di arrivare sempre in ritardo alla partenza del mototopo la sera. Era tutti i giorni la solita musica……la partenza era prevista alle ore diciassette in punto…..ma lui non si presentava MAI se non con dieci minuti o peggio un quarto d’ora di ritardo…..fregandosene bellamente dei problemi dei dipendenti. Ed io, disgraziatamente, all’epoca di problemi ne avevo parecchi: abitavo ad Istrana, un paese dopo Treviso, ed ero costretto a prendere tutte le sere il Locale che andava ad Udine e che partiva dal binario numero sei, alle diciotto, incredibilmente puntuale come i treni di Mussolini, nell’epoca dei ritardi codificati! Il mototopo, che era tutto tranne che un fulmine di guerra, ci metteva circa cinquanta minuti per arrivare in stazione a S. Lucia…..per cui se il “di cuius” ritardava più del solito…..il treno poteva considerarsi perso. Ero allora costretto per rimediare al danno, e dopo aver mandato tanto personaggio a quel paese tra me e me, a prendere il vaporetto della libera uscita che partiva, quello si, sempre puntuale: tale mezzo però ci portava solo alla fermata di S. Basilio…..e per arrivare in stazione in tempo, bisognava sorbirsi una corsa mostruosa per calli e campielli di circa venti minuti……con l’occhio fisso alle lancette dell’orologio che inesorabili non si fermavano mai!……Con la pioggia o con il sereno, con il caldo o con il freddo…..era sempre una impari lotta contro il tempo e, questo, dopo una faticosa giornata di lavoro! Era da cani, per certi versi la vita da Pirati!!



CAPITOLO TRENTASETTESIMO: previsioni sballate….

Nella vita tutto si può prevedere e codificare con la massima cura e precisione…..ma gli imprevisti sono sempre in agguato. A metà degli anni ottanta avevo quasi terminato di costruire con mio padre…..la casa dei miei sogni. Avrei finalmente potuto abbandonare la scomoda prigione del Lido per trasferirmi in terraferma a Treviso. Non sarei finalmente più stato dipendente dai capricci della motozattera dell’A.C.T.V. e sarei stato finalmente libero di girare dove mi sarebbe aggradato di più. La casa che stavo ultimando era fatta su misura per me e per le mie esigenze da scapolo…….camera da letto in mansarda, ampia cantina e taverna completa di caminetto per allietare le serate in compagnia……in pratica la fotocopia in meglio del locale dove già passavo tanta parte della mia vita! Era ormai tutto pronto……..quando qualche testa da quiz del “Comando Truppe Anfibie” pensò bene di mandarmi a Taranto per una ventina di giorni per partecipare a un paio di corsi di aggiornamento. Di quello che mi capitò in tale circostanza ho già raccontato in precedenza…..voglio solo ricordare che partii da solo e ritornai…..praticamente “accompagnato”, avendo trovato all’improvviso e, quasi fuori tempo massimo, la mia anima gemella. Nel giro di cinque mesi mi ritrovai ammogliato, con tutte le gioie ma anche con tutte le responsabilità del caso…..era tramontata definitivamente l’epoca dei bagordi e degli amici……era cominciato qualche cosa di ben diverso! Non mi sono mai pentito della mia scelta, la mia compagna è tutt’ora la cosa più importante della mia vita, ma con il matrimonio si è chiusa definitivamente un’epoca meravigliosa e spensierata che ha lasciato il posto ad un’altra carica anche questa di gioie, forse ancora più intense, ma anche di problemi difficili da risolvere e di responsabilità pesanti da portare. A questo punto posso dire che il Pirata che è sempre stato in me……..si è addormentato per sempre e, si risveglia solo nei miei ricordi che niente e nessuno potrà mai portarmi più via !









Introduzione alla terza parte:


Pensavo, sbagliando, di avere finito di cianciare,,,,,ma invece c’è ancora qualche cosa che spinge per tornare alla superficie dell’oceano dei miei ricordi…..e allora SIA!!!


Capitolo Primo: chiacchiere sul più e sul meno….


Tante volte avevo preso la penna in mano e cercato di mettere nero su bianco quanto mi frullava per la testa, ma io fin dalle elementari ho sempre avuto un rapporto conflittuale con la penna e dopo un po’ la mia già scarsa pazienza mi veniva meno e l’opera rimaneva sempre incompiuta fin dalle prime pagine……..la penna in mano dopo un po’ immancabilmente pesa e poi il pensiero corre così veloce che la mano non riesce proprio a stare dieteo a ciò che mi frulla in testa in quel momento. Tutto è radicalmente cambiato il giorno in cui il povero amanuense stanco e fallito, scoprì suo malgrado, che il computer era dotato di una tastiera come la macchina da scrivere, racchiudendone però tutti i pregi ed eliminandone nello stesso tempo i difetti: correzione automatica degli errori, una scrittura che non presentava l’annoso problema di dover andare a capo………tutto semplicissimo, tutto automatico, una vera sciccheria. Adesso si che si poteva veramente provare a cimentarsi con l’arte dello scrivere, senza troppa fatica, la grande, grandissima nemica della mia vita di pigro inguaribile e con grande rapidità…..…..per cui finalmente: pronti……..VIA! A riscoprire il mondo sommerso dei ricordi.


Capitolo secondo: invasione!


La nostra era un’isola placida, situata proprio nei pressi della bocca di porto, tra le secche che si trovano subito prima del canale navigabile. A parte i Ballarin, contadini fin dai tempi della caduta dell’Impero Romano, a S. Andrea c’eravamo solo noi Lagunari. Il perimetro della caserma era più o meno cintato da reti metalliche e sorvegliato, si fa per dire, dalle pattuglie di guardia. Mai nessuno in tanti anni aveva mai solo pensato di cercre di “invadere” le nostre proprietà a parte qualche barca di turisti tedeschi entrati per errore in canaletta. Da noi non solo non c’era nulla da rubare…..ma anche militarmente parlando, a patto che qualcuno non si fosse follemente messo in testa di “fregarci” un M.T.M. o il vaporetto, c’era ben poco che potesse far gola. Ma una sera ventosa di settembre, quando le prime nebbie assassine avevano già cominciato a calare, il sottoscritto, sergente di prima nomina, era in procinto di terminare di compiere il previsto giro di ispezione notturno. Nel silenzio della notte incipiente, tra la bruma incombente della nebbia, dei rumori come di metallo trascinato a terra mi avevano fatto sobbalzare: mi trovavo dietro al Comando di Battaglione in quello che con molta buona volontà veniva chiamato “campo di calcio” solo perché era dotato di due porte, quattro bandierine e di almeno un migliaio di buche e avallamenti vari. Assieme a me, armato di “Beretta” calibro nove, seguivano due militari di truppa armati con l’immarcescibile “Garand”. Anche loro per la verità avevano captato qualche cosa di stano…........un rumore insolito. Io di addestramento militare, avendo da sempre lavorato in ufficio, non ne avevo ricevuto proprio per nulla ma temendo chissà quale pericolo, memore delle immagini viste nei film di guerra che si erano indelebilmente stampate nella mia memoria, cominciai a sentirmi immerso non nell’erba rada del campetto di calcio, ma bensì in una giungla inesplorata carica di pericoli e di immaginari nemici. Cominciai a strisciare a carponi verso la fonte di quei rumori sospetti seguito da presso dai due lagunarotti anch’essi perfettamente immedesimatisi nella parte di “Rambo”. Tutto sembrava andare bene…..nessuno ci poteva aver visto e il nostro avvicinamento alla fonte di quel rumore sospetto continuava indisturbato. Alla base della recinzione che dava sulla secca prospiciente la laguna, ovviamente non c’era nessuno a parte delle ombre sospette che ondeggiavano suggerendo la presenza di un qualche cosa di reale ma nello stesso tempo indistinto: Dei contrabbandieri, avevo pensato o forse degli incauti cacciatori finiti fuori zona…….Stavo già per balzare all’impiedi per ordinare il “Chi va la?”, senza nemmeno essermi ricordato di armare la pistola, quando una sonora bestemmia si levò dalla bocca del lagunare chioggiotto che mi seguiva:”D….buelo……….mi gavarave ciapao ‘na merda col gomio! Ma…..Put…..che spussa!!!”. Se veramente ci fosse stato qualcuno pronto ad “invadere” l’isola…..in quello stesso momento saremmo stati scoperti e fregati: criminali incalliti contro un Sergente con la pistola non armata e due Lagunari Baffi ed imbranati di cui uno impegnato a pulirsi accuratamente il gomito “smerdato”! Ma ovviamente al di la della recinzione non c’era anima viva…….erano stati Ugo e Bruno i nostri due cani della caserma che avevano fatto incautamente cadere con il loro passaggio, delle tavole che erano state poste sopra delle assi di ferro! Per fortuna dunque, non era successo nulla ma io tutto ringalluzzito dall’impresa compiuta, dall’arma che portavo in dotazione pronta a sparare (almeno così credevo in quei momenti concitati), avevo avuto il coraggio di sostenere che i cani certamente avevano fiutato un qualche cosa di strano e di fare una relazione scritta su di un presunto tentativo di intrusione da parte di ignoti all’interno della caserma….......relazione che per fortuna non venne mai presa in seria considerazione da nessuno. Da noi i pericoli che ci potevano colpire erano di ben altra natura………c’era per esempio un Comandante di Battaglione con il vizio di accendere fuochi in giro per la caserma con il risultato di farsene sfuggire di mano qualcuno come quando rischiò di mandare a fuoco il Comando a causa di un falò che gli…......aveva preso la mano o come quando qualche pazzo comandante di vaporetto, dopo aver fatto “il pieno di ombre”, guidava come un pazzo su e giù per la canaletta con tutto il personale a bordo anche lui “allegro” a più non posso!!


Capitolo terzo: io…e l’alzabandiera!


Da quando avevo cominciare da Caporal Maggiore a montare di servizio come Sottufficiale D’ispezione, la mattina, prima di smontare di servizio, il compito di “Tirare su” la Bandiera spettava ovviamente a me. I giorni feriali non avevano storia…..la cerimonia, con tutto il Reparto schierato, ovviamente andava fatta e basta. Ma il sabato e la domenica….la faccenda era molto diversa: se tirare su la bandiera spettava a me, e si era di sabato……..la bandiera andava su a razzo in esattamente tre secondi e li rimaneva perché la sera, impegnato in attività ricreativo/culinarie, io non avevo certo voglia e tempo per tirarla giù. Così la domenica chi mi avrebbe sostituito….avrebbe trovato “il servizio già fatto!” e una rogna in meno a cui pensare. A S. Andrea le priorità del Sottufficiale d’ispezione…..erano altre: pranzo e cena da preparare e organizzare in compagnia, un comodo divano in Circolo da occupare davanti al mega schermo della TV e magari una partita a carte in allegria. L’alza/ammaina bandiera….che la facessero come al solito gli stacanovisti di Malcontenta!

Capitolo di........transizione ed incollatura: cioè......come tacar un toco de ricordi da una casella a un'altra.....vedemo se so bon de farlo! Bene.........missione compiuta. Con l'aiuto de Gigi, el civil che me da una man co ‘sto caseoto de computer, ghe 'a gavemo fata......poso partir co' 'n'altra serie de ricordi. Pronti....VIA!




Malcontenta......la mia nuova “casa”.


Questa serie di ricordi che stanno ritornandomi in mente, non hanno certo la freschezza e la spigliatezza di quelli che riguardano il mio caro vecchio “Sile”…..la giovinezza ormai se ne è andata con la scomparsa di quello che per me è stato un periodo irripetibili delle mia vita e con lei tutta quella serie di ricordi che avevano tutta una loro particolare freschezza. Adesso mi accingo di nuovo a “raccontarmi” cose che hanno comunque per me in un certo qual modo……una certa importanza e che fanno anche loro parte della mia vita.
La prima volta che sono entrato nella Caserma “Bafile”, ero un piccolo sergentino appena fatto, completamente ignaro di quello che era veramente un Battaglione operativo in piena regola. Il mio vecchio e tanto amato “Sile” infatti…..di operativo in realtà aveva molto poco. Non che fosse un reparto amorfo….tutt’altro….ma noi “Pirati di S. Andrea” eravamo fatti completamente a modo nostro: partecipavamo con il “Plotone Esploratori Anfibi” a tutte le attività dei “Lagunari”, eravamo impegnati con i nostri mezzi da sbarco in operazioni anfibie di una certa importanza e portata, assicuravamo la sopravvivenza del nostro Battaglione sull’isola con il supporto fondamentale dei nostri mezzi…..e ogni volta che i “Lagunari” erano chiamati a fare bella figura gli “ospiti” importanti venivano inviati a S. Andrea e non certo a Malcontenta. Il “Primo Battaglione Lagunari Serenissima”, di stanza nella Caserma “Bafile” di Malcontenta era invece il reparto che “lavorava” sul serio sul campo: i campi d’arma non si contavano mai, le prove di allarme avevano una ben regolata frequenza, le esercitazioni fuori sede e nel comprensorio erano “pane di tutti i santi giorni”. Anche la disciplina era ferrea rispetto almeno a quella che sull’isola esisteva solo ed esclusivamente in un certo modo e sempre comunque….. a modo nostro: li i militari marciavano alla perfezione anche per andare al bagno, le uniformi erano sempre indossate alla perfezione, il basco calzato anche per andare a dormire! Si può dunque comprendere come io povero sergentino nuovo di zecca, nato e cresciuto con l’andazzo anomalo del “Sile”, mi fossi trovato in difficoltà la prima volta che avevo varcato il cancello d’ingresso. Si trattava fortunatamente solo della visita di poche ore ma quanto vidi accadere tra le mura di quella caserma, mi lasciò con l’amaro in bocca per parecchi anni. Non sono mai stato tagliato per la vita militare……finita la ferma obbligatoria mi sono raffermato solo ed esclusivamente per una ben precisa serie di motivi: la certezza del “posto fisso”, la sicurezza di un ottimo stipendio, la vicinanza da casa del posto di lavoro, i numerosi giorni di ferie, l’odio sviscerato per gli studi universitari che non riuscivo più a mandare avanti e l’aver constatato che la vita a S. Andrea di militare in realtà…..aveva ben poco…….si lavorava e tanto….ma lo si poteva fare il più delle volte a modo proprio, in grande libertà e senza il peso di inutili “orpelli” come marce e marcette, sfilate e sfilatine varie ( gli “sfilatini” ….me i pappavo al circolo che è meglio!). Il venerdì alle cinque poi, se non ti capitava di essere di servizio, i giochi erano finiti e….tutti a casa. A Malcontenta invece….ce n’era sempre una: o il campo di un mese e più in tenda in Sardegna in compagnia delle zecche, o la tale cerimonia da espletare magari un estate con il caldo tremendo, poteva capitarti anche una”scorta ad un convoglio” che significava giorni e giorni di treno in carro bestiame, non bisogna dimenticare anche il servizio di guardia in polveriera, ma c’era anche da andare a sparare fino a “Foci Reno” ovviamente in camion e tante altre amenità di questo genere. Ma così andava la vita….a qualcuno gli oneri….a qualcun altro….gli onori, che è meglio!

CAPITOLO PRIMO.

Purtroppo a questo mondo tutto ha una fine…..anche i nostri “amati politici” tanto bravi a svuotarci le tasche con le tasse, alla fine se ne andranno al campo santo….e così un tristissimo giorno di novembre il mio “Sile” fu chiuso ed io mi ritrovai con un foglio di destinazione in mano che mi mandava a fare servizio, come” Comandante di Plotone Assaltatori” presso…..ovviamente la stramaledetta caserma di Malcontenta. Di un Plotone di fanteria meccanizzata avevo sentito parlare solo nei film di guerra che avevo visto in televisione e francamente di avere l’onore di esserne il Comandante….non me ne poteva fregare di meno e allo stesso tempo.........spaventare di più. Io, di assaltatori, assalti a fuoco e stronzate(scusate tanto!) di questo genere, non ne volevo neppure sentire parlare…..freddo, acqua, caldo, campi d’arma….non era “roba” per me e.....ripeto che di questo incarico pazzesco e quanto mai sgradito....... non ne volevo neppure sentire parlare. A me veniva sempre in mente un ritornello cantato in un vecchio “carosello” che diceva testualmente:” A noi “sior Capitano” non piace la battaglia, ci piace una bianchissima tovaglia, con sopra tante cose da bere e da mangiar!” Sbagliato, sbagliatissimo.....ma era il mio pensiero, la mia filosofia e nulla poteva farmeli cambiare! Comandare un reparto poi…..non era per me e da me……..non si trattava mica del mio equipaggio del vaporetto o della M.T.M.! Eppure proprio quello era il destino cui ero “condannato” almeno in apparenza. Ma per fortuna S. Andrea non si era dimenticato di uno dei suoi “figli” che se ne era dovuto andare seppur controvoglia dalla sua isola…..e proprio lui ci mise fortunatamente una pezza. Andare via dall’Isola……ecco uno dei dolori più vivi della mia vita…….ricorderò sempre il giorno dell’addio: ancora prima di imbarcarmi per l’ultima volta dopo l’alzabamdiera della mattina, mentre eravamo per l’ultima volta tutti assieme, il Capitano Maccanti, nuovo comandante della Compagnia che avrebbe sostituito il vecchi Battaglione appena sciolto, disse testualmente:”adesso per favore voglio qui con me cho deve restare……gli altri per favore se ne possono andare dove voglono in attesa di imbarcarsi sul topo.” Ecco……non aveva mica detto nulla di strano o di offensivo…..ma MI AVEVA FORSE INVOLONTARIAMENTE ESCLUSO, ESCLUSO DA QUELLO CHE ERA STATO FINO AD ALLORA IL MIO MONDO, CON UNA MANCANZA DI TATTO SPAVENTOSA! Lui certo era nuovo e non poteva capire…….ma il vedere i miei compagni allontanarsi da me in quel modo mi fece male, un male tremendo. Ma andiamo avanti, che è meglio: il mio nuovo Comandante di Compagnia per fortuna aveva capito tutto di me, si era infatti subito reso conto di avere davanti non un militare “appena fatto” da poter e dover plasmare….. ma un Sergente Maggiore già in nomina da Maresciallo, un personaggio che mai prima d’ora, alla soglia dei quarant’anni, aveva fatto veramente“vita militare” ed essendo una persona intelligente aveva da subito capito che inserito in un Plotone operativo, il sottoscritto oltre a non essere di alcuna utilità, avrebbe rischiato di fare più che altro dei danni a se e agli altri. Per cui, conoscendo le mie doti innate di organizzatore, pensò bene di sfruttarmi in altro modo...... affidandomi cioè la ristrutturazione cartacea della fureria della quarta compagnia….che per me se non proprio fonte di soddisfazione era per lo meno un lavoro tranquillo e saldamente ancorato ad una adorata scrivania, al caldo d’inverno e al fresco d’estate. Mi dispiace, lo so che sono dalla parte del torto.....un militare deve essere pronto a tutto, altrimenti che militare è? Ma io ero nato e cresciuto sull'Isola dei Pirati....mai e poi MAI avrei solo lontanamente pensato di “raffermarmi” sapendo che avrei potuto e dovuto “sbalzare” in comprensorio....io adoravo le barche e la navigazione, avevo mandato avanti la complicatissima contabilità di un magazzino con oltre un miliardo di lire in carico da gestire, avevo fatto le mie sante guardie e montavo tutt'ora di Sottufficiale d'Ispezione.......ma l'assaltatore no! Quello MAI!....era “roba” da Malcontenta e........purtroppo proprio li io ero stato destinato da un destino crudele ad andare a sbattere.

CAPITOLO SECONDO.

Adattarsi alla nuova situazione non era per me per nulla facile…..subito appena arrivato, tanto per cominciare, fui scaraventato dalle parti di Caserta per scortare un vagone carico di…..non so cosa. Subito dopo mi “cuccai” come dazio per l'ultimo arrivato, due serie di sette giorni l'una di polveriere e ovviamente cominciai a “montare a nastro di Picchetto”. Ma quello che all’inizio mi disturbava in modo particolare era la mostruosa organizzazione che permeava il tutto: il marciare della truppa sempre inquadrata perfettamente, le adunate di Battaglione e quelle di Compagnia e un aspetto formale che doveva sempre e comunque essere adeguato alla bisogna. All’inizio…..mi ero dovuto anche un po' rassegnare e soffrivo in silenzio “ostregando” a più non posso….ma più il tempo passava, più cominciavo piano piano a”lavorarmi ai fianchi” l’ambiente in cui ero costretto a vivere e che dovevo a malincuore sopportare: Se essendo addetto alla fureria, non potevo certo esimermi dal presenziare alle adunate di Compagnia….avevo lentamente nello stesso tempo, zitto zitto, “diradato” le mie presenze all’alzabandiera della mattina…..il basco poi era da quasi subito scomparso dalla mia testa e se vedevo avvicinarsi qualcuno di più alto in grado di me, piuttosto che rimettermelo….facevo il “giro largo”, svicolavo e….tanti saluti a tutti. Gli odiatissimi anfibi di cuoio non gli ho indossati praticamente mai……sono nato con quelli di tela e con quelli morirò! Non c’era nulla da fare….era più forte di me….a quasi quarant’anni e dopo quattordici anni di “Sile”…..io volevo continuare per quanto possibile per la mia strada. Fui richiamato all'ordine per il mio atteggiamento “poco formale” una, due, tre volte….ma poi visto che nemmeno un sacrosanto biglietto di punizione non aveva sortito l’effetto desiderato…..fui lasciato come speravo al mio destino. L’importante ovviamente era di non esagerare e di fare come ho sempre fatto con qualsiasi incarico abbia ricoperto....fare sempre e comunque anche di più del mio dovere. Ma l’avventura in fureria era destinata a durare poco…..infatti si era liberato un posto in mensa truppa ed io, da sempre appassionato di cucina, non mi lasciai certo sfuggire tale occasione, visto che in cucina si era esentati dai servizi armati, dalle adunate e da tutte le “stronzate” che tanto mi davano fastidio.

CAPITOLO TERZO.

Il diavolo non è brutto come si crede……le due polveriere di una settimana l’una tutto sommato si erano tramutate in un gradito periodo di tutto riposo: il servizio consisteva nel gestire un gruppo di militari che erano preposti a vigilare l’esterno del perimetro della zona sensibile e di fare in fuoristrada un certo numero di ispezioni diurne e notturne. Per il resto…..non c’era altro da fare se non guardare la televisione di cui l’Amministrazione Mlitare mi aveva gentilmente fornito. Ero inoltre “padrone” di una camera singola, di una doccia megagalattica, di un frigorifero…..quindi…buona guardia! I viveri ci venivano portati tre volte al giorno, in cassa di cottura e ricordo ancora adesso l’emozione che provavo quando giungeva il momento di….aprirla. La fame era tanta e in breve tempo, dopo aver spazzolato tutto, me ne andavo a fare un bel pisolino in branda. La fatica più improba di quei giorni oramai lontani, era quella di convincere i militari di leva a tenere pulita la loro camerata e i rispettivi bagni…….di lavare per terra e di disinfettare non ne volevano proprio sentir parlare e per ottenere che compissero il loro dovere era necessario ricorrere alle minacce intese ovviamente nel mettere in forse il periodo di licenza che spettava loro una volta terminata la guardia. Alla “leva” potevi toccare tutto….la mamma, la sorella, il portafogli…..MA LA SACROSANTA LICENZA di fine settimana, il mitico”48”….QUELLA NO!! Più il tempo passava, più mi rendevo intanto conto che l’organizzazione del mio nuovo reparto tutto sommato aveva anche dei lati positivi: tornato dalla scorta di Caserta infatti, dopo due soli giorni dal mio ritorno, ero stato convocato in Amministrazione dove con la massima sollecitudine mi era stata liquidata la somma di denaro che avevo maturato con il “Foglio di Viaggio”, cosa che al “Sile” si sarebbe verificata almeno dopo un bel paio di mesi se tutto andava bene. A me dava sempre un gran fastidio il vedere come tutto il resto dell’organizzazione funzionasse come un orologio….mi dava un enorme fastidio il vedere come tutta la truppa marciasse alla perfezione come se marciare fosse la cosa più naturale del mondo, la sollecitudine con cui i miei colleghi andassero alle adunate, la costanza con cui tutti si recavano dal barbiere e così via. Ma per fortuna….bastava lasciarli fare e se ti dava fastidio tutta questa “perfezione” era sufficiente girare la testa dell’altra parte e pensare ai cari vecchi tempi andati, in fondo poi nessuno badava a me, alle mie fisime e ai miei continui rifiuti ad adeguarmi…..avevano altre cose più importanti che badare ad un collega che faceva di tutto per estraniarsi dal loro mondo fatto di inutili orpelli.

CAPITOLO SUCCESSIVO.

Sono pigro…..estremamente pigro….solo la fatica di risalire alla riga successiva per vedere il numero del capitolo precedente risulta per me troppo gravosa….per cui questo capitolo ho deciso che si chiamerà semplicemente: capitolo successivo, e nulla di più. AL Vettovagliamento della caserma “Bafile” di cui sono attualmente il responsabile, ci sono arrivato quasi per caso. Dovendo andare in ferie il Sottufficiale alla Mensa, serviva per una quarantina di giorni un sostituto…..ed io, pieno di speranze….mi feci avanti. Al mio vecchio, caro “ Sile” di soddisfazioni me ne ero già levate….avevo imparato a navigare come Comandante a bordo di tutti i natanti a disposizione, ero riuscito a mandare avanti la difficile e complessa contabilità di un magazzino…..mi mancava ancora l’inebriante esperienza di imparare a cucinare per le grandi comunità….ed ecco che proprio a Malcontenta si presentava la tanto attesa possibilità. Come ho già in passato fatto presente, io di cucina me ne sono sempre interessato fin da piccolo…..è una passione che senza dubbio ho ereditato da quelle cara persona che era mia nonna Rita……infatti la passione per la cucina e per la buona tavole, è l’unica cosa buona che lei è riuscita, suo malgrado, a trasmettermi.
Lei era senza dubbio(accidenti involontariamente ho cambiato formato della scrittura e non so come rimediare……io di computer non ci capisco un accidente…..pazienza, andiamo avanti così che è lo stesso) tutto tranne che la classica buona nonnina…..non sapeva assolutamente “trattare” con i bambini, non aveva alcuna voglia di intrattenersi con loro, non sapeva e non voleva in pratica essere in tutto e per tutto….nonna. L’unica passione che solo geneticamente è riuscita a trasmetterti, assolutamente involontariamente, è stata quella di saper innatamente cucinare. e apprezzare le sane gioie del mangiar bene e…del bere meglio! Questo si! Ricordo che la sua casa magari non odorava del pulito che si sentiva a casa mia nonostante avesse da sempre la donna di servizio che le faceva tutto.-….ma ricordo benissimo che nella sua cucina c’era sempre una pentola che sobbolliva piano diffondendo nell’ambiente un profumo meraviglioso…….brodo, spezzatino. Ragu……gli aromi in quella cucina non si sprecavano mai e davano all’insieme sempre un che di appetitoso. Certo mia nonna aveva per anni condotto ristoranti a Venezia….e l’esperienza la si poteva cogliere semplicemente dagli odori meravigliosi che si diffondevano all’intorno…..lei in cucina aera senza alcun dubbio una Dea, non c’aera nulla da dire! Ed io almeno un po’, magari solo un po’ sono forse, e dico solo forse, ad ereditare almeno un po’ della sua arte. Ed è per questo che fino da piccolo mi sono cimentato nella difficile “arte” del cucinare.( ecco….nell’impeto di scrivere, oltre che aver omesso di scrivere che il capitolo era il quarto….ho anche sbagliato per un certo numero di righe il carattere con il quale scrivere……..per me il computer è e resta per certi versi un oggetto misterioso e alle volte il premere un tasto sbagliato….mi crea problemi e casini vari). Quanto mi piace scrivere.-…..e pensare che per me il solo fatto di prendere in mano una penna mi faceva fin da piccolo venire delle crisi di rigetto. Adesso non sono più quasi in grado di scrivere in corsivo a mano libera….ma pestare sui tasti del computer è per fortuna diventata la cosa più naturale del mondo. Per cui….andiamo aventi, per terra, per mare…..sempre e comunque!

CAPITOLO QUARTO.

La mucca Luigia e la cavalla Gina……..ma cosa mi vado mai oggi ricordare! E’ questo una delle rimembranze più “antiche” che mi sono tornate alla mente….questi due animali, abbondantemente ora morti e defunti e forse anche…..mangiati, risalgono alla mia più lontana fanciullezza. Erano probabilmente due animali che io avevo avuto la ventura di conoscere da piccolissimo a Borca di Cadore o forse a Ziano di Fiemme….non so bene. So solo che erano, bontà loro……esistite entrambe e che avevano per qualche momento rallegrato l’esistenza di un bimbo di un anno o poco più. Grazie, poveri ignari animali….grazie per quel poco o tanto che inconsapevolmente avete fatto per rallegrare l’esistenza di un bimbo che solo ora, a distanza di almeno mezzo secolo….si è ricordato di voi e della vostra esistenza. Quante stupidaggini sto scrivendo……mi trovo a ringraziare una mucca ed un cavallo morti oramai da decenni……ma poi penso che queste sono cose invece importanti per la vita di ciascuno di noi…….ricordi che ci lasciano un qualcosa di indelebile dentro il nostro animo, ricordi che nella loro semplice ingenuità invece significano tanto e che lasciano dietro di loro, come un “alone” di pace e di serenità. Comunque……alla resa dei fatti, riuscii a mettere piede in mensa a Malcontenta come “Sottufficiale alla mensa”. Oramai i quarant’anni li avevo fatti, per cui ero finalmente esentato dai servizi armati e questo era già un primo grande sollievo. Mai più avrei dovuto assentarmi la notte da casa mia per montare di servizio….finalmente avrei potuto restare a disposizione di moglie e figli per tutto i tempo necessario. Il mio matrimonio con Giovanna è stato difatti imperniato proprio su questo fatto: ci siamo conosciuti per una serie di coincidenze incredibili di cui ora voglio narrare i particolari. Tutto era cominciato nel millenovecentsettanta quattro….l’anno maledetto della mia vita in cui tutto era sembrato per me andare a rotoli. Nella primavera io ero felicemente fidanzato con la mitica Alessandra (ciao Alotta mia…..chissà dove sei adesso….ma senza dubbio in qualche modo sei ancora nel mio cuore come lo sono i tuoi meravigliosi genitori…..non mi fraintendere….ti prego, non ti voglio assolutamente tormentare oltre…..non voglio certo prendermi la briga di volerti riconquistare. Ormai, FINALMENTE ho capito che abbiamo preso strade diverse, ormai sia tu che io ci siamo felicemente sposati con le nostre anime gemelle……eppure, incredibilmente tu a volte riappari ancora nei miei sogni e nel segreto del sonno, diventi finalmente MIA per sempre! Tu sei stata il mio primo amore, senza dubbio ti ho idealizzata, ho sopravvalutato quello che sentivo per te…..ma ti ho amata come solo un ventenne sa fare. Adesso tutto è finito….tutto è passato….chissà se tu a volte ti ricordi ancora di me….di quel deficiente che dopo essere stato piantato ti ha per anni ancora perseguitato e cercato in tutti i modi. Tu, anche se da tempo ho trovato la felicità più completa con la mia Giovanna……sei stato il più bel sogno della mia vita, irealizzato e forse ancora più bello proprio ancora per questo motivo. Mi piacerebbe tanto rivederti ancora una volta come l’ultima in cui ti ho vista….profumata dal vento che ti avvolgeva e ti portava via da me per l’ultima volta. Ciao….amore mio….sii felice come lo sono io con la mia Giovanna!)….tutto sembrava andare tutto sommato per il meglio ma la svolta era proprio li dietro l’angolo. Prima a rompere l’incanto era stata ai primi di luglio l’Alessandra che per una serie dio motivi….aveva creduto bene di “scaricarmi”, subito dopo per motivi “politici” essendo io l’unico “Fascista” in un branco di simpatizzanti dei famigerati” centri sociali”…ero stato bocciato agli esami di maturità….chi non si adeguava all’andazzo, invariabilmente….pagava in prima persona! Nello stesso tempo avevo perso drammaticamente mio nonno che per tutta la mia fanciullezza era stato un vero e proprio punto di riferimento….e alla fine avevo pure “toppato” l’esame di teoria per prendere la patente. Tutto andava a rotoli ma un sacerdote, con cui avevo grande confidenza, mi aveva rivelato che una luce si sarebbe ben presto accesa per me: l’Alessandra era per me perduta per sempre, non essendo fatti uno per l’altro ma in futuro c’era un altro amore ancora più grande li ad aspettare il momento opportuno per sbocciare e tutto si sarebbe aggiustato al momento opportuno, come avevo desiderato. E queste erano sante parole…….difatti, al momento più incredibile, per una serie di circostante ancora più incredibili……come predetto avrei trovato la mia Giovanna ad aspettarmi, colei cioè che avrebbe realizzato ogni mio sogno. Una sera di maggio, stavo rientrando con la mia fedele M.T.M. a S. Andrea….erano le diciassette di un venerdì ed io ero pronto ad intraprendere uno dei tanti fine settimana con Aldo, la storica Cristina e con Barbara.....la fatina bionda .Niente di particolare in verità…..un “Risico” in compagnia, una serie di “ombre” e forse una spaghettata di mezzanotte. Ma il destino aveva deciso altrimenti…….difatti Enzo, un mio collega cui sono legato per più di una vicenda, anche recente, quel giorno era Sottufficiale d’Ispezione e si presentò a me sul pontile di legno davanti alle vecchie palazzine li prospicienti, con il suo devastante sorriso a tutti denti stampato in faccia e soprattutto con un foglio in mano: si trattava niente di meno che di un “Foglio di Viaggio” per Taranto……cioè in culo al mondo…..dove avrei per venti lunghissimi giorni dovuto frequentare due corsi di cui francamente….non me ne poteva fregare di meno. A Taranto poi…..in culo al mondo, anzi nel buco del culo della penisola, in piena“Terronia Tellus”(scusate Matteo, Guido; Marino……era la rabbia del momento!!!!) che sfiga!!! Il lunedì seguente le provai tutte…..telefonate al Comando Truppe Anfibie….a mio cognato Angelo, a quel tempo Ufficiale medico del 51° Stormo di Istrana…..se il Papa avesse avuto competenza in materia mi sarei rivolto pure a Lui….ma non ci fu nulla da fare, a Taranto ci dovevo andare….e basta. Certo che lasciare per tanto tempo i miei amici e la mia “cantina” era un dramma, lasciare il tutto poi per andare dove proprio non volevo…….era peggio ancora. Ma questo era quanto il destino, o Qualcun Altro aveva deciso per me….per cui , rassegnazione e PEDALARE!!! Ma poi, come predetto…..non tutto il male era venuto per nuocere…..era destino che io facessi un viaggio disastroso in un treno affollato di terr….puzzolenti, che l’albergo dove avevo prenotato per tempo fosse stato requisito dalla Prefettura per alloggiare l’ennesima masnada di profughi albanesi e che io alla fine trovassi alloggio nell’albergo dove a tempo pieno lavorava la donna dei miei sogni. Era il due giugno del 1986, S. Marco e di conseguenza.......festa del “Bocolo”…( e non certo per me festa della liberazione, festa inventata di sana pianta da una torma di partigiani assassini e rubagalline).....e da quel giorno in poi fu difatti sempre festa per il mio cuore non più solitario. Io, ancora adesso pensandoci bene, non riesco a ricordare il momento in cui Giovanna ed io ci siamo messi assieme……ricordo solo una infinita serie di discorsi fatti io e lei da soli su un po’ tutto....discorsi iniziati forse per rompere la noia e proseguiti poi per il piacere di parlare assieme e di raccontarci tutto di noi. Discorsi iniziati da parte mia all’inizio forse solo per passare il tempo a discorrere con una bella ragazza ma continuati subito dopo per un preciso e vivissimo interesse. Sarà stata l’identità di vedute che ci ha colpito fin dall’inizio…..sarà stata qualsiasi altra cosa, non so assolutamente dirlo, so solo che nel giro di quindici giorni ci siamo messi assieme a non ci siamo lasciati più. Abbiamo superato assieme enormi difficoltà…..due famiglie diversissime per usi e costumi, due abitudini di vita completamente diverse, due mondi di appartenenza assolutamente agli antipodi………eppure dopo quasi ventitrè anni siamo ancora assieme, più uniti che mai! Ti ricordi…..amore mio quel pomeriggio alla fermata dell’autobus? Ti ricordi cosa ti ho detto? La promessa che mai ti avrei lasciato da sola? La promessa di amarti per sempre? Almeno queste due promesse so di averle mantenute. A Malcontenta ci eravamo trasferiti da Istrana, li la villetta dove abitavamo era diventata troppo cara per le nostre tasche sempre esangui e quando avemmo la possibilità di avere assegnato un alloggio demaniale, non potemmo certo farci scappare l'occasione. Certo l'appartamento non era di lusso ma in definitiva del necessario non mancava davvero nulla e poi aveva la grandissima comodità di essere situato praticamente davanti al portone della mia nuova caserma, veramente dunque.......” casa, bottega”.

CAPITOLO QUINTO.

Di mal di stomaco ce ne sono di vari tipi. Quello che cominciò ad affliggermi un pomeriggio dopo pranzo di un freddo novembre lo avevo attribuito ad un criminale eccesso di polpette (otto) consumate a mezzogiorno e seguite da scorze di limone imbevute di grappa usate per fare ilo limoncello.. Di polpette, di questa meravigliosa pietanza quel giorno avevo veramente ecceduto e ben otto di loro erano finite nel mio stomaco. La Morena era bravissima a cucinare.....e le polpette di pollo le venivano che era una meraviglia......asciutte di olio, fragranti e gustosissime. Verso le due un dolore sempre più insistente si era diffuso nella zona che io ovviamente avevo individuato come stomaco.....si trattava di un dolore via via più acuto cui si era associato il bisogno continuo di, scusate,”ruttare”. Sembravo veramente un maiale in amore! Avevo cercato sollievo bevendo bicchieri su bicchieri di acqua calda, maledicendo il fatto che, per digerire le polpette, avevo ingurgitato tra l'altro, come sottolineato in precedenza, delle bucce di limone imbevute di ottima grappa. Il dolore non passava e anzi si era accompagnato da un altro, molto intenso che sveve colpito entrambe le braccia. Ma quando avevo cominciato veramente a preoccuparmi pensando a chissà che......la nausea mi aveva costretto a recarmi nel vicino bagno.....non c'era alcun problema....si trattava certo di una maledetta e meritata indigestione. Il dolore poi alla fine non era scomparso del tutto ma si era per lo meno anche attenuato e alle quattro e trenta.....mi ero recato a casa. Ma la notte non ero riuscito a dormire ed anche il giorno seguente non avevo potuto riposare nonostante l'assunzione di quasi una boccetta di “buscopan” La sera, convinto di avere un'ulcera allo stomaco, torcendomi dal dolore, mi recai finalmente al pronto soccorso dove appresi con il più completo sbalordimento di avere un “bellissimo” INFARTO in corso. Altro che le povere innocenti e fragranti polpette.....la povera Morena non aveva dunque alcuna colpa! La responsabilità era tutta mia, dei miei stravizi alimentari, del mio sovrappeso, della mia sedentarietà e....dello stress della vita moderna. Che sfiga.......a parte la paura che avevo preso e che avevo fatto prendere alla mia famiglia adesso la parola d'ordine per me era diventata ed è tutt'ora e per sempre sarà:”D I E T A!!!”la parola cioè che insieme a “ginnastica” NON era mai entrata nel mio vocabolario. Oggi che sto scrivendo queste righe sono tornato finalmente al lavoro.....dopo ben sette mesi trascorsi a fare la donna di casa. Che Palle!!!! e' stato questo senza dubbio il periodo più nero della mia vita per tanti svariati motivi....ed ancora non posso essere sereno e tranquillo, mi sento nervoso e insoddisfatto, rabbioso più che mai e, purtroppo invidioso per tutti quelli che stanno meglio di me. Che me ne frega che ci siano milioni di persone che non hanno che una frazione di quanto ho io quando c'è magari accanto a me che se la passa alla grande! Lo so....sto sbagliando, so perfettamente che sbaglio......ma sono invidioso lo stesso! Che ci posso fare? Anch'io potrei fare come S. Francesco che aveva rinunciato a tutto per vivere in perfetta castità e povertà.....MA SOLO DOPO ESSERMI DIVERTITO E VERE GODUTO LA VITA COME AVEVA FATTO LUI IN GIOVENTU'. Troppo facile fare la dieta DA SAZI!!!!!!

CAPITOLO SESTO.

Due capitoli fa, avevo accennato ad un mio collega cioè cui sono legato per alcune spiacevoli vicende accadute in ambito lavorativo. Non sto qui a raccontare quello che è accaduto, mi basta dire che si tratta di una persona di cui ho sempre avuto molta poca stima e che ho di recente dovuto sopportare come “compagno di ban....scusate, di scrivania essendo costretto a lavorare a contatto di gomito con lui. Quante volte lo ho mandato a quel paese, quanto ho fatto per levarmelo di torno. Alla fine ci ero pure riuscito......ma l'ufficio tutto per me non sono più riuscito ad ottenerlo: il giorno che me lo hanno “levato di torno” sono stato ricoverato in ospedale per la nota vicenda......e poco prima di rientrare in servizio ho appreso la notizia che quel poveraccio con la moglie......era inopinatamente e di colpo passato a miglior vita!. Quanto male ci sono rimasto......non certo perchè abbia “rivalutato” una persona che per me resta sempre essere stata un personaggio da non stimare per nulla ma per il semplice fatto che il vedermelo sempre intorno era per me diventata una cosa naturale e il non vederlo più davanti a me mi risulta una faccenda inconcepibile. Ciao Paolo,.......sei sempre stato un trafficone ed uno stronzo di prima categoria ma adesso anche tu avrai trovato pace li dove sei, dove per essere felici non serve più cercare di ottenere a tutti i costi sempre e comunque il massimo....a tutti i costi e passando spesso e volentieri sopra tutto e tutti!

CAPITOLO SETTIMO.

Arrivato finalmente al Vettovagliamento, mi resi conto, dopo un paio di mesi di “rodaggio” che essere titolare del' incarico di “Sott/le Alla Mensa” implicava il fatto di dover vettovagliare la truppa non solo in sede.....ma anche al campo. La cosa francamente mi spaventava parecchio.....non avevo certo paura di non essere in grado di “far mangiare” tanta gente ma di dovermi allontanare da casa....questo fatto invece mi terrorizzava. Ma in definitiva alla fin dei conti....mi è sempre andata di lusso: in tanti anni mi sono dovuto assentare solo tre volte( per un massimo di una settimana per volta) per andare in Friuli e una sola volta per quindici giorni per andare in Sardegna. Tutto qui, non considerando come degna di nota una “cinque giorni” a Trieste. I mega campi di un mese e più, i maledetti “Vespri Siciliani” e altre amenità di questo genere e soprattutto le stramaledette “missioni Umanitarie All'estero” le ho lasciate fare a chi voleva farle o a chi veniva costretto a partire con le buone o con le cattive......Che partissero pure che il maresciallo Scarpari aveva altri interessi più importanti per la testa come, per esempio, le necessità di gestire i problemi di moglie e figli! I “campetti” in Friuli sono comunque stati per me fonte di grande soddisfazione e divertimento.......la responsabilità li era completamente nella mie mani e io mi davo per quanto possibile da fare ottenendo ottimi risultati e la gratitudine di tutti i commensali. Certo bisognava lasciarmi fare a modo mio.....sempre e comunque. Conoscendo la zona, avevo scoperto che Sequals, dove ci saremmo dovuti attestare, distava pochissimo dalla cantina sociale di S. Giorgio della Richinvelda.....avevo allora fermato il mio camion e, con una rapida incursione, avevo acquistato una bella damigiana di “Refosco” da trentaquattro litri. C'era parecchio da dimenticare....la lontananza da casa, il fine settimana da passare chiusi tra i quattro muri della cucina della caserma.....e soprattutto il fatto che eravamo partiti da Malcontenta con il freno a mano della cucina da campo al traino....completamente inserito, con conseguente surriscaldamento di non so quale parte della cucina stessa....che aveva rischiato di andare a fuoco. Maledette cucine da campo.....non ne volevo sentir parlare! A me andava bene il fatto puro e semplice del cucinare in se stesso e....basta. Di “amenità” come quelle di accensione, uso e manutenzioni di tali macchinari, unti, sporchi e puzzolenti di gasolio....non ne volevo assolutamente sapere nulla. Mi ricordo che oltre al fatto che ho appena raccontato del freno a mano tirato, in Sardegna ne ho “combinata” un'altra delle mie: é necessario sapere che per poter accendere uno di questi “arnesi” si devono prima smontare le ruote per evitare che il calore sprigionato le possa ovalizzare. Bene.....le ruote della mia auto le avevo cambiate più di una volta.......per cui, in teoria, problemi zero. Ma quando si era trattato di svitare i bulloni, io e i miei baldi e fedeli cucinieri.....eravamo entrati in piena crisi. I maledetti bulloni non ne volevano assolutamente sapere di svitarsi....non uno o due di loro sul totale....ma TUTTI ASSIEME!!!! Prove e riprova, bestemmi ed impreca....NULLA DA FARE!!!! e questo stava andando avanti da più di un'ora e....la gente....aveva fame e giustamente protestava. Quel “testa dura” del Tenente D'Alessio, comandante del distaccamento, ci aveva voluto provare pure lui....rischiando di spaccarsi un braccio quando il Krik gli era sfuggito di mano....ma nulla si era mosso e i bulloni erano ancora li....quasi volessero sfidare noi e la nostra rabbia che montava sempre di più. Alla fine, mentre noi non sapevamo più che pesci pigliare, si avvicinò a noi un pastore che pascolava li vicino il suo gregge e che ci disse in un italiano “sardizzato”: “ Ma cosa avette da incazzarvi tanto......io ho fatto il militare in cucina per diciotto messi.....ma non sapette che i bulloni delle cuccine da campo svittare alla rovescia si devvono? Tutto al contrarrio dovette fare polentoni che non siette altro” E....aveva ragione da vendere il buzzurro.....buzzurro e puzzolente ma di cucina campali ne sapeva molto più lui di noi!

CAPITOLO OTTAVO.

Abitare praticamente in caserma aveva vantaggi e svantaggi come un po' ogni cosa. C'era certamente la comodità di essere “casa botega” e di non dover fare il pendolare per andare a lavorare, era indubbiamente un vantaggio notevole poter vedere mia moglie alla finestra ogni volta che “fischiavo” per chiamarla....ma è altrettanto vero che ci si doveva sorbire il suono della tromba dalla “sveglia” al “silenzio” . Mio figlio maggiore, quando ero di servizio in cucina, la sera veniva da me in magazzino viveri e tra un gelato e una merendina faceva i compiti per il giorno dopo. Denise quando veniva a trovarmi, faceva immancabilmente il giro delle cabine telefoniche alla ricerca delle “preziosissima schede” che collezionava. La cabina telefonica.......piccolo “salottino” privato per tante conversazioni più o meno intime, personali o...di affari. Un tempo non tanto lontano in città le si trovavano ovunque....nuove, vecchie, quasi sempre maleodoranti, spesso con i vetri sfondati, spesso, soprattutto quando servivano, non funzionavano affatto o quando ne avevi urgente bisogno erano occupate dal “fesso” di turno. Prima funzionavano a gettoni del valore di cinquanta lire.....poi di colpo la telefonata urbana era passata a lire cento, causando per il mese prima all'aumento previsto e programmato, un accaparramento che li aveva di fatto fatti scomparire dalla circolazione. Poi, dopo tanti anni, ecco comparire le mitiche schede prepagate......tesserine con banda magnetica che riportavano anteriormente bellissime riproduzioni di paesaggi, situazioni o oggetti. L'esistenza delle cabine pareva che sarebbe durata in eterno ma poi qualcuno pensò bene di “inventare” il telefono cellulare, che dando la possibilità di telefonare per i cavoli propri praticamente ovunque.....decretò in brevissimo tempo la quasi sparizioni di tale “monumento” della comunicazione. Comunque gira e rigira, faccio molta fatica a mettere nero su bianco......non ho certo in mente tutto il materiale che ho accumulato in testa in quattordici anni di S. Andrea. Adesso per esempio mi ricordo di quando mi arrabbiavo come una bestia per questo o per quello. Ho in mente per esempio la volta che cercarono di fregarmi la tredicesima: si era come ovvio sotto a Natale......e ci stavamo scambiando gli auguri nel nostro bellissimo circolo quando il Comandante disse tra una cosa e l'altra:” Peccato solo che qualche sergente quest' anno non prenderà la tredicesima......” Sembrava uno dei tanti scherzi che ci facevamo in continuazione ma quando alcuni giorni dopo andai in Amministrazione per intascare lo stipendio......mi accorsi che effettivamente la voce “tredicesima mensilità” non compariva per nulla. Era il periodo in cui stavo sudando sette camicie per aiutare i miei genitori a costruire la casa di Treviso e i soldi mi servivano come non mai......Verde di bile e di rabbia repressa, mi rifiutai di intascare i soldi e di firmare per ricevuta e mi precipitai dal capo cassiere per farmi spiegare l'accaduto. La verità stentava a venire a galla......i ma e i se si sprecavano ma alla fine il buon Maresciallo Vercio cedette e mi disse che un mio collega che lavorava con lui, per sei mesi aveva fatto e continuato a fare un errore calcolando la mia busta paga in modo tale che per sei mesi io avevo percepito più del dovuto e che ora, morale della favola, accortasi l'amministrazione della “cappella “ fatta, io ci avrei rimesso tutta di un colpo, la tanto attesa ed agognata tredicesima. Non ci vidi più.......sergentino con tre anni di anzianità mi catapultai nell'ufficio del Comandante di Battaglione urlando come un ossesso......nessuno cercò di fermarmi. Arrivato davanti all'ufficiale, che ovviamente era al corrente di tutto, dissi testualmente con una voce diventata di colpo drammaticamente calma:” Comandante....qui non si tratta di gradi militari, di rispetto per la gerarchia o di cose di questo genere.......se io sbaglio....lei mi punisce e ha perfettamente ragione a farlo. Ma lo stesso lei ha il dovere di farlo con chi, per imperizia o altro, danneggia un suo sottoposto, cioè me!. Io pretendo, visto che si tratta di soldi, anzi di soldi miei.......che chi ha sbagliato PAGHI, non disciplinarmente cosa di cui non me ne può fregar di meno.....ma VOGLIO e Pretendo i soldi della tredicesima mensilità che mi sono stati levati! E, visto che i soldi che devo restituire li ho, e non certo per colpa mia, intascati effettivamente un po' al mese, propongo che chi ha sbagliato mi paghi di tasca sua subito quanto mi è dovuto ….poi io mi impegnerò ovviamente qui davanti a lei a restituirli come li ho percepiti nei sei mesi precedenti.....UN PO' ALLA VOLTA! O così o pianto un casino a tutti i livelli a costo di arrivare a scrivere sul Gazzettino e oltre! Al Comandante di me e dei miei problemi poteva interessare fino ad un certo punto.....ma anche lui come tutti i suoi predecessori, doveva “fare carriera” e di una grana che poteva scoppiargli tra capo e collo non ne voleva proprio sapere, per cui per questa volta “sposò” la soluzione che gli avevo proposto, mi fece avere i miei soldi e per quella volta tutto finì li. Mi ricordo anche un altro fatto, non so se increscioso o comico che nonostante conoscessi ormai a fondo l'Isola e i Pirati che la abitavano....mi lasciò francamente un po' perplesso. Si trattava di fare la prova O.R.T, in pratica una prova di allarme in cui era effettivamente necessario abbandonare S. Andrea con armi e bagagli, Tutto quello che poteva e doveva servire doveva essere caricato a bordo dei mezzi ed evacuato, quello che non si poteva portare a seguito, in teoria, doveva venire “bruciato col fuoco” Mentre la “distruzione” veniva per ovvi motivi solamente simulata, tutto ciò che serviva doveva invece essere realmente caricato e portato via. Io ero in quel periodo “Capo Nucleo ricambi”....gestivo infatti tutti i pezzi di ricambio di barche, mezzi da sbarco e gommoni. Avevo sulle mie spalle un magazzino immenso e solo il pensiero di dover “incassare” tutta quella roba, etichettarla e farla caricare....mi faceva star male. Ma non c'era alternativa alcuna......ancora di la da venire l'età beata dei recuperi compensativi, per fare tutto nei tempi previsti, avevo pure sacrificato un paio di notti di sonno e mi ero fermato in magazzino a preparare il tutto. Il giorno previsto....tutto era pronto. Tutti correvano come matti su e giù per l'Isola ma alla fine nei tempi previsti tutte le imbarcazioni si apprestavano a caricare i materiali e a partire. Io mi trovavo sulla riva con le mie casse ad attendere. L'M.T.M che doveva caricarle era la n°28. Passò davanti a me la 31, passarono la 29 e la 30...passarono tutte le altre imbarcazioni ma nonostante i miei cenni disperati.....nessuno si degno di raccogliermi. Alla fine sull'Isola abbandonata ero rimasto solo io con la compagnia di casse e scatoloni, i tre cani, le pantegane e i gabbiani! Ma dov'era mai andata la M.T.M. Che mi doveva imbarcare? Ma oramai poco importava.....mi avevano lasciato da solo. Ovviamente una volta superata “Punta Marina”, verificato che tutta la “flotta” era effettivamente uscita dalla canaletta....la prova di allarme era terminata e al rientro, nella foga di tornare all'ormeggio e di scaricare tutto prima delle cinque del pomeriggio, nessuno si era assolutamente accorto di avermi lasciato a casa.......il guaio era stato causato dal mio collega capobarca della 28 che chiamato a rimorchiare il mototopo che era andato in avaria....si era completamente dimenticato di tornare indietro per caricare le casse del magazzino ricambi ed il rispettivo capo nucleo. Accortomi che nessuno, assolutamente nessuno si era accorto di nulla....lasciai perdere visto che non aveva senso alcuno parlare e far punire un collega....per così poco. Si trattava in fondo di una fatica boia fatta per nulla e di due notti passate in magazzino assolutamente per nulla. Meno male che in circolo per una settimana trovai il prosecco pagato a mattina mezzogiorno e sera.....il minimo della pena! Mi incazzai anche una altra volta.....ma questa volta per un motivo veramente serio. Stavo, una sera che mi trovavo di servizio, riponendo il basco sul grande attaccapanni dell'ingresso fatto tutto in legno massiccio. Ma quando mi girai per entrare in corridoio. Il maledetto attaccapanni mi cadde sul retro della “capoccia” facendomi crollare al suolo e mandandomi in momentanea ma totale catalessi. Qualche volonteroso mi portò a braccia su di un divano e un mio collega romano disse, me lo ricordo ancora come in un sogno, che mi avrebbe somministrato come salvavita un sorso della grappa che teneva sempre in saccoccia in una bottiglietta di quelle da....alcolizzato. Il rimedio per fortuna sortì il suo effetto anche troppo bene: mi ritrovai in piedi ancora traballante ma incazzato come un picchio....mi catapultai in ingresso e cominciai a saltare con tutto il mio peso sopra quel maledetto oggetto che aveva rischiato di accopparmi, urlando che avrei voluto fare altrettanto con chi non lo aveva fissato come doveva al muro. Mi accadde anche, ma questo accadeva purtroppo anche ai miei colleghi capibarca, di andare a Punta Sabbioni con la M.T.M. o con la M.T.P. a caricare in spiaggetta il camion di turno.....e di aspettare per ore per nulla sotto il sole cocente o infradiciati dall'inclemenza di “Giove Pluvio” . Mazzinga Z....il nostro Aiutante Maggiore addetto ad ordinare i servizi dei natanti....aveva di nuovo imbroccato l'ora ma....sbagliato giorno!. Quella volta mi ero proprio imbestialito.....erano le cinque e trenta del pomeriggio e, ben prima dell'epoca beata degli straordinari, invece di essere nella mia taverna a pensare a quanto era bella la vita con gli amici giusti e un bicchiere di “Refosco”in mano........mi trovavo per il consueto errore in mezzo alla laguna in attesa di un camion che non sarebbe arrivato mai! Rabbia, Rabbia....una giusta R A B B I A montava dentro di me. Esasperato cominciai a mandare al massimo il motore dell'incolpevole natante alternativamente a tutta forza avanti e indietro......alla fine, la povera elica stanca di quel giochetto assassino, si staccò di brutto dal suo albero portante e....se ne andò per i fatti suoi! Naturalmente persi delle altre ore per essere soccorso e trainato in Base.....ma per lo meno mi ero adeguatamente sfogato e avevo costretto qualcun altro a rinunciare ad andare a casa per venire in mio aiuto! Non potevo certo prendermela con chi aveva per l'ennesima volta aveva “toppato”e creato il casino con il suo errore....era un pesce troppo grosso per un povero sergente fatto da poco e tra l'altro si trattava di una gran brava persona....ma, come dicono quei porci dei musulmani, DIO E' GRANDE.....e Mazzinga Z un bel giorno si dimenticò di comandare il motoscafo del generale del Presidio lasciandolo appiedato per più di due ore....e da un giorno all'altro....si trovò trasferito armi e bagagli....a Treviso....e gli era andata ancora bene!!!



CAPITOLO NONO.

In questo stesso istante mi trovo a scrivere questi ricordi in quello che era il mio ufficio. A dicembre....andrò in pensione e ancora adesso mi sembra impossibile. Mi sembra ieri quando appena arrivato a S. Andrea guardavo “estatico” i marescialloni a due o a tre binari pensando tra me e me:” Ma io....quando mai arriverò a tanto....forse nel duemila (che all'epoca mi pareva tanto lontano nel tempo).....ma adesso oltre ai gradi sta per arrivare anche il pensionamento....incredibbbile ma...vero. Adesso passo la giornata seduto alla mia sedia, non ho nemmeno un scrivania e meno ancora un incarico....in adunata ovviamente non ci vado più ( ma non ci andavo nemmeno prima) e passo il tempo a scrivere o a passeggiare su e giù per buttare giù la panza. E i ricordi continuano a scorrere nella mia mente come acqua fresca da un rubinetto.....
Mi viene in mente, a proposito di rubinetti e impianti igienici in generale, il giorno in cui il povero Salvatore, canoa dalla nascita, prese una delle sue proverbiali “balle” alla Maddalena, in Sardegna.......Salvatore dormiva in una stanza attigua alla mia al mitico “Flath Hause” con Matteo come compagno di stanza. Matteo era ed è un tipo tutto “pulitino” e schizzinoso, Salvatore era invece disordinato e casinista. Quella sera avevamo festeggiato alla grande....anzi avevano festeggiato tutti tranne me che sono Juventino, per la maledetta vittoria tedesca in Coppa Dei Campioni ottenuta, a scapito della “Vecchia Signora” con un tiraccio della domenica di quel brocco di Magatz. Il buon Zoff come nei mondiali in Argentina....si era nuovamente dimenticato di accendere il radar e aveva appunto beccato un gol incredibile ottenuto con un tiro dalla lunghissima distanza. Platini, Boniek, Paolo Rossi, Tardelli e Cabrini erano anche loro della partita ma in quella occasione andò tutto storto e la Juve partita favoritissima e sicura vincente.....invece.....ma lasciamo stare! Comunque per festeggiare alla faccia mia, Salvatore era ridotto da buttar via: noi impietositi pur ridendo come matti, lo avevamo accompagnato in camera per metterlo a nanna, ma prima di distendersi sul letto, in un ultimo sussulto di vitalità l'avvinazzato si slacciò la patta dei pantaloni e appoggiando mollemente la sua virilità sul bordo del lavandino, espletò con il più grande sollievo la funzione fisiologica che evidentemente era diventata impellente. Il viso del “pisciante” esprimeva estatico pur tra i fumi dell'alcool, una grande soddisfazione....ma quella di Matteo esprimeva invece una rabbia furibonda:” Ma che cazzo stai facendo?????Io li mi lavo la faccia e i denti!!!!!Salvatore...Piantala subito!” E Salvatore con un sorriso che gli andava da un orecchio all'altro rispose tra i fumi alcoolici che lo permeavano:” Ma perchè mi fai fretta......ho finito. Adesso apro il rubinetto e tutto va a posto.” E in quel momento si piegò in due scosso da uno spasmo incontrollabile e con l'”attrezzo” ancora che pendeva innocente di fuori, incominciò a vomitare proprio li dove Matteo era uso lavarsi faccia e denti! Mi rammento anche del congedo di uno scaglione avvenuto dopo il mio....il congedo più fantasmagorico che si fosse mai verificato fino ad allora. La sera prima, la mitica ultima notte in caserma alla quale nessun congedante voleva mancare per nessun motivo, dopo le rituali libagioni tutti quanti, Baffi Cancarosi, Baffi, Tubi, Vecchie e Congedanti, si erano riuniti prima del Contrappello nell'ampio piazzale di fronte alla “Palazzina 25” appena ristrutturata. Si era provveduto a disporre uno sterminato numero di scatolette di lucido da scarpe a terra in modo da formare una scritta che riproduceva il nome dello scaglione in congedo. Accesi con gli accendini.....tutti quelli improvvisati lumini avevano conferito un effetto coreografico incredibile al buio della notte, mentre autentici fuochi artificiali illuminavano a giorno la canaletta. Terminato il tutto...le struggenti note del “Silenzio Fuori ordinanza” suonate dal mitico Nini Rosso avevano concluso la bellissima cerimonia! Impara Malcontenta....IMPARA!!!!
Ci risiamo di nuovo....Io sto cercando in tutte le maniere di dedicare questo scritto a Malcontenta.....ma ho notato che alla fine mi ritrovo sempre a parlare di quanto mi è accaduto altrove........Malcontenta è Malcontenta, piatta, brutta.....senza attrattiva alcuna. Si...certo qui è stata battezzata Beatrice, qui sono cresciuti i miei figli, qui Denise la domenica correva in bicicletta a caccia di schede telefoniche....ma non basta mica: manca la canaletta, mancano le barche, manca la barena e soprattutto mi mancano Emanuele, Guido, Matteo e tutti gli altri PIRATI.....mi manca ancor più il mio caro vecchio e amatissimo “SILE” Un giorno se andrò a Roma voglio andare al museo che racchiude le bandiere di guerra dei battaglioni sciolti e voglio guardarla da vicino la mia Bandiera e salutarla come si conviene per l'ultima volta. Eppure è proprio qui a Malcontenta che sono sul punto di “chiudere” per sempre con la mia vita militare......a dicembre l'ultimo rappresentante del mitico nono scaglione 1979 del “vecchio Sile” se ne andrà in pensione. Rimpianti....zero, per lo meno da quando ho lasciato la mia adorata “Isola”.....si, per carità al “1° Battaglione Lagunari” non sono certo stato male ma qui sono semplicemente “sopravvissuto” e adesso che sono sul punto di lasciare tutto, questo fatto non mi dispiace per nulla. Sto passando questi ultimi mesi “abbandonato” in un ufficio a passare il tempo....che non passa mai attendendo con ansia di incominciare la nuova vita che mi attende. Non voglio pranzi di congedo, non voglio cerimonie di commiato.....voglio solo per l'ultima volta recarmi nell'Isola Dei Pirati e girarmela tutta in lungo ed in largo, DA SOLO e....ricordare e ritornare indietro nel tempo quando un Baffo Cancaroso appena arrivato aveva da subito pensato:”.....Ma qui sono a casa!!!!”.


CAPITOLO DECIMO.

Seduto alla mia nuova scrivania (piccolissima, senza cassetti e adatta solo a sorreggere il mio portatile), concessami a forza visto che oramai non ho più alcun incarico, sto pensando ad un sacco di cose. Ricordo la bellezza e la pace infinita di quella mia bellissima piccola isola della laguna nelle domeniche di mezza stagione, quando il tempo era ancora bello e si poteva assolutamente indisturbati andare in barena a raccogliere le vongole.............se si era “liberi”, bene, se invece si era di guardia era sufficiente “mollare” il fucilgarand da qualche parte e indossato un paio di stivali da acqua alta, scavalcare la rete e superata la “secca” andarsene per i fatti propri armati di guanti e secchio. Che meraviglia: accanto al pescatore improvvisato si stendeva la laguna in tutta la sua incantata bellezza............si era praticamente a livello d'acqua e le barche e le navi che passavano lo facevano li, accanto a te! Sembrava di essere in grado di camminare sulla laguna..........bellissimo! Altro che le domeniche di noiosissimo servizio passate a Malcontenta. Qui non c'era nulla da vedere, nulla da fare.........solo quattro alberi, i viali curatissimi, militari che “viaggiavano” impeccabili nelle loro divise e noia, una terribile noia da.......caserma caserma. Almeno all'inizio era così.........ma poi un po' alla volta le cose anche qui sono un po' cambiate e molto io sono riuscito a distaccarmi da tutto questo “militarismo”. Anche qui la tensione si è molto allentata ed io sono riuscito a trapiantare anche qui il mio modo di vedere le cose e di vivere. E poi sono sempre in contatto con i miei ricordi, momenti di un mondo che purtroppo più non mi appartiene e che resta vivo solo nella mia mente e nei miei scritti. Ma Malcontenta sempre di una stramaledetta caserma si tratta........solo per entrare e uscire con la tua macchina, che vedendola tutti i giorni entrare, sostare e uscire, TUTTI i santi giorni.......TUTTO IL MONDO oramai conosce, ti devi cuccare tutta una trafila particolare: arrivi, ti fermi davanti al cancello, aspetti che ti aprano (il cancello quando funziona ci mette una vita a scorrere sul suo binario, se non funziona devi attendere il pirla di turno che lo faccia manualmente) finalmente entri ma subito dopo altra fermata obbligatoria davanti alla sbarra che non si apre se prima non si è chiuso definitivamente il cancello alle tue spalle. E se poi c'è più di una macchina a dover entrare o un camion eccoti costretto a manovre e spostamenti che mi fanno venire in mente quelle che si facevano per entrare nel ferry boat del Lido. 'n'apocalisse! Uno stato di cose che ti fa maledire la vita militare fin dal tuo ingresso in caserma la mattina e te la fa maledire di nuovo alla tua uscita la sera! A S. Andrea invece ci arrivavi come cavolo volevi........in santa pace. O con il canonico mototopo, o con i mezzi privati tipo barche o motoscafi. Se te ne dovevi andare dall'isola per motivi tuoi, lo facevi con quello che passava il convento: mototopo M.T.M., M.T.P. Motoscafi vari, barche di fornitori o anche la barca della nettezza urbana. Tutto andava bene per entrare o uscire.............attraccavi sul pontile in legno davanti alle Compagnie e te ne andavi a lavorare senza ulteriori rotture di maroni! Bisognava capirci.........se noi eravamo così non era tutta colpa nostra. Pensate che quando il Sile è nato della base non esisteva praticamente nulla. Solo per poter arrivare alla cavana era stato necessario aprirsi la strada tra i rovi che avevano praticamente ricoperto tutto.........mancava la recinzione esterna dalla parte dei “Ballarin” e tutte le strutture versavano in condizioni disastrose. Nei 1979, quando sono arrivato io, per esempio le camerate della “CCS” e della “Trasporti”( così si chiamava all'epoca la CMN) avevano vari vetri rotti, i termosifoni o mancanti o inefficienti e i servizi igienici o guasti o inefficienti. Tutto era inadeguato e fatiscente. Il Corpo di guardia non aveva assolutamente alcuna forma di riscaldamento, era dotato di suppellettili che avrebbero fatto figurare benissimo nel confronto quelle di un lager sovietico, presentava un foro di proiettile di entrata e uno ben più grande di uscita, foro causato da un colpo partito per errore che era stato lasciato li in bella mostra a monito perpetuo della pericolosità dei fucilgarand ritenuti......scarichi! Cosa si poteva mai pretendere da noi allora? Non certo la perfezione dei “matiguera” del 1° Btg di Malcontenta! E noi avevamo agito di conseguenza......il nostro dovere, le cose che per noi erano davvero importanti le facevamo e bene ma a modo nostro.......i fiocchetti e le marcette varie che le facessero quelli di terraferma. Alla finfine poi......che andava sui giornali per bravura ed efficienza? Mica i marciatori indefessi di Malcontenta.......ma gli “Explo” di Busetto e Mantovani, anche loro “figli” de vecio Sile! Ma i nostri erano tempi beati.........di terrorismo non si era ancora sentito parlare e poi.......chi avrebbe avuto mai interesse a venire a disturbare il nostro tran tran quotidiano? Erano i tempi in cui i Lagunari non li conosceva nessuno e noi ne approfittavamo alla grande! Quando montavamo di guardia i colpi per il fucilgarand non ci venivano nemmeno consegnati o se qualche “fanatico” di Ufficiale di Picchetto “osava tanto”........ce li consegnavano in pacchetti sigillati in confezioni di cartone ben chiuse con nastro adesivo da pacchi. Montare di guardia da noi al Sile era sempre una “rottura” per il semplice fatto che di servizi armati nella tua carriera di militare di leva te ne dovevi sorbire sempre tanti ma il più delle volte la scocciatura si limitava a dormire in corpo di guardia e fare la guardia ad un telefono che di notte mai avrebbe squillato. Solo con cinque “stecconi” si doveva fare sul serio: con il sottotenente Busetto, con il sergente maggiore Mantovani, con i marescialli Di Bianco e Raiano e con il Sergente De Vito (Rocchino). Mentre i primi quattro concepivano il servizio armato notturno come una piccola esercitazione (in pratica facevano solo bene quello che era il loro dovere) e si trattava già di una notevole roturademaroni, con l'ultimo della serie, sempre secondo il nostro metro di misura di “naioni”, si toccava la follia: di notte guardia montata addirittura con il colpo in canna, parola d'ordine da rispettare alla lettera, immancabile “prova di allarme” da mettere purtroppo in preventivo e mega, mega, MEGA pulizie dei locali del corpo di guardia per tutto il santo giorno......'na rotura incredibile! Tutto andava bene quando te la dormivi beatamente in branda ma quando dovevi fare sul serio.......era dura! Alzarsi nel cuore della notte al gelo e con il vento impetuoso della bocca di porto e passare le due ore canoniche a guardia dei carburanti costava tanto ma tanto sacrificio. Il freddo penetrava da tutti i buchi del cappottone che già duro e imbachettato di suo non proteggeva par nulla........poi il buio totale, i rumori della notte, la nebbia.......mamma mia come era brutto! Io mi passavo tra le mani la bustina di cordiale o di grappa cercando di scaldarla il più possibile e poi la “buttavo giù” tutta di un fiato bruciandomi la gola e sperando che almeno mi scaldasse un po'........ma niente, contro quel freddo non c'era nulla che si potesse fare.

CAPITOLO DODICESIMO.

Ma tutto sommato a Malcontenta non sono stato affatto male: anche qui le mie soddisfazioni sono riuscito a levarmele, ho trovato gente per bene che mi ha fatto compagnia e che mi ha apprezzato per quello che sono. Certo ricordi di “goliardate” qui ce ne sono pochi...........ma anche nella tana dei militari perfetti, sono riuscito ugualmente a combinare qualche cosa di “sfizioso”. Naturalmente il 1° Btg. Lagunari non ha mai perso la pessima inveterata abitudine di andare in giro per l'Italia nei periodi dell'anno più disparati: prima ai vecchi tempi della leva obbligatoria con i maledetti ”Vespri Siciliani” (tre mesi di ordinaria follia lontano da casa) in tanta malora in terra di Sicilia.......poi con i consueti stramaledetti “campi d'arma” in Sardegna. Sembra proprio che i “capoccioni” ce l'avessero con l'Italia insulare, zone che io desideravo ardentemente evitare con tutte le mie forze perchè scomode, cariche di zecche e......... troppo lontane dalle cosce di mia moglie. Ci hanno provato un po' tutti a portarmi in tanta malora, più di una volta, ma a parte quindici giorni in Sardegna.............NESSUNO MAI E' RIUSCITO A PORTARMI VIA DA CASA MIA! Non faceva proprio per me! Poi, quando è incominciato il periodo delle Missioni all'estero, ci hanno provato solo una volta a farmi lo scherzetto di cercare di portarmi via con loro.............ma io duro: NIET, NADA, NEIN, NO! CON VOI PROPRIO NON CI VO!..........e alla fine proprio come speravo, si sono dimenticati di me! Era molto meglio fare a modo mio: loro partivano per la Missione ed io in Comando organizzavo mega pastasciutte con il fornelletto elettrico nel mio ufficio, alla faccia chi magari mangiava porcherie cucinate con la cucina da campo! Lo so.........tanti dicono che ho sbagliato mestiere e provabilmente hanno ragione da vendere! Ma bisogna considerare che sono nato e cresciuto al “Sile”, che ho scelto la carriera militare solo ed esclusivamente per mia comodità e perchè avevo visto che a S. Andrea la vita scorreva in un certo modo. In definitiva non è mica colpa mia se a metà della mia vita militare mi hanno, chiudendo il mio Battaglione, “cambiato le carte in tavola”, stravolgendomi completamente la vita mandandomi li dove non sarei mai voluto andare! Io sono molto permaloso e vendicativo di carattere e visto che lo Stato Maggiore dell'Esercito ha cercati di fregarmi............io di conseguenza per sedici anni HO FREGATO LUI! E mi sono comportato di conseguenza facendomi alla grande i cavoli miei........SEMPRE! Chi dovesse leggere queste mie elucubrazioni non deve però pensare di me che fossi un piantagrane nullafacente........io ho sempre lavorato e lavorato tanto e bene. Ho dato al mio Battaglione tutto il mio impegno e ho ottenuto sempre ottimi risultati ma militare al cento per cento NON mi sono mai sentito: come al Vecchio “Sile” dicevo all'epoca in cui guidavo il vaporetto, che io ero dipendente dell'A.C.T.V.............a Malcontenta dicevo che mi sentivo ne più e ne meno........un “dipendente statale”!
SBAGLIATO, SBAGLIATISSIMO….LO SO! Ma io sono fatto così e non ci posso fare nulla!

CAPITOLO TREDICESIMO.

Di tanti Comandanti che ho visto avvicendarsi al vecio “Sile” molti di loro hanno lasciato il segno nel mondo dei miei ricordi. Il Comandante da noi era il “Comandante”, passava moltissimo del suo tempo nel suo bellissimo ufficio (era quello storico in cui la Duse aveva con Gabriele D'annunzio i suoi incontri amorosi) a lavorare come un negro avendo anche la notevole responsabilità di essere il “Capo del Servizio Amministrativo”. Mi ricordo ovviamente di “Chiappariello” il primo Comandante, proprio quello che mi aiutò a raffermarmi, mi ricordo di “Colino”, quello che la domenica veniva con la moglie a pescare in canaletta e che ci consentì di fare la mega festa di capodanno nel nostro circolo e non mi posso dimenticare ovviamente di “Me Coioni”, abbreviato in “Meco” il mitico Comandante che dirigeva la baracca perennemente attaccato alla bottiglia. Ogni frase che diceva era difatti immancabilmente accompagnata da questo strano personalissimo intercalare, tutte frasi del tipo:” Oggi dobbiamo preparare lo sbarco in spiaggia......Me Coioni! E sarà opportuno farlo bene......Me Coioni! E così via, a pronunciare “Me Coioni” tutto il santo giorno. Ma il grave era che purtroppo aveva anche raggiunto l'ultimo grado di intossicazione da alcool: la sera lo si poteva trovare a gambe divaricate sul pontile di legno mentre tracannava a più non posso la “Bonarda” dell'Oltrepò Pavese. Lo ho visto piangere completamente ”fatto” nel suo ufficio o giocare in spiaggia con le conchiglie mentre i Lagunari effettuavano uno sbarco. Poveretto.........Ma in definitiva anche lui non ha mai fatto del male a nessuno. Ovviamente dopo di lui c'è stato il periodo di “Nik Il Duro” un Comandante con un carattere molto deciso che ha cercato per la verità di rimettere anche le cose a posto. Era anche stato affiancato da tre “loschi figuri”, due Ufficiali provenienti dall'Accademia e un tenente proveniente dalla terraferma, dalla caserma dei militari perfetti. I due Ufficialetti cominciarono ovviamente subito a fare fuoco e fiamme............uno fu messo a comandare la C.M.N. e poi si eclissò a far danni dalle parti di ca' Vio ma l'altro cominciò a rompere i maroni solo con la sua presenza. Era perennemente attaccato alle sottane del Comandante e lo seguiva ovunque con blocchetto di appunti e penna. Era la “sua anima dannata” e a me, pur non avendoci nulla a che fare, dava un fastidio tremendo solo a vederlo agitarsi su e giù. Non era per la verità molto intelligente, era invece piuttosto presuntuoso e maleducato, aveva la testa configurata come quella degli uomini di Neanderthal, con una scatola cranica un po' ridotta. Si tratta sempre del figuro che fregai bellamente andando in fuga sulla bettolina della spazzatura. Ma il peggiore di tutti era un “tizio” che proveniva ovviamente da Malcontenta..........arrogante, falso e con pochissima voglia di lavorare era stato messo a capo della C.C.S. E li aveva incominciato a fare danni, attirandosi addosso l'odio generale. Ma chi la fa l'aspetti.............una bella mattina d'inverno, quando l'acqua della laguna pare essere sul punto di gelare, il baldo tenentino stava sbarcando, in ritardo, dal gommone che il Comandante aveva mandato fino al Lido per portarlo in base. Battaglione ancora schierato per l'alzabandiera, gommone davanti alla C.C.S. che attracca e “lui” che invece di saltare agilmente sul pontile che finisce in acqua facendo con i suoi oltre cento chili una “sciompa” tremenda.............davanti al Battaglione riunito e in estasi dalle risate che parevano no voler terminare mai! Ma alla fine niente e nessuno poteva cambiare noi “Pirati”......”Nik Il Duro” fece il suo anno di comando, i due ufficialetti se ne andarono per la loro strada il “ciccione” emigrò per altri lidi e........tutto ritornò e rimase come prima. Ma ora mi rammento un qualche cosa di comico a cui ho assistito proprio a Malcontenta...........in programma c'era una prova di allarme, una di quelle fesserie che io aborrivo con tutte le forze. Ero già seccato per conto mio per il fatto di essere dovuto rimanere in caserma oltre l'orario canonico, c'era per fortuna il recupero compensativo per il giorno seguente, ma io come al solito quando dovevo partecipare a queste “MANFRINE”, non reagivo molto bene! Comunque mi ero incamminato con aria rassegnata in comprensorio per presenziare alla messa in funzione della cucina da campo, dico presenziare perchè io con quell'aggeggio non volevo assolutamente averci nulla a che fare: era sporco, ingombrante e poi io con la meccanica non ci azzeccavo e tutt'ora non ci azzecco proprio. Meno male che con me c'era il buon Fernando, mio parigrado che invece conosceva benissimo quell'aggeggio infernale. Ma quel giorno la cucina da campo come me, non aveva proprio voglia di lavorare, forse sapeva che a lei, povera macchina, non sarebbe spettato alcun compenso ne recupero per lo straordinario che stava accumulando e non ne voleva sapere di accendersi. Ma proprio quando la commissione ispettiva si stava appressando ecco che il bruciatore entra all'improvviso in funzione, non prima però di aver avvolto il buon Fernando con una mefitica, grassissima e nera nube di gas incombusto. Al mio collega di pulito........erano rimasti solo gli occhi, per il resto era talmente nero di fuliggine da poter essere confuso con un Baluba africano e il bello era che lui non si era accorto di nulla! Non voglio entrare nei particolari del seguito..........ricordo solo una quantità enorme di risate e una “sputtanata” meggalattica per tutto il reparto.

CAPITOLO QUATTORDICESIMO.

A volte.......ritornano! Sante parole queste..........difatti uno alla vota i tenentini di accademia uno alla volta erano ritornati a comandare il “Primo Btg” o addirittura il Reggimento. Era tornato a Malcontenta il mitico “Capecernia”. Subito si era distinto per essere come al solito più formale della formalità più assoluta, ma ambientato a Malcontenta ci stava tutto sommato anche bene. Io con lui avevo sempre avuto tutto sommato dei buoni rapporti e gli ero sinceramente affezionato, ero stato il primo con cui aveva avuto a che fare quando era arrivato a S. Andrea tanti anni prima e a parte tutta una serie di diversità di vedute eravamo sempre andati d'accordo. Mi ricordo che dopo avergli consegnato branda e armadietto e averlo aiutato a sistemarsi nella sua cameretta, mi aveva convocato nel suo ufficio per consegnarmi la ricevuta da lui firmata di quanto aveva appena da me ricevuto. Avevo bussato, ero entrato e avevo fatto per prendere il foglietto sulla scrivania ma lui con un sorrisetto stampato in faccia mi aveva detto testualmente:” Sergente.......ma lei non mi saluta?” Io li per li non avevo capito e gli avevo risposto candidamente” Ma se ci siamo appena lasciati dopo due ore passate assieme!.........la devo salutare di nuovo? Va bene, buon giorno Tenente!” E feci per prendere il foglietto ed andarmene. Ma non andava mica bene.........riecco l'altissimo Ufficiale ricominciare d'accapo:” ma.....così si saluta un superiore?” Ah, va bene mi scusi.........Buon giorno Signor Tenente” Dissi io pensando di essermi dimenticato di aggiungere il “Signore”. Ma non era questo che intendeva il borioso Tenentino.......alla fine avevo compreso che lui, pretendeva nientemeno che il saluto militare.....a S. Andrea, quando noi non salutavamo militarmente nemmeno il Comandante! Da noi non si usava proprio! E questo con la massima gentilezza glielo dissi subito, in faccia e ovviamente me ne andai per la mia strada! Ma guarda chi ci era capitato tra capo e collo.....ma guarda, pensò invece di sicuro lui, DOVE CAVOLO MI HANNO MANDATO! Comunque un bel giorno me lo ritrovo in cucina. A mezzogiorno. Si avvicina a me e mi dice tutto serio e tirato come al solito: “Maresciallo.......le devo fare i complimenti per la pulizia della cucina e per quello che qui viene prodotto ma devo farle una osservazione e darle un rimprovero. Il cuciniere quando mette sul piatto di portata la bistecca lo fa con “scarso stile”, la fettina va deposta con grazia esattamente al centro del piatto, il pezzetto di limone deve trovarsi esattamente alla destra della carne e il forchettone non deve lasciare sulla bistecca alcun foro visibile” Allucinante.......io mica avevo a disposizione una linea di refettoristi composta da camerieri professionisti........avevo solo dei campagnoli o dei chioggiotti che era tanto se sapevano usare le posate a casa loro! Allucinante......ma “Capecernia” era fatto così, prendere o lasciare ma almeno sapevo che si trattava, nonostante le sue fisime, di una brava persona. Poi invece era tornato anche Gian Piero, quello stesso tipo che aveva comandato la C.M.N. a S. Andrea e la base di Ca' Vio. 'sto tizio, appena arrivato, se l'era presa fin dall'inizio con me senza alcun motivo.........quando parlava con gli altri del sottoscritto diventava rosso dalla rabbia e assolutamente incomprensibilmente faceva di tutto per danneggiarmi. Quando uno dei cucinieri fu preso in corpo di guardia con un vasetto di maionese in “saccoccia” sottratto dal magazzino viveri, il buon Gian Piero credette bene di mandarmi a rapporto da Pellegatti per farmi dare un po' di giorni di “consegna di rigore” Era il periodo che il Comandante di Reggimento “teneva” almeno un processo al giorno e adesso sarebbe toccata a me: Rocchino, preoccupato come al solito, mi aveva fatto fare una relazione scritta su quanto era accaduto, dicendo che io stavo rischiando non solo una esemplare punizione disciplinare ma anche una denuncia penale.......per un barattolo di maionese sottratta da un ragazzo! Francamente mi veniva da ridere! Rocchino come al solito aveva travisato tutta la faccenda. Finalmente fui introdotto nel bellissimo ufficio del Comandante di Reggimento e raccontai la mia versione dei fatti. Il Colonnello Pellegatti non sapeva che cosa dire........si ritrovava a dover giudicare un suo dipendente che non …....aveva fatto assolutamente nulla di male e che conosceva da anni. Mi guardò quasi ridendo sotto i baffi e mi disse:” Siamo vicini di casa, ci conosciamo da tanto........ma non è certo per questo che non ti punisco, non ti punisco perchè non hai fatto assolutamente nulla. Sai cosa faccio invece? Ti trasferisco alla Matter a Mestre per organizzare la cucina, ti becchi la legge cento (che sono bei soldi) e ti allontani da chi ti vuole male.” E così non solo mi allontanai dal buon Gian Piero ma mi beccai la legge cento non una ma due volte visto che dopo poco più di due anni fui ritrasferito a Malcontenta. Grazie Gian Piero......alla facciaccia tua!
L'ultimo a cercar “rogne” con me è stato l'ex cagnolino fedele di “Nik il Duro”, l'uomo di Neanderthal, il microcefalo. Anche lui aveva fatto chissà come, carriera alla grande ed era venuto per un periodo brevissimo a comandare nientemeno che il Reggimento prima di sparire improvvisamente da un giorno per l'altro per aver combinato non so bene cosa ma questi....... non sono fatti miei. Comunque un bel giorno mi becca di domenica mentre in macchina mia sto leggendo un manuale di cucina per poi poter applicare nella pratica giornaliera quanto appreso sulla carta. Erano le quindici e trenta la cucina era appena stata ripulita e io non avevo nulla da fare.........ma a lui non andava bene lo stesso: mi chiamò da parte e mi disse che avrebbe fatto di tutto per farmi trasferire al sud! Poveretto......lui non sapeva che Maria Stella mi era stata appena data in affidamento e che io usufruivo della legge centoquattro che impediva a chiunque, Duce compreso, di spostarmi contro la mia volontà dal mio posto di lavoro.......poveretto so benissimo quanto “ciccò” nel momento stesso che si rese conto che io non potevo assolutamente essere spostato da li, il buon Comandante.....anche lui se la era dovuta prendere sui denti. E Due!!!! E il povero “ciccione” anche lui si prese il suo doveroso schiaffo morale............Essendosi improvvisamente ammalato un collega, era venuto a mancare l'Ufficiale di Picchetto da far montare quella domenica. Lui sapeva benissimo, visto che aveva la pessima abitudine di non farsi mai i fatti suoi, che io quel giorno avevo un importante pranzo di famiglia a Treviso. Sapeva che dovevo parteciparvi ma non certamente il perchè: comunque il venerdì alle undici mi chiama in ufficio e con una falsissima aria contrita mi comunica che la domenica sarei dovuto montare di servizio al posto del collega malato. Mi ricordo che mi disse proprio così:” Mi dispiace FranK........non sai quanto mi dispiace per il tuo.....pranzo ma lo dovrai fare un'altra volta! Dopodomani sei di Picchetto!” “Ma davvero capitano.........guardi che lei si sta sbagliando, io domenica col cavolo che monto!” “ Come osi contrastare un mio ordine? Non pensare mica di darti malato perchè io ti distruggo!” Ma no signor capitano......se fossi ammalato non potrei andare a Treviso come voglio io e devo......vede, il fatto è che io domani, non per colpa mia, compio quarant'anni e ciò vuol dire che da domani io sono ESENTATO PER SEMPRE per legge, da effettuare qualsiasi servizio armato e questo alla faccia di chi è ancora giovane a e se permette, in questo caso anche alla faccia sua” E dopo averlo salutato militarmente(cosa che non faccio assolutamente mai), me ne andai per la mia strada.....E TRE!!!!

CAPITOLO QUINDICESIMO.

E' sempre la medesima storia, sempre qui casca l'asino. A Malcontenta ero praticamente a casa..........la finestra della camera da letto dava direttamente sul cortile della mensa e con un fischio ben modulato mia moglie metteva la testa fuori e la potevo salutare a mio piacimento. La domenica quando ero di servizio festivo in cucina nei tempi morti (tanti) o mi pulivo la macchina alla fontanella della mensa, o facevo una scappata a casa per vedere i bambini, tanto, lo “straordinario” me lo beccavo comunque. Una vita beata, dunque..........certo in apparenza si. Ma dove era finito lo sciabordio delle onde della canaletta, il ronfare del motore del mototopo, il frignire ipnotico delle cicale nei caldi pomeriggi d'estate? Dov'era il mio meraviglioso circolo con i cassettoni del soffitto decorati e le accoglienti poltrone dove potersi sprofondare e dov'era andata la allegra brigata di un tempo? Ma vi ricordate che in estate invece di crepare di caldo in sala da pranzo come a Malcontenta, noi “Pirati” mangiavamo all'aperto al fresco sotto il tetto in legno del bungalow con il cameriere che ci serviva a tavola? Tutti ricordi, solo meravigliosi ricordi e nulla più. Sulla mia isola quando volevo passeggiare c'erano tanti posti da girare: a S. Andrea potevo andare al forte e girarlo tutto arrampicandomi fino al terrazzo per godermi lo spettacolo sella laguna che si stendeva placida e assolata sotto di me, o visitare la vecchia base degli idrovolanti o il percorso di guerra usato dagli “explo” a “Punta Marina” o semplicemente vagare oziosamente con un bicchiere di prosecco in mano, per i prati antistanti il Comando con l'erbetta all'inglese. A Malcontenta invece.........non c'era alcun posto dove andare, non c'era e non c'è nulla da vedere, solo tristezza e “cupore”( parola che non esiste ma che rende perfettamente l'idea), noia e un vivo senso di oppressione dato da una caserma caserma. É anche la zona in se stessa che a me non è mai piaciuta. Siamo infatti situati tra le mefitiche fabbriche di Marghera e la barena.............è una zona che a me innamorato da sempre della montagna, non è mai andata per nulla a genio. Anche a S. Andrea ci sono le barene, certo......ma li la nostra isola è incuneata nel mezzo di Venezia, è Venezia e la faccenda cambia eccome! A S. Andrea la domenica volendo potevo prendere un gommone e andare a ombre e cicheti nelle osterie della zona......a Malcontenta potevo si prendere la macchina e andare alla “Cantinella”......ma vuoi mettere la differenza? Caro Guido, caro Matteo, Massimo, Francesco, Marino, Roberto, Lele.......dove siete? Sentite forse anche voi la mancanza dei bei tempi andati? E Tu Fernando......ti ricordi quando è esplosa la centrale di Cernobil (come casso se scrive, Ostia!) che ci recavamo in armeria e con il dosimetro pretendevamo di misurare le radiazioni presenti nell'aria e dopo aver effettuata la lettura ( chissà che cavolo leggevi!) ci precipitavamo in circolo a bere graspa perchè si diceva che l'alcool aumentava la resistenza alle radiazioni ionizzanti? Belli, bellissimi ricordi!

CAPITOLO SEDICESIMO.

Gli uffici di Malcontenta sono tutti relativamente moderni ed accoglienti ma......anonimi. A S. Andrea io avevo il primo ufficio del magazzino ricambi situato in mezzo alla campagna. Era una palazzina vecchissima e cadente e l'ufficio era riscaldato in inverno da una stufa a carbone. Ma quando il freddo era …...freddo l'ufficio stentava a scaldarsi. La riempivo allora fino all'orlo di carbone(scadente) ma la temperatura raggiunta non mi soddisfaceva mai. Alla fine però il modo per scaldarmi lo avevo trovato ugualmente......a parte la bottiglia di merlot sempre pronta per l'uso, avevo incominciato a rifornire la stufa, alimentandola con l'introduzione dei filtri esausti che l'officina ovviamente smaltiva dopo averli estratti dai motori dei mezzi natanti: tutti bei filtri grondanti olio che davano alla stufa una mega “pedata” di energia. La stufa ruggiva all'improvviso per l'iniezione di potenza supplementare e la sua parte alta e il tubo di scarico diventavano rossi per il calore prodotto che si sprigionava.........avevo inventato la stufa a carbone......diesel! Dopo qualche anno, e dopo aver distrutto tre o quattro stufe, mi ero trasferito nel nuovo magazzino. Si trattava di un prefabbricato molto bello che era stato recuperato assieme ad altri, in Friuli. Era completo di tutto, porta, finestre, impianto elettrico e di riscaldamento. Ecco. Il riscaldamento era tutto un programma........c'erano i radiatori collegati perfettamente alla caldaia che però era una cosa incredibile: era una caldaia che funzionava a cherosene ed era dotata di un carburatore che per quanti tentativi l'officina avesse fatto NON ne voleva assolutamente sapere di funzionare ingolfandosi regolarmente come un carburatore ingolfato! Alla fine ero stato costretto a ricorrere alle stufette elettriche ma visto che la bolletta non la pagavo certo io.....a me andava bene ugualmente! Come ho già descritto altrove nel mare delle mie memorie, il mio ufficio era diventato una dependance di casa mia: i mobili li avevo portati dalla casa di mio nonno, le tendine alle finestre le aveva confezionate Giovanna.........in pratica ero in qualche cosa di vivo.......ero e mi sentivo a casa

CAPITOLO DICIASSETTESIMO.

Eravamo stati invasi...........la calma serenità dell'isola era andata in frantumi. Il nemico, silenzioso e strisciante aveva colpito prima un pirata, poi un altro e un altro ancora. Un chioggiotto malefico, rientrando dalla libera uscita sveva portato con se come compagnie di viaggio in mototopo una tribù di “Piattole” belle grasse che passando da una palla ad un 'altra avevano infestato la C.M.N. Si parla dei primi mesi del 1980. L'allarme era scattato quando il dottore aveva notato lo strano, ripetuto, “grattarsi” tra i maroni di svariati lagunari e aveva creduto bene di anticipare la visita medica quindicinale. La verità era subito balzata agli occhi e la disinfestazione era subito partita alla grandissima. Subito roghi erano apparsi ovunque, non erano per fortuna i cadaveri degli appestati a bruciare ma tutti i materassi incriminati, le coperte, le federe e le lenzuola, mentre tutti i militari di truppa dovevano esporre in bella vista in infermeria i gioielli di famiglia per una accuratissima ispezione ed una eventuale disinfestazione. Roba da matti......alla fine era venuto fuori che il topista, ovviamente ….....originario da Ciosa, aveva intinto il biscotto.......in un bicchiere non troppo pulito e aveva così di conseguenza scatenato l'epidemia! Morale della favola:” Sulla laguna sorge pomposa............Ciosa smerdosa!” (antico detto veneziano).

CAPITOLO DICIOTTESIMO.

“Nik il Duro” era stato messo al comando del “Sile” per rimediare ai danni provocati dal suo predecessore. Non si trattava di una persona “insensibile” come il pellestrinotto che avrebbe poi preso il suo posto ma aveva dimostrato di essere in possesso di un carattere inflessibile e poco disponibile ad interessarsi delle necessità del personale. Comunque a me fastidio più di tanto non ne aveva mai dato fino al giorno in cui dovetti andare a Piacenza con il camion a scaricare materiale fuori uso del mio magazzino. Mi ero alzato di buon'ora, verso le quattro del mattino e mi ero imbarcato sulla motonave per andare a Ca' Vio dove si trovavano i mezzi ruotati del mio reparto. Andare a Ca' Vio a me non faceva mai piacere. Se a S. Andrea i lagunari erano fatti un po' a modo loro, li si poteva veramente toccare ogni eccesso e per la verità il troppo......stroppia. In quella casermetta erano di stanza una sessantina di anime, li erano parcheggiati i mezzi ruotati e gli “L.V.T.P.7” li regnava la più totale anarchia. Ma non è di questo che voglio parlare, per lo meno non in questa occasione. Ero arrivato di buon'ora in caserma ma già quando mi ero alzato mi ero accorto che in me qualche cosa non andava nei miei occhi: all'inizio una sensazione strana......come di una sorta di colla che li chiudeva in parte, ma poi lavandoli con acqua corrente pareva che il fastidio fosse passato. Ma arrivato in motonave, una coltre bianca era nuovamente calata sulla mia vista e nonostante tutti i “fregamenti” effettuati con i fazzoletti di carta, non accennava ad andarsene. Arrivato in base.......non ci vedevo praticamente più: una sorta di colla provocata dalla congiuntivite mi permetteva solo di intravvedere quanto mi circondava. Purtroppo il medico era andato a sparare con i “Baffi nuovi” e nessuno era in grado di aiutarmi. Comunque ormai ero li, andai a svegliare comunque il mio autista che ancora se la dormiva beatamente e mi appressai a salire sul camion......praticamente alla cieca. Tutto andò bene fino all'arrivo ma quando sceso dal mezzo mi apprestai tra la nebbia che mi avvolgeva a scaricare il mezzo mi accorsi che il cassone risultava....completamente VUOTO! Forse era la mia vista che mi stava tradendo avendo praticamente le palpebre quasi incollate......ma no il cassone era effettivamente del tutto vuoto! L'autista, evidentemente ancora assonnato, aveva semplicemente sbagliato camion e mi aveva fatto partire con quello vuoto che si trovava accanto a quello che mi era stato assegnato! E si che la sera precedente il mezzo lo aveva caricato proprio lui! Non mi restava altro da fare se non andare in infermeria dove un gentilissimo medico mi disse che non essendo io del suo reparto, per me non poteva fare assolutamente nulla alla faccia del giuramento di Ippocrate. Morale della favola ero tornato indietro dopo aver fatto per nulla un viaggio di sei ore tra andata e ritorno. A Ca'Vio per fortuna il medico era già ritornato dalla sua gita mattutina e con delle gocce di antibiotico era riuscito a ridarmi un po' di vista, quella che per lo meno mi serviva per tornare a S. Andrea senza cadere in acqua. Ma a “Nik il Duro” la mia disavventura non era andata giù per nulla.........avevo avuto un bel spiegargli le mie condizioni fisiche suffragate anche dalla testimonianza del medico: se eravamo partiti con il camion sbagliato era solo colpa mia. Era sempre colpa mia se l'esercito aveva sprecato “tanta” nafta per nulla. Per cui......tre giorni di consegna semplice e via! Per fortuna che tutta la punizione si era limitata ad una lettera su cui era specificato il “delitto” che il sottoscritto aveva commesso......nessun obbligo di permanenza in caserma.....nulla di tutto questo solo una schifosissima lettera che tra lo stupore e lo sconcerto del buon “Rocchino” stracciai immediatamente e la gettai nel cestino della carta straccia. Se “Nik il Duro” aveva colpito.....io per fortuna ero nelle condizioni giuste per potermene altamente fregare! Parlando di Ca' Vio una volta per tutte, voglio sottolineare che era il luogo dove i “cattivi soggetti” del “Sile” venivano mandati dai vari Comandanti di battaglione che si erano susseguiti nel tempo, per levarseli di torno. Li ogni limite lecito o anche illecito veniva bellamente superato, LI ESISTEVANO DEI “SOGGETTI” E NON PARLO CERTO DELLA TRUPPA CHE MI FACEVANO VERAMENTE VERGOGNARE DI ESSERE MILITARE......ma basta così, in fondo quel posto sperduto non lo ho mai voluto considerare come casa mia, per cui lascio volentieri a qualcun altro l'onere e l'onore di parlarne.

CAPITOLO DICIANNOVESIMO.

Andare” in missione” fuori caserma per me era sempre una festa. C'era sempre il modo di approfittarne per potersi divertire e passare la giornata in allegria: una volta ogni quindici giorni, fresco sergentino, dovevo portare le lenzuola alla ditta per il previsto lavaggio e ciò comportava immancabilmente una piacevole escursione in terraferma. Si cominciava con il recarsi a Ca' Vio dove la ditta faceva capo, sbarcare con armi e bagagli dal natante di turno che ci accompagnava a Punta Sabbioni, e portare il tutto in caserma. Li ad attenderci c'era il camion della ditta e in una mezz'oretta al massimo tutto quanto era concluso.......in gloria. In teoria io e i miei due magazzinieri avrei dovuto tornare immediatamente a S. Andrea con il carico di “roba bianca pulita” (come noi chiamavamo le lenzuola lavate)........ma allora, dove sarebbe stato il bello della trasferta? Il problema lo avevo risolto da tempo: andavo da, indovinate mai chi? E' lui o non è lui? Certo che è lui........il mitico Emanuele, che prestava servizio da quelle parti. Lui immediatamente mi procurava una delle macchine di qualche “baffone” che smarcava la naia li........e VIA a mangiare in qualche bettola della zona assieme ai miei scagnozzi! “Gruppo vacanze in trasferta” ci chiamavamo dopo qualche “ombra”! Alla faccia di “quelli” di Malcontenta che stavano magari sudando al campo in Sardegna! Abbiamo “battuto” la zona di Eraclea, quella di punta Sabbioni e una volta non so come siamo capitati in un locale malfamato dalle parti del porto di Venezia............non si trattava solo del puro e semplice fatto di mangiare e bere in allegria ma della impagabile sensazione di essere liberi e di fare nello stesso tempo, un qualche cosa di proibito! Le occasioni di “sfruttare” la situazione erano innumerevoli......quando abitavo ancora ad Istrana ed ero responsabile del magazzino ricambi, una volta al mese dovevo recarmi a Treviso a prelevare parti di ricambio per, mi sembra, le radio. Mi ricordo solo che partivo da casa, che in una mezz'oretta ero in caserma a Treviso e che tale prelevamento durava solo una decina di minuti. Poi con quel poco che avevo prelevato in una borsa........me ne tornavo direttamente a casa mia e andavo, ancora in divisa, con Giovanna al mercatino del giovedì a fare la spesa in santa pace............e la giornata lavorativa era così terminata! Lo so......ero e sono tutt'ora “fatto male”..........disciplina, aspetto formale, adunate, marce e marcette non hanno mai fatto per me! Il marciare per esempio.......ecco una delle cose che ho più aborrito in tutta la mia vita militare: ho incominciato forzatamente a “viaggiare” inquadrato al C.A.R. per i primi dieci giorni e visto che era una novità non è che poi a quel tempo ed in quella situazione mi scocciasse più di tanto farlo, poi, dopo le vesciche con suppurazione causate dagli anfibi di cuoio, MAI più in trentun anni di servizio sono riusciti a farmi indulgere in questa pratica da me sempre e comunque aborrita. Per me il marciare è un abuso, è l'accettazione palese di essere inferiori a chi ti sta comandando, è uno svilimento della personalità e una grandissima perdita di tempo e io NON lo accetto! Si tratta oltre a tutto di una faccenda inutile, faticosa e superata dai tempi! Noi “Pirati” alla cerimonia dell'alza bandiera ci siamo quasi sempre andati.........non mancavamo mai, o quasi, ma ognuno di noi all'adunata della mattina, dopo aver sorbito il caffè e data una sbirciatina ai giornali, ci arrivava ugualmente, per i fatti suoi, con comodo, alla chetichella, magari chiacchierando con i colleghi e in tutta rilassatezza e NON pestando a terra i piedi come forsennati per “segnare il passo” disturbando la quiete mattutina della laguna! A Malcontenta invece si viaggiava perennemente inquadrati, per andare a mangiare, per spostarsi da un'aula all'altra, dal piazzale all'area addestrativa e......., per andare ovviamente in adunata! Odio soprattutto adesso le inutili cerimonie della mattina quando mi tocca vedere il romiscatole di turno (il Comandante di Battaglione) che aspetta con aria assorta e rapita, se non addirittura estatica per l'aspettativa,(vero Giovan Battista!) tutto impettito davanti al reparto schierato, che i vari Comandanti di Compagnia gli portino le così dette “novità” che lui ovviamente........conosce già benissimo avendo già bevuto con tutti loro il sacrosanto caffè in circolo. Non sopporto più di vedere il rompiscatole di turno “godere” di tutto questo, odio tutti i maledetti comandi che vengono magari ripetuti perchè magari qualche povero Cristo stufo di queste manfrine si è magari mosso solo un po' di qualche centimetro, odio sentire in adunata magari sotto il sole che batte, dopo aver ascoltato simili stronzate per trent'anni di carriera, il deficiente di turno raccomandare a tutti di tenere lucidati gli anfibi! É anche per questo che ho sempre usato gli anfibi di tela ed è per tutti questi motivi che in adunata non mi vedono più da anni! Mi hanno per questo cazziato, hanno cercato di punirmi........ma alla fine è accaduto proprio quello che agognavo e che sapevo che alla fine sarebbe accaduto........mi hanno lasciato in pace e hanno fatto finta che non esistessi............che è quello che esattamente volevo! Lo so, SONO FATTO MALE! MA SONO FATTO COSI'. NON E' POI COLPA MIA SE A META' CARRIERA MI HANNO CAMBIATO LE CARTE IN TAVOLA E MI HANNO TRASFERITO DI AUTORITA' NELLA CASERMA DI QUELLI CHE UNA VOLTA ERANO CONSIDERATI I MILITARI”PERFETTI”!!!!IO PIRATA SONO NATO E PIRATA MORIRO' ALLA FACCIA DI “QUELLI” DI MALCONTENTA!
Comunque ripeto all'infinito che io al mio Reparto, anzi ai miei due Reparti dove ho prestato servizio, credo di aver dato tanto...........ho sempre lavorato meglio che potevo, a modo mio ma sempre e dovunque, sia che mi trovassi a navigare in mezzo alla laguna, sia a comandare una sezione come il nucleo ricambi, sia a condurre una cucina che doveva sfamare tre volte al giorno centinaia di commensali. Nell'ambito lavorativo ho sempre fatto e dato il massimo ed è certamente anche per questo motivo che i miei “Capoccia” mi hanno sopportato e mi hanno lasciato fare. Grazie a te Leo che hai cercato di insegnarmi cosa voleva dire essere un sottufficiale, grazie a te Gerardo che nonostante i nostri tanti ricorrenti dissapori mi hai sempre aiutato e voluto bene, grazie a te Pietro, che mi hai fatto vedere come un Sottufficiale ma anche un uomo NON deve mai essere........cioè come te: LADRO e sporco affarista! Grazie a tutti quelli che sono stati con me in trentun anni di carriera e che tutti indistintamente mi hanno dato un qualcosa!

CAPITOLO VENTESIMO.

A parte le barche, nate e costruite proprio per quello scopo, in canaletta era da sempre finito di tutto: dal baffo recalcitrante assieme a branda e materasso, ai cani che vi sguazzavano dentro beati per rinfrescarsi o semplicemente per seguirci nelle nostre esercitazioni, al Teba che vi era caduto dentro scendendo dal gommone. Lei e solo lei era la vera anima dell'isola, ci permetteva, attraversandola, di andare a casa, di fare rifornimento di cefali, seppie e di frutti di mare, e di far fare bella figura al team dei nostri subacquei. Lagunari e canaletta da sempre erano legati in maniera indissolubile, ovviamente parlo dei Pirati........non della imitazione di Lagunari che sono quelli di Malcontenta o di quello del “Comando Truffe Ambigue”, scusate”...... Comando Truppe Anfibie”.del Lido. Ecco.....siamo sempre li a fare la differenza! Ma in verità c'è poco da dire..........Malcntenta era una caserma caserma da sempre, li si marciava di continuo, si facevano gli stramaledetti “Campi D'Arma” a nastro, si sprofondava nel fango in comprensorio, con il caldo e con il freddo........”bruta roba” o “vita da cani”. Da noi al vecchio “Sile” era tutta un'altra musica........tutto veniva fatto dalla A alla Z ma sempre e comunque a modo nostro.......marce e marcette, basco indossato, anfibi di cuoio, saluto militare......MA CHE ROBA ERA MAI? Se si incocciava il Comandante di Battaglione gli rivolgevi un compitissimo:”Buon giorno Comandante” e tutto finiva li, senza tanti inutili orpelli e tante stupide manfrine. Quando lo stesso personaggio entrava in mensa NESSUNO s ha mai pensato di alzarsi e salutare.....era LUI invece che salutava educatamente chi magari aveva in mano una coscia di pollo o il cucchiaio colmo di minestra. Quando c'era la “Prontezza Operativa” da eseguire noi lasciavamo che a farla fosse Malcontenta che ci teneva tanto......poi naturalmente i soldi venivano pagati anche a noi alla faccia loro! Ripeto per l'ennesima volta che anche da noi si lavorava e si lavorava duro, sempre ma SEMPRE e COMUNQUE a modo nostro. Perfino la nostra divisa era in estate “sui generis” .”Brassi”, il nostro grandissimo Comandante della c.m.n, ci aveva autorizzato ad indossare: pantaloni della mimetica e anfibi di tela, camicia a maniche corte, mao metallico all'occhiello, gradi della mimetica sulle spalline e ovviamente senza coperchio........una figata pazzesca che però non aveva riscontro in nessun reparto dell'Esercito italiano! E Malcontenta marciava........e che marciasse pure!